Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13358 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13358 Anno 2015
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA

sul ricorso 12075-2012 proposto da:
COOPERATIVA MEDITERRANEA PESCA ARL 01101100814, in

persma del

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raPpregentRnt. giq. VIKTRO

GIANQUINTO, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
GASLINI N 5, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE
CASCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI
2015

PALERMO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

1043
contro

BEVILACQUA LUIGI;
– intimato –

1

Data pubblicazione: 30/06/2015

avverso la sentenza n. 248/2011 del TRIBUNALE di
TRAPANI, depositata il 25/03/2011 R.G.N. 493/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/04/2015 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;

Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Luigi Bevilacqua agì per il risarcimento dei
danni nei confronti di Pietro Gianquinto, che era
stato condannato in via definitiva per il reato di
false comunicazioni sociali commesso in qualità di
Presidente della Cooperativa Mediterranea Pesca

Rimasto contumace il Gianquinto e costituitasi
in giudizio la Cooperativa, il Giudice di Pace
accolse la domanda.
Pronunciando

sul

gravame proposto dalla

Cooperativa, il Tribunale di Trapani ne ha
dichiarato l’inammissibilità per difetto di
legittimazione all’impugnazione.
La Cooperativa ricorre ora per cassazione,
affidandosi a due motivi; l’intimato non svolge
attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il Tribunale ha rilevato che il giudizio

di primo grado era stato promosso dal Bevilacqua
nei confronti di Pietro Gianquinto, a seguito
della sentenza penale -definitiva- con cui il
predetto Gianquinto era stato ritenuto
responsabile del reato di cui al’art. 2621 c.c.,
con condanna -fra l’altro- al risarcimento dei
danni in favore delle parti civili, da liquidarsi
in separata sede; ha precisato che, contumace il
convenuto, si era costituita in giudizio la
Cooperativa, svolgendo “in realtà un intervento
adesivo dipendente, non potendo identificarsi con
3

s.r.1..

il soggetto convenuto in giudizio … e non facendo
valere un diritto proprio”; ha aggiunto che interpretato il dispositivo alla luce della
motivazione- la condanna pronunciata dal giudice
di prime cure doveva intendersi emessa nei
confronti “della persona fisica Gianquinto
presidente della società; ciò premesso, ha
rilevato che la sentenza non era stata impugnata
dal Gianquinto, “ma dalla sola società Cooperativa
che, essendo interveniente adesivo dipendente, non
era legittimata ad impugnarla” ed ha
conseguentemente dichiarato l’inammissibilità
dell’appello.
2.

Col primo motivo, la Cooperativa deduce

“violazione e falsa applicazione dell’art. 2384
c.c.” ed ogni possibile vizio motivazionale,
dolendosi che il giudice di appello abbia omesso
di considerare che, nel procedimento penale, il
Gianquinto era stato “chiamato a rispondere del
reato contestato nella sua qualità di Presidente e
legale rappresentante della Cooperativa
Mediterranea Pesca e non in proprio, atteso che la
Società non può rispondere penalmente di alcun
reato, attribuibile sempre ad una persona fisica”.
(“violazione e falsa

Col secondo motivo

applicazione di norme di diritto

violazione

dell’art. 112 cpc” e “omessa e, comunque,
insufficiente motivazione”), la ricorrente censura
la sentenza per non avere pronunciato sui motivi
4

Pietro”, per i danni cagionati quando era

che avevano costituito oggetto dell’impugnazione,
“limitandosi alla dichiarazione di inammissibilità
dell’appello e all’implicita conferma della
sentenza di primo grado”.
3.

Il ricorso è infondato.

Premesso che il Tribunale ha individuato come

(quale persona fisica autore del reato) ed ha
qualificato la costituzione in giudizio della
Cooperativa come intervento adesivo dipendente,
non legittimante all’impugnazione, risulta
palesemente eccentrica -rispetto alla ratio
decidendi- la censura relativa alla violazione
dell’art. 2384 c.c. (che concerne i poteri di
rappresentanza degli amministratori di società);
tanto più che risulta del tutto infondata
l’affermazione che il Gianquinto non sarebbe stato
condannato “in proprio”, giacché l’avere commesso
il reato nella qualità di legale rappresentante
della Cooperativa non vale, evidentemente, a
imputare alla società le conseguenze della
responsabilità penale (personale) del Gianquinto.
Parimenti infondato è il secondo motivo, in
quanto la declaratoria di inammissibilità
dell’appello precludeva -ovviamente- l’esame dei
relativi motivi.
p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso.
Roma, 29.4.2015
5

soggetto convenuto e condannato il solo Gianquinto

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