Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13360 del 28/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 28/06/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 28/06/2016), n.13360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4909-2012 proposto da:

S.C., (OMISSIS), D.C. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GARIGLIANO 11, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MAIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI LIGUORI;

– ricorrenti –

contro

V.C.M.A., C.F. (OMISSIS), V.

C.M.P. C.F. (OMISSIS), V.C.

M.G. C.F. (OMISSIS), QUALI EREDI DI M.

S., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE, 2,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PALMERI, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SALVATORE ZIINO, DIEGO ZIINO;

– controricorrenti –

e contro

V.C.M.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1623/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato Palmeri Paolo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Ziino Diego difensore dei controricorrenti che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto 19.12.1986 V.C.G. in proprio e quale procuratore di P. e V.C.A. nonchè di M.S. espose di avere trasferito a S.C. un complesso di immobili in (OMISSIS) riservandosi una servitù di passaggio e convenendo con l’acquirente una serie di obblighi per costui, tra cui quello di non apportare innovazioni o modifiche tali da alterare l’aspetto architettonico del complesso.

Lamentando impedimenti al diritto di passaggio e una serie di modifiche all’immobile acquistato, il V.C. convenne lo S. davanti al Tribunale di Palermo per ottenere l’eliminazione del cancello o la consegna delle chiavi per poter accedere ai lotti 6 e 7 nonchè la rimozione di tutti i manufatti ripristinando lo stato dei luoghi.

Il convenuto si oppose alla domanda chiedendo a sua volta, in via riconvenzionale la condanna dell’attore alla riduzione in pristino in relazione ad alcune modifiche apportate allo stato dei luoghi.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza 3.3.1994 accolse la domanda, ma la Corte d’Appello di Palermo, adita dal convenuto, annullò la sentenza rimettendo gli atti al primo giudice per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di D.C., coniuge dello S. in regime di comunione legale.

V.C.V., con atto 6.12.2001 (in qualità di procuratore di V.C.G., nonchè di P. e V.C.M.A. riassunse la causa nei coniugi S. D. lamentando ulteriori modifiche all’immobile.

I convenuti in riassunzione eccepirono la inammissibilità delle domande nuove e comunque l’infondatezza delle stesse.

2. Il Tribunale di Palermo con sentenza 12.7.2007 dichiarò inammissibili le domande nuove e condannò i convenuti ad eseguire una serie di opere di riduzione in pristino.

La Corte d’Appello, adita in via principale dai coniugi S.-

D. e in via incidentale dal V.C. nella spiegata qualità, per quanto ancora interessa/accolse l’appello incidentale e condannò i convenuti a ridurre in pristino lo stato dei luoghi anche in relazione alle ulteriori doglianze introdotte in sede di riassunzione, osservando, sempre per quanto interessa:

– che la clausola contrattuale contenente il divieto per gli acquirenti di apportare modifiche all’aspetto architettonico era stata liberamente accettata da costoro e pertanto li vincolava;

– che le domande di cui alle lettere A, B, C, D, E, F, G ed H dell’atto di riassunzione non comportavano mutamento della causa petendi, sicchè non sussisteva alcuna mutatio libelli;

– che l’atto di riassunzione può contenere domande nuove in aggiunta a quelle originarie.

3 S. e D. ricorrono per cassazione con due motivi (il secondo dei quali formulato in una duplice articolazione) a cui resistono con controricorso G. e V.C.M. A., nonchè V.C.M.P., anche quali eredi di M.S. (deceduta nelle more del giudizio).

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 354 e 353 c.p.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto ammissibili le diverse e nuove domande contenute nell’atto di riassunzione del processo. La Corte d’Appello non avrebbe interpretato la natura giuridica e la funzione dell’atto di riassunzione per disintegrità del contraddittorio. Rilevano i ricorrenti di non avere accettato il contraddittorio e reputano errata la sentenza anche laddove ha ritenuto che le domande introdotte con l’atto di riassunzione non avrebbero comportato un mutamento della causa petendi: osservano al riguardo che qualificazione di domanda nuova si ha anche quando essa comporti solo un ampliamento del tema di indagine.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di novità delle domande sulla base di due argomentazioni del tutto autonome, fondate, l’una, sulla inesistenza della mutatio libelli e, l’altra, sulla ammissibilità di domande nuove in sede di riassunzione. Ha ritenuto innanzitutto che le domande indicate con le lettere da A) ad H) della citazione in riassunzione “non comportano alcun mutamento della causa petendi, rappresentata sempre dalla inottemperanza agli obblighi contrattuali di cui sopra: conseguentemente, non essendovi mutamento del fatto costitutivo della pretesa, non può ravvisarsi alcuna mutatio libelli”.

“In secondo luogo” la Corte ha affermato che “l’atto di riassunzione può contenere domande nuove in aggiunta a quelle originarie, posto che la particolare funzione di esso non è di ostacolo a che esso cumuli anche quella introduttivo di un nuovo giudizio” (v. pag. 14).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v. tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 3386 del 11/02/2011 Rv. 615988; Sez. 6 –

L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011 Rv. 619427; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016 Rv. 639158; Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013 Rv. 625631).

Ebbene, nel caso di specie, la prima ratio decidendi su cui si regge la sentenza della Corte siciliana, quella che si fonda sulla ritenuta assenza di mutatio libelli non risulta impugnata dai ricorrenti. Il fugace accenno contenuto a pag. 13 del ricorso è assolutamente inidoneo a integrare una specifica impugnazione (secondo i dettami dell’art. 366 c.p.c., n. 4) perchè si risolve in una mera petizione di principio laddove si afferma che “la qualificazione di domanda nuova – e cioè di domanda che modifichi la causa petendi – soggiace anche alla considerazione che la stessa si configura anche quando la domanda determini solo un ampliamento del tema di indagine”.

Ma le conseguenze sarebbero identiche anche se si volesse ritenere impugnato il passaggio motivazionale in esame, perchè la evidente genericità e il difetto si specificità ne comporterebbe inevitabilmente l’inammissibilità e, in tal caso, troverebbe applicazione l’altro principio, sostanzialmente analogo al precedente, secondo cui quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006 Rv. 590852; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012 Rv. 621882).

Sulla scorta di quanto esposto, si rivela priva di interesse la censura sollevata contro la seconda ratio decidendi (quella fondata sulla ammissibilità di domande nuove in riassunzione).

2 Col secondo motivo i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, contraddittoria motivazione e violazione dell’art. 1379 c.c.. Sotto il primo profilo rilevano che la Corte d’Appello dapprima ha ritenuto irrilevante il nulla osta in sanatoria della Soprintendenza nei rapporti tra privati per poi richiamare in toto il parere della Soprintendenza sul ripristino delle falde originarie della copertura. Inoltre, sempre ad avviso dei ricorrenti, la Corte non avrebbe interpretato la clausola contrattuale sul divieto di modifiche alla luce dell’art. 1379 c.c., avendo fatto prevalere il giudizio del privato (alienante) circa il rispetto architettonico del complesso storico monumentale su quello dell’acquirente già assoggettato ai vincoli pubblicistici.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui pone una questione di diritto che non risulta introdotta nel giudizio di merito (l’interpretazione della clausola contrattuale contenente il divieto di apportare modifiche all’edificio e la violazione dell’art. 1379 c.c.).

Esso si rivela privo di autosufficienza sotto il profilo del denunziato vizio motivazionale perchè non indica in quale parte della motivazione vi sarebbe la contraddizione con la ritenuta ininfluenza del parere della Sovrintendenza nei rapporti tra privati.

Il rigetto del ricorso comporta come conseguenza la condanna alle spese, secondo la regola della soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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