Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13354 del 28/06/2016

Cassazione civile sez. II, 28/06/2016, (ud. 02/02/2016, dep. 28/06/2016), n.13354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29177/2011 proposto da:

G.F.S., (OMISSIS), G.

G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

Roma, Via Della Balduina 28, presso lo studio dell’avvocato A.

CORACE, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO SCALZI,

come da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.S., B.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Piazza SS. Pietro E Paolo 50, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO MAURO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANTONIO SERVINO, come da procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 807/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

uditi gli avvocati Scalzi e Mauro, che si riportano agli atti, alle

memorie depositate e alle conclusioni assunte;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che conclude per l’inammissibilità del ricorso e in

subordine per il suo rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nell’ottobre del 1993 gli odierni ricorrenti, quali comproprietari di un fondo denominato “(OMISSIS)”, sito in agro di (OMISSIS), citavano in giudizio, per quanto ancora interessa in questa sede, B.S. e B.M. perchè fosse dichiarata la nullità dell’atto pubblico del 19 febbraio 1992, per notaio Pasquale Critelli, da Soveria Mannelli, col quale B.S. donava a B.M. una parte del predetto terreno, che il S. assumeva (nell’atto) di aver acquistato per intervenuta usucapione per possesso per oltre vent’anni. Rilevavano gli attori che il terreno de quo risultava fin dal 1970 nella disponibilità della Regione, in forza di una occupazione temporanea ancora in corso e deducevano anche responsabilità della regione e del notaio, non più oggetto del presente giudizio.

I signori B. si difendevano eccependo in via riconvenzionale l’intervenuto acquisto per usucapione.

2. Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza depositata il 7 dicembre 2006, respingeva la domanda degli attori, riconoscendo l’intervenuta l’usucapione in favore di B.S., essendo risultato provato il suo possesso ultraventennale.

3. L’appello degli odierni ricorrenti veniva respinto dalla Corte locale.

3.1 – I motivi d’appello (per quanto ancora di interesse) venivano così sintetizzati: “a – l’atto di donazione descritto in atti era stato togato dal Notaio Critelli in relazione del principio della continuità delle trascrizioni e senza la verifica della proprietà in capo al donante, all’uopo essendo del tutto insufficiente la mera autoattestazione del possesso; tale modalità violava inoltre il principio della continuità delle trascrizioni e cagionava, per altro verso, la nullità del contratto per impossibilità della prestazione; b – erroneità della decisione nella parte in cui era stato riconosciuto l’intervento dell’usucapione; le deposizioni testimoniali si presentavano infatti generiche, imprecise e senza elementi che potessero far desumere la esistenza dell’animus, oltre che del corpus”.

3.2 – La Corte locale in sintesi riteneva non decisiva, ai fini della dichiarata usucapione, l’occupazione dei terreni da parte della Regione, provato il possesso utile per l’usucapione, nonchè la continuità del possesso.

4. Avverso tale sentenza propongono ricorso per Cassazione G. F.S. e G.F.M., sulla base di un unico articolato motivo, quanto alle sole “statuizioni concernenti la declaratoria di acquisto della proprietà del fondo per usucapione da parte del B.S. e la illegittimità della donazione a favore di B.M. (effettuata a non domino con atto trascritto opposto ai ricorrenti proprietari)”. Resistono con controricorso le parti intimate. Le parti hanno depositato memorie. L’avv.to Scalzi, per i ricorrenti, ha deposito osservazioni scritte sulle conclusioni del Procuratore Generale, specificamente contestando la chiesta declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso.

1. Con l’unico articolato motivo di ricorso si deduce: “Violazione falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 2730 c.c.; artt. 228 e 230 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della normativa concernente gli atti di acquisto immobiliare ed i limiti della domanda giudiziale – omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

1.1 – In primo luogo, i ricorrenti rilevano che la Corte locale ha errato nel dichiarare l’intervenuta usucapione per possesso ventennale, non avendo considerato che “(per come dedotto fin dall’atto di citazione introduttiva del giudizio) il terreno controverso non era suscettibile di usucapione per possesso esercitato in via attuale posto che dal 3.2.1970 la Regione Calabria acquisito il possesso del fondo poichè, per come dà atto la stessa narrativa di fatto della sentenza della Corte territoriale…, aveva sottoposto ad occupazione tuttora perdurante il fondo stesso e, sotto altro profilo, anche a prescindere dalla genericità di quanto affermato dai giudici di merito e dal difetto assoluto di prora, quanto al periodo precedente al 1970 vi sarebbe stato possesso (…)da parte di B.S. ma del padre dello stesso e della “famiglia” B. (il che, anche se fosse stato provato e dimostrato) non realizzerebbe il presupposto della usucapione per come invocata nella domanda giudiziale che affermava l’asserito possesso personale di B.S.”.

Rilevano che “il possesso regionale decorrente dal 3.2.1970 costituisce dato certo e non controverso, considerato come pacifico tra le parti ed espressamente ammesso da B.S.” e comunque provato dalla documentazione versata in atti (atto di occupazione ed immissione nel possesso della Regione Calabria, contenzioso con la stessa Regione). Al riguardo il B. si era difeso deducendo che l’attività svolta dalla Regione, per le sue modalità, non avrebbe impedito a ” B.S. di continuare l’esercizio pacifico del possesso”, senza però fornire alcuna prova sul punto.

Osservano che, al contrario, i giudici di merito, con difetto di motivazione sul punto non avevano considerato i seguenti atti e fatti: “la occupazione ed i comportamenti successivi (cfr. tra l’altro, certificazione 7.11.2011 1090; risposta interlocutoria 28.11.1991 alla richiesta di restituzione proposta dalla signora G.P., dante causa degli appellanti, successiva nota regionale 17.5.1993 in relazione allo stato del fondo successivo ad un incendio, nota 23.9.1993 di risposta certificativi fornita dalla Regione in ordine alla occupazione e restituzione), nonchè gli atti esibiti dalla occupale Regione in allegato alla comparsa costitutiva del 9.12.1993 tra cui allo di sottomissione della Sig.ra G. all’atto di occupazione, verbale di presa di possesso in copia conforme, copia degli attestati di pagamento dei corrispettivi annuali di occupazione; copia della richiesta di restituzione, ulteriori atti di disposizione”. Dai quali “risulta univocamente la esistenza del possesso della Regione fin dal 1970 (il che esclude obbiettivamente che vi possa essere stata una comunicazione del preteso possesso di B.S.) ma anche che i proprietari sig.ri G. (e la loro defunta genitrice e dante causa) hanno posto in essere atti e comportamenti rilevanti quanto al loro possesso”.

Aggiungono che la Corte di appello non ha tenuto conto che: a) “la occupazione regionale è stata disposta ed eseguita nei confronti dei proprietari sig.ri G. che con ciò hanno confermato l’esercizio del loro possesso correlativo alla affermata esistenza del loro diritto di soggetto passivo della occupazione”; b) “la detta volontà partecipativa appare particolarmente evidente dall’atto di sottomissione nonchè dal fatto che i Sig.ri G. hanno percepito i canoni di occupazione”; c) “(gli stessi poi hanno anche riaffermato il loro diritto con le richieste di restituzione del fondo e con le richieste e certificazioni anche successive all’incendio”. Alla luce di tali atti e fatti risulta erronea l’affermazione della Corte di appello circa (da “prolungata inerzia dei proprietari” (pag. 11 della sentenza) essendo invece in atti la prova della attività dei proprietari che null’altro avrebbero potuto fare a seguito della occupazione coattiva risalente al 1970″.

Osservano inoltre che “il possesso regionale fin al 1970 non solo esclude la possibilità teorica di un possesso pieno ad usucapionem (…) ma esclude anche la ipotizzabilità dei postulati ulteriori anche per ciò che concerne l’animus e la presunzione di possesso intermedio in quanto l’animus (…) non può presumersi in un rapporto in cui il corpus possidenti è talmente privo di consistenza e parimenti la presunzione di possesso intermedio presume la esistenza della prova attuale del possesso, il che nella specie certamente non sussiste perchè fin dal 1970 il possesso è addirittura incontrovertibilmente della regione in una rapporto che la stessa Regione ha continuato a mantenere con i proprietari e non certo con persone terze”.

1.2 – I ricorrenti rilevano ancora che ha errato la Corte locale a tener conto del possesso in tesi in capo al dante causa del B. S. o dalla sua famiglia, in assenza di specifica domanda in tal senso con violazione del principio del contraddittorio e con vizio di ultrapetizione. La domanda avanzata riguardava il solo possesso del S. e comunque non vi era stata alcuna prova sul possesso preesistente e sulla prosecuzione di tale situazione in capo al S., posto che la prova era stata articolata solo con riguardo al possesso di quest’ultimo.

1.3 – Deducono ancora i ricorrenti che comunque non era stata fornita alcuna prova del possesso, posto che “le tre deposizioni testimoniali (le uniche prese in esame e poste a fondamento della decisione) non fanno altro che confermare i capitoli di prova e pertanto enunciano non dei fatti, ma dei giudizi”. Inoltre le deposizioni in questione “contengono solo della affermazioni vaghe e che si atterrebbero ai fatti singoli e specifici circoscritti nel tempo e non riferibili nè all’intero fondo (tanto da rappresentare una signoria piena ed esclusiva oltre che continuativa sulla cosa) nè all’intero periodo prescrizionale peraltro non specificato”.

1.4 – Deducono infine i ricorrenti che “sussistono poi i presupposti per la declaratoria di nullità della donazione o di illegittimità della stessa anche in relazione alla illegittimità della trascrizione (domanda non esaminata dalla Corte d’Appello) sussiste l’interesse alla pronuncia stessa specie dopo l’accertamento della inesistenza della usucapione”.

2. Il ricorso è infondato e va rigettato.

In relazione alle censure svolte appare utile riportare per esteso la motivazione della Corte locale, che ha specificamente esaminato tutte le questioni proposte. Questa la motivazione per le parti pertinenti l’odierno giudizio.

“Le risultanze in atti danno conto dell’acquisto della proprietà in capo a B.S., ovviamente nei limiti segnati dalla domanda e dalla sentenza, che non investe l’intero terreno descritto negli atti pubblici di acquisto, ma una sua posizione (…).Il B. S. ha dimostrato un possesso… risalente al 1937: in tale anno infatti risulta stipulato (ed è versato in atti) una scrittura privata di compravendita in cui è parte il padre del B. S., B.B., ed il cui oggetto (se ben si intende la scrittura) è una “quota appartenente al demanio (OMISSIS) e confinante da una parte con G.A. fu G., dall’altra parte con G.F. fu P. e con la strada pubblica”. Ovviamente la esistenza di tale atto ha un valore meramente indiziario, posto che sono rilevabili diverse censure quanto alla sua validità formale (ad esempio, il segno di croce apposto come sottoscrizione), ed alla sua pertinenza sostanziale, non essendo affatto certa la identità tra il fondo ivi descritto e quello oggetto di giudizio. La circostanza assume un suo valore solo legandosi al contesto degli altri riferimenti emergenti dalla prova che, sinteticamente riepilogati, attestano: a – che dal 1937 B.B. prima e poi B.S. sono stati nella disponibilità del fondo per cui è causa ( M.T. e Ma.Ma.; B.G. riferisce solo per il periodo successivo al 1952); b – che sul detto terreno veniva esercitata dagli stessi attività di pascolo, e di coltivazione di grano e granturco (fino al 1956-57) e che poi ivi essi hanno piantato degli alberi di castagno ( M., T., Ma.Ma. e B. G.); c – che sul terreno essi testi hanno svolto lavorazioni per conto ed a spese di B.B. e del figlio S. ( Ma.Ma., il quale ha svolto attività sia di pascolo che di piantumazione dei castagni); d – che sul terreno, negli anni 85-86, ed anche successivamente, dal 1995 al 2001, in occasione degli interventi di rimboschimento operati dalla Regione, era presente sempre B.S., il quale si qualificava come proprietario del fondo e sollecitava lavori ulteriori di pulitura e rimboschimento ( C.A. e D.G., capi cantiere dei lavori regionali, che riferiscono solo per i periodi in cui hanno lavorato in loco). L’insieme delle circostanze evidenzia che sicuramente, e quanto meno dagli anni 30 B.B., padre di B. S. fosse nella disponibilità del fondo, de quo, sul quale esercitava attività di coltivazione, ed “fine anche di impianto di un bosco di castagni, e sul quale risultano nel tempo piantati (così il teste B.G.) anche degli alberi di pino. La indicazione dell’epoca (gli anni 50) tiene determinata dal riferimento preciso che ad esso fanno i testi Ma.Ma. e B.G., che a tale data riportano l’attività di pascolo ed allevamento sul fondo (“esisteva una recinzione mobile per il ricovero degli animali”;

teste B.). ed anche per riportare a ragionevolezza il tifi rimento del teste M.T., che essendo nato nel (OMISSIS), difficilmente può ricordare circostanze precise che si rifanno al 1937. Risulta altresì che tale possesso è proseguito con l’attività di B.S., il quale, inoltre, in occasione dei lavati svolti dalla Regione, si recava sul fondo per verificare e controllare ed esigere ulteriori lavori, a tutela di quella che veniva indicata come sua proprietà. Da ciò emerge in maniera chiara e puntuale – e dunque nient’affatto generica – che la disponibilità della res, con ogni probabilità derivata, come fatto concreto, dalla scrittura indicata, si è svolta in modo esclusivo ed uti dominus, soprattutto ove risulta che B.B. e B.S. abbiano provveduto non soltanto ad utilizzare il fondo secondo la sua destinazione, ma anche ad esercitare poteri e facoltà propri solo del proprietario, quale quello di mutare nel tempo la natura della coltivazione (da pascolo a seminativo a bosco) secondo autonome decisioni, ed altresì quello di esigere, dagli enti pubblici citati, maggiori e migliori attività sul dando stesso. La situazione che emerge dagli atti evidenzia inoltre una prolungata inerzia dei proprietari nella gestione ed utilizzazione del fondo, invece attuata autonomamente da un terzi, con l’esercizio di prerogative tipiche del proprietario. Va altresì rimarcato che la presenza del corpus e la sicura inesistenza di qualsiasi rapporto di natura personale che tale disponibilità giustificasse, fa presumere la esistenza dell’animus, soprattutto in forza del consistente lasso di tempo in cui l’esercizio del potere si è espresso, mentre, per altro verso, l’attestazione di un possesso risalente nel tempo e di altro presente anche al momento delle deposizioni dei testi fa presumere il possesso intermedio, peraltro, invero, del pari riconosciuto dai testi, anche se semplicemente ricondotto alla prosecuzione di un’attività sul fondo. L’epoca di insorgenza di tale possesso mostra peraltro che la fattispecie della usucapione si era consolidata ed avverata già sia nel 1970, che nel 1992, che sono gli anni ai quali gli appellanti rimandano per un verso la responsabilità della Regione Calabria (per non aver custodito il fondo) e per altro quella del notaio rogante.

Il 3 febbraio 1970, infatti, è stata disposta dalla Regione l’occupazione temporanea del fondo al fine di rimboschimento, ed il 19 febbraio 1992 è stato redatto l’atto pubblico di donazione da B.S. a B.M.. Poichè difatti, come correttamente riportato nella decisione impugnata, la sentenza che dichiara l’usucapione ha mero valore accertativi di una situazione già verificatasi nei suoi effetti sostanziali, si che la qualità di proprietario deve riportarsi al momento dell’inizio del possesso (ed retroattività reale dell’usucapione (…)appare chiaro che sia al 1970 che, viepiù, al 1992, gli appellanti avevano perso la qualità di proprietari, essendosi già completato il ventennio richiesto.

Ciò comporta la ingerenza, nei loro confronti, delle condotte attuate dalla Regione e/o dal notaio rogante, in quanto inidonee a cagionare loro danni di sorta, legati – per come emerge dalla domanda – alla perdita della proprietà, già avvenuta per cause del tutto indipendenti dall’uno e dall’altra convenuto. La conferma della decisione quanto all’acquisto della proprietà per usucapione in capo a B.S. (…) comporta dunque il rigetto di tutte le altre domande, mancando negli istanti quella qualità di proprietari”.

2.1 – Come si ricava agevolmente dall’ampia ed esaustiva motivazione della corte locale, che ha attentamente e criticamente, seppur sinteticamente, valutato di documenti e le testimonianze raccolte, i giudici dell’appello sono giunti alla conclusione che tutti presupposti fondanti l’usucapione si erano già consolidati prima dell’occupazione dei terreni da parte della Regione nel febbraio del 1970 e che, di conseguenza e a maggior ragione, tale presupposti esistevano anche al 1992 (epoca in cui fu effettuata la donazione impugnata) con la conseguenza che a tali epoche gli odierni ricorrenti “avevano perso la qualità di proprietari, essendosi già completato il ventennio richiesto” e con l’ulteriore conseguenza della “indifferenza, nei loro confronti delle condotte attuate dalla Regione e/o dal notaio rogante (…) legale – per come emerge dalla domanda – alla perdita della proprietà, già avvenuta per cause del tutto indipendenti dall’uno e dall’altro convenuto”.

2.2 – Tanto premesso e con riguardo alla prima censura, occorre osservare che tutti gli atti relativi all’occupazione temporanea della Regione, ai fini del rimboschimento, risalente al febbraio del 1970, ed in particolare i rapporti intercorsi con gli odierni ricorrenti, quali intestatari dei beni in catasto, risultano del tutto ininfluenti sulla ritenuta sussistenza dei presupposti per l’usucapione, attentamente valutata dalla corte locale, come doveva, con riguardo ai comportamenti concreti rispetto alla res, tenuti dalle parti e alla sussistenza del relativo animus. La motivazione si fa carico di indicare con chiarezza, elencandoli, tutti i comportamenti ritenuti utili a tal fine, qualificando anche l’animus che tali comportamenti aveva ispirato, contrapponendo a tali elementi il comportamento inerte riscontrato egli odierni ricorrenti, i quali si attivarono solo ed esclusivamente con riguardo alla questione relativa alla occupazione temporanea da parte della Regione.

2.3 – Infondato è poi il rilievo mosso dai ricorrenti (e sviluppato con la seconda censura) circa l’errata valutazione da parte della corte locale del possesso esercitato sui terreni in questione dal padre del B. in assenza di specifica domanda, posto che risulta invece dagli atti che tale circostanza era stata dedotta fin dal primo grado di giudizio, essendosi appunto riferito (ed invocato) di un possesso risalente al 1937, data della scrittura privata in favore del padre del B. e sulla quale la corte locale poi si sofferma a lungo.

2.4 – Inammissibile e comunque infondata appare la terza censura circa la mancata prova del possesso utile all’usucapione, riferita alle valutazioni operate dalla corte locale sulle prove testimoniali e al loro contenuto (in tesi giudizi e non già fatti). La censura è inammissibile per la parte in cui prospetta una diversa interpretazione del materiale probatorio e risulta comunque infondata alla luce della chiara motivazione della corte locale che ha valutato criticamente tutte le deposizioni testimoniali, enucleandone specificamente i fatti e non già i giudizi (come risulta dalla seppur sintetica annotazione operata per le singole dichiarazioni), con una motivazione non censurabile in questa sede perchè adeguata, logicamente coerente e priva di vizi in questa sede prospettabili.

2.5 – Infine è infondato anche il quarto motivo circa la invalidità della donazione, dovendosi condividere le valutazioni della corte locale, secondo la quale alla data dell’atto (1992) gli odierni ricorrenti avevano da tempo perso la qualità di proprietari, sicchè erano anche carenti di interesse alla relativa pronuncia.

3. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi e Euro 200,00 (duecento) per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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