Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13361 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 17/06/2011), n.13361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, ROMEO LUCIANA,

RASPANTI RITA, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 289/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/09/2006 R.G.N. 546/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FABBI RAFFAELA per delega ROMEO LUCIANA;

udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 6-4-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Bologna respingeva la domanda di N.G. diretta ad ottenere la rendita per inabilità determinata da malattia – che l’Inail aveva disconosciuto quale tecnopatia – contratta nell’espletamento dell’attività di infermiere professionale, dipendente della USL presso l’Ospedale di (OMISSIS) dal 1972 ed addetto al reparto dialisi dal 1980.

In particolare il CTU aveva evidenziato come il N. avesse contratto un’infezione da HBV in epoca antecedente il luglio 1995, quando, essendosi punto con una siringa con la quale aveva iniettato l’insulina ad una paziente, si era sottoposto a vaccinazione antiepatite ed aveva effettuato esami dai quali era emersa la positività agli anticorpi dell’epatite B e C; aveva inoltre precisato che detta epatite era poi spontaneamente guarita senza postumi invalidanti, mentre una malattia, con manifestazioni cutanee, insorta a seguito di detta vaccinazione non poteva ritenersi determinata dall’attività lavorativa svolta dal N., perchè verificatasi per una erronea gestione della vaccinazione.

Il N. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma, con l’accoglimento della domanda.

L’INAIL si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza depositata il 27-9-2006, in accoglimento dell’appello, dichiarava che il N., in relazione ai fatti denunciati all’INAIL il 10-7-1997, era portatore di inabilità lavorativa permanente pari al 20% e condannava 1TNAIL a corrispondergli la relativa rendita, con interessi legali dal 121 giorno successivo a tale data, nonchè a pagargli le spese di entrambi i gradi.

In sintesi la Corte territoriale, rilevato che “sia nel primo grado del giudizio, che nella precedente fase amministrativa, la fondatezza delle richieste del N….ha investito l’esame dell’eziologia e dei postumi della patologia epatica e di quella cutanea, da ritenersi – peraltro – entrambe quali infortuni ai fini della loro indennizzabilità dall’istituto assicuratore, respingeva l’eccezione di inammissibilità della domanda relativa ad infortunio, proposta in appello, mentre in primo grado era stato richiesto l’accertamento di una malattia professionale.

La Corte di merito, poi, in base alle risultanze della CTU, rilevava che la “infezione da virus epatite B”, contratta prima dell’infortunio del (OMISSIS), quando il N. si punse al dito con un ago mentre lavorava, era “derivata da precedente contatto con una siffatta causa virulenta in occasione di lavoro” ed era clinicamente guarita “senza postumi apprezzabili, se non la risposta immunitaria, situazione che, in termini di ridotta attitudine al lavoro (nel regime assicurativo precedente la riforma), è inferiore al minimo di legge e che può, al massimo, valutarsi in vista di una sua valorizzazione al coesistere di altre menomazioni afferenti al medesimo regime assicurativo, al 5%”.

La Corte, inoltre, sulla scorta della CTU, affermava che la “ulteriore patologia” (“alopecia cicatriziale e lichen pilare”) “pur se non immediatamente contratta in occasione dell’espletamento dell’attività lavorativa”, doveva ugualmente essere ricondotta a quest’ultima – e segnatamente a fatti verificatisi in occasione della stessa: sia l’episodio del (OMISSIS), che le successive vaccinazioni – in applicazione del principio di causalità posto dall’art. 41 c.p., con la conseguente indennizzabilità dei relativi postumi, valutabili, in base alla stessa CTU, al 15%, con un “conseguente danno complessivo del 20%”.

Per la cassazione di tale sentenza l’INAIL ha proposto ricorso con tre motivi.

Il N. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’INAIL, denunciando vizio di motivazione, in sostanza lamenta che inspiegabilmente e contraddittoriamente la Corte di merito, recependo le conclusioni del CTU, in ordine all’epatite B (contratta prima dell’infortunio del (OMISSIS), quando si punse al dito con un ago, e derivata da precedente contatto con una siffatta causa virulenta in occasione di lavoro), dopo aver affermato che tale “infezione, decorsa senza sintomi, è clinicamente guarita senza postumi apprezzabili”, ha poi riconosciuto alla stessa come “risposta immunitaria” un 5% di inabilità da valutarsi in vista di una sua valorizzazione al coesistere di altre menomazioni”.

Con il secondo motivo, denunciando violazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 e degli artt. 40 e 41 c.p., l’istituto ricorrente lamenta che la Corte di merito, recependo le conclusioni del CTU, erroneamente ha riconosciuto la ulteriore inabilità che invero era stata conseguenza di una vaccinazione antiepatitica, che, nel caso di specie, fu inadeguata, sicchè le sue conseguenze negative erano di “natura iatrogena, in quanto riconducibili ad un errore occorso nella somministrazione e nella prosecuzione di un trattamento medico non necessario e, anzi, nocivo, e, quindi, in alcun modo riferibili all’attività lavorativa del N.”.

Con il terzo motivo, denunciando violazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 74 e 78 e falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 l’INAIL lamenta che la Corte di merito in sostanza erroneamente ha applicato nella fattispecie la disciplina di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 pur essendo pacifico che la malattia professionale era stata denunciata ben prima della entrata in vigore di tale nuova normativa.

In particolare l’istituto deduce che “i postumi, qualora esistenti, avrebbero dovuti essere valutati in termini di riduzione dell’attitudine al lavoro generico, e non di danno biologico” ed evidenzia la incongruità “della valutazione formulata dal CTU di danno del 15% (che si aggiunge al 5% da epatite con danno complessivo del 20%) per gli esiti dermatologici di lichen ed alopecia, che il CTU attribuisce a complicanze della vaccinazione antiepatitica”, nonchè la irrilevanza sulla inabilità lavorativa del danno estetico.

Il ricorrente aggiunge che la sentenza impugnata non ha in alcun modo confutato i rilievi tecnici forniti al riguardo dal CT di parte (riportati in ricorso) ed in definitiva ha violato il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 74, applicabile nella fattispecie ratione temporis.

In primo luogo, in ordine logico, va esaminato il secondo motivo, riguardante la riconducibilità causale all’attività lavorativa della malattia rappresentata dalla “complicanza della pratica vaccinale contro l’epatite B cui l’assicurato è stato sottoposto per l’infortunio del 1995”.

Tale motivo non merita accoglimento.

Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito, “anche nella materia degli infortuni sul lavoro e malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio della equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sè sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge” (v. Cass. 22-8-2003 n. 12377, Cass. 11-3-2004 n. 5014, Cass. 18-7- 2005 n. 15107, Cass. 4-6-2008 n. 14770).

Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha accertato, sulla base della CTU, che la malattia in esame (derivata dal “completamento dello schema vaccinale con il primo richiamo seguito da effetti avversi, intensificatisi ancor più con il secondo richiamo, effetti peraltro tra i più infrequenti per la tipologia e la cui conoscenza clinica si è andata affermando sostanzialmente negli stessi anni in cui si è verificato l’infortunio de quo”) “pur se non immediatamente contratta in occasione dell’espletamento dell’attività lavorativa” deve “ugualmente essere ricondotta a quest’ultima – e segnatamente a fatti verificatisi in occasione della stessa: sia l’episodio del (OMISSIS), che le successive vaccinazioni”.

In tal modo, in sostanza, con accertamento di fatto congruamente motivato, la Corte territoriale ha anche escluso che il completamento dello schema vaccinale, nelle condizioni e circostanze concrete, potesse configurare un fattore esterno ed autonomo, di per sè causativo dell’evento.

Tale accertamento, pertanto, resiste alla censura del ricorrente.

Fondati risultano, invece, come di seguito, il primo e il terzo motivo, concernenti la valutazione dei postumi dell’infortunio e della malattia professionale successiva.

Al riguardo, va premesso che, nel regime anteriore al D.Lgs. n. 38 del 2000, (cfr. fra le altre Cass. 4-3-1998 n. 2373, Cass. 8-11-1999 n. 12426, Cass. 14-2-2000 n. 1669), il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 74 in tema di inabilità permanente assoluta o parziale, come conseguenza di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, si riferisce soltanto all’attitudine a lavoro, intesa come capacità lavorativa generica (e non specifica), riguardando la copertura assicurativa esclusivamente i riflessi che la menomazione psicofisica ha sull’attitudine al lavoro, e non anche ulteriori danni ad esempio alla vita di relazione.

Peraltro, come questa Corte ha precisato, ai sensi della nuova diversa disciplina, di cui al citato D.Lgs., “condizione per la copertura assicurativa pubblica del danno biologico ad opera dell’INAIL è il verificarsi dell’infortunio o della malattia professionale successivamente al 9 agosto 2000, data di entrata in vigore del D.M. recante le tabelle valutative del danno biologico” (v. Cass. 8-10-2007 n. 21022, Cass. 21-7-2010 n. 17089).

Orbene non sussistendo nella fattispecie, ratione temporis, tale condizione, osserva il Collegio che, riguardo alla “infezione da virus-epatite B” (“contratta prima dell’infortunio del 6-7-1995 e derivata da precedente contatto con una siffatta causa virulenta in occasione di lavoro”), seppure sulla scorta della CTU, la sentenza impugnata contraddittoriamente, dopo aver accertato che tale infezione era “clinicamente guarita senza postumi apprezzabili”, ha riconosciuto una “situazione in termini di ridotta attitudine al lavoro”, “in vista di una valorizzazione al coesistere di altre menomazioni”, pari al 5%.

Con riferimento poi alla malattia professionale successiva (“alopecia cicatriziale e lichen pilare”) la sentenza impugnata, sempre sulla scorta della CTU, ha valutato un 15% di inabilità, con un “conseguente danno complessivo del 20%”, ma non ha spiegato in alcun modo se e in quali termini tale quantificazione fosse riferibile ad una vera e propria diminuzione della capacità lavorativa generica o a danni estetici o relazionali e se nella specie fossero state applicate le tabelle anteriori al D.Lgs. n. 38 del 2000 ovvero quelle successive.

In tal modo la Corte di merito è incorsa nei vizi di motivazione e di violazione di legge denunciati, peraltro limitandosi a richiamare acriticamente le conclusioni del CTU, senza prendere in esame e confutare minimamente le osservazioni critiche del CT di parte dell’INAIL, riportate nel ricorso (su tale ulteriore vizio di motivazione cfr. Cass. 1-3-2007 n. 4797, Cass. 24-4-2008 n. 10688).

In tali sensi vanno quindi accolti il primo e il terzo motivo, non valendo in contrario le obiezioni del controricorrente riguardanti la non allegazione della consulenza tecnica d’ufficio al ricorso, atteso che i vizi evidenziati sono ricavabili direttamente e compiutamente dalla sentenza impugnata.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, statuendo anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo e il terzo motivo e rigetta il secondo, cassa la impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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