Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13353 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 18/05/2021), n.13353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23033-2019 proposto da:

P.S., M.A.L., domiciliati presso la

Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA,

rappresentati e difesi dagli Avvocati GABRIELA ODISIO, GIAN PIETRO

PILLIU;

– ricorrenti –

contro

PE.DA., PE.PI.EM., PE.GI., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LORENZO VALLA 18, presso lo studio

dell’avvocato DAVIDE JONA FALCO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIULIO DISEGNI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 758/20.19 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 3/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Pe.Pi.Em., Pe.Da. e Pe.Gi. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, i coniugi M.A.L. e P.S., per sentir dichiarare l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto a rogito del notaio A.F. di Cagliari, stipulato in data (OMISSIS), rep. (OMISSIS), racc. (OMISSIS), con cui i coniugi M. e P. avevano costituito il fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., per far fronte ai bisogni della loro famiglia, destinandovi alcuni beni immobili, siti nel Comune di (OMISSIS).

Gli attori esposero di vantare un credito nei confronti del M. risalente almeno al 2008, documentato dalla sentenza n. 606/2008 del Tribunale di Lanusei e confermato dalla Corte di appello di Cagliari con la sentenza n. 158/2014, e dedussero il pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo, per avere il debitore conferito quasi tutti i suoi beni immobili nel fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., costituito con il rogito già indicato, nonchè la consapevolezza del debitore di pregiudicare, con detto atto, le loro ragioni.

Si costituirono i coniugi M.- P. eccependo, in rito, l’improcedibilità della domanda per omesso espletamento della procedura di negoziazione assistita e l’incompetenza territoriale dell’autorità adita e contestando, nel merito, la domanda attorea, di cui chiesero il rigetto.

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 1508/2017, pubblicata in data 21 marzo 2017, ritenute infondate le eccezioni in rito, dichiarò inefficace ex art. 2901 c.c., nei confronti degli attori l’atto costitutivo di fondo patrimoniale già indicato; ordinò al competente Conservatore dei Registri Immobiliari di effettuare le trascrizioni, annotazioni e cancellazioni necessarie in conseguenza della predetta statuizione e condannò i convenuti, in solido, alle spese di lite.

Avverso la sentenza del Tribunale di Torino i coniugi M.- P., proposero gravame del quale, costituendosi, gli appellati chiesero il rigetto.

La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 758, depositata il 3 maggio 2019, rigettò l’impugnazione proposta da M.L.A. e P.S. e li condannò, in solido tra loro, a rimborsare agli appellati, le spese processuali di quel grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di merito M.A.L. e P.S. hanno proposto ricorso per cassazione basato su sei motivi, cui hanno resistito Pe.Pi.Em., Pe.Da. e Pe.Gi. con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando “violazione e falsa applicazione degli art(t). 18 e 20 c.p.c. per incompetenza territoriale”, i ricorrenti contestano le affermazioni della Corte di merito secondo cui gli stessi non avrebbero censurato le puntuali e articolate argomentazioni con cui il Tribunale aveva disatteso l’eccezione di incompetenza sollevata dai convenuti. Assumono i ricorrenti di aver, invece, censurato compiutamente sia il giudice di primo grado che la Corte territoriale, “perchè trattandosi di un giudizio promosso ai sensi dell’art. 2901 c.c. si deve applicare il solo foro generale del convenuto per la considerazione che nell’azione revocatoria non rilevano le obbligazioni presupposte se non come semplice antecedente o come condizione di proponibilità dell’azione”, e deducono, altresì, la violazione dell’art. 20 c.p.c. “perchè comunque il foro competente sarebbe il Tribunale di Lanusei a seguito della risoluzione del contratto preliminare dichiarata dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza n. 258/2014 depositata in data 24/4/2014 che ha accertato il credito degli attori per la somma di Euro 29.000,00”.

1.1. Il motivo è inammissibile, non avendo censurato i ricorrenti compiutamente la ratio decidendi posta a fondamento della ritenuta inammissibilità del motivo di appello relativo alla dedotta incompetenza del Tribunale adito. Va osservato che la Corte di merito ha evidenziato che il primo giudice aveva rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale sia per tardività che per incompletezza della stessa e che, in secondo grado, gli appellanti nulla avevano dedotto circa la rilevata tardività dell’eccezione e avevano ribadito che, trattandosi di giudizio ex art. 2901 c.c., doveva applicarsi il solo foro generale della parte convenuta.

In questa sede, il motivo difetta pure di specificità non essendo stato riportato testualmente quanto dedotto in primo e secondo grado circa l’eccepita incompetenza e, in ogni caso, risulta infondato, avendo gli stessi ricorrenti dedotto in questa sede di essersi costituiti in primo grado in data 7 gennaio 2016, successivamente all’udienza del 13 dicembre 2015, sicchè correttamente il Tribunale aveva rilevato la tardività dell’eccezione che era, peraltro, certamente incompleta (Cass. 6/07/1993, n. 7377, Cass., ord., 4/11/2002, n. 15441, Cass., ord.,18/06/2019, n. 16284; Cass., ord. 24/01/2020).

2. Con il secondo motivo, deducendo “violazione delle norme di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 3, conv. con L. n. 162 del 2014 per mancato espletamento della procedura di negoziazione assistita”, i ricorrenti lamentano che la Corte di merito abbia ritenuto inammissibile il motivo di appello con cui era stato censurato il mancato accoglimento dell’eccezione relativa all’omessa attivazione della negoziazione assistita e sostengono che, seguendo il ragionamento del Tribunale, secondo cui l’obbligazione del M. sarebbe un mero antecedente logico, l’eccezione in parola avrebbe dovuto essere accolta, avendo, per quel giudice, l’azione proposta essenzialmente uno scopo conservativo e di garanzia.

2. Il motivo è inammissibile, al pari del primo, non avendo i ricorrenti compiutamente censurato la ratio decidendi della sentenza della Corte territoriale, che ha dichiarato inammissibile il motivo di appello sul rilievo che il Tribunale aveva evidenziato che la causa introdotta dagli attuali ricorrenti aveva ad oggetto una domanda dichiarativa di inefficacia del fondo patrimoniale in parola e che tale fattispecie non era sussumibile tra le ipotesi di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 3, conv. con L. n. 162 del 2014, evidenziando che gli appellanti avevano, in sede di gravame, trascurato di esaminare il rilievo circa la natura dell’azione proposta, limitandosi a ribadire l’esistenza dell’obbligazione presupposta (debito accertato giudizialmente) e, sulla scorta di ciò, ad asserire la necessità dell’esperimento della procedura di negoziazione. Inoltre, il motivo difetta pure di specificità, non avendo i ricorrenti testualmente riportato le censure proposte al riguardo in appello, onde consentire a questa Corte di valutare se effettivamente, come affermato dalla Corte di merito, i predetti avessero omesso di sollevare i rilievi evidenziati dal giudice di secondo grado.

3. Con il terzo motivo, deducendo “violazione dell’art. 2901 c.c.”, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti i presupposti di cui all’art. 2901 c.c.; evidenziano in particolare che, all’epoca della costituzione del fondo di cui si discute in causa, il credito vantato dagli attuali controricorrenti non era stato ancora accertato definitivamente (essendo all’epoca ancora pendente il giudizio di appello avente ad oggetto la pretesa creditoria di questi ultimi ed essendo stata concessa la sospensione della sentenza di primo grado che aveva accertato e quantificato le ragioni dei medesimi); sostengono la mancanza dell’eventus damni, asserendo che la consistenza dei beni residui del M. non conferiti nel fondo patrimoniale fosse sufficiente a soddisfare il credito della controparte, e deducono, altresì, il difetto della scientia damni.

3.1. Il motivo è infondato.

I ricorrenti con il mezzo all’esame hanno reiterato le doglianze già sollevate in sede di appello e correttamente disattese dalla Corte di merito che, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato che l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con

conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, con la conseguenza che anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Cass. 9/02/2012, n. 1893; Cass. 22/03/2016, n. 5619); quella Corte ha, altresì, evidenziato, ampiamente motivando al riguardo, che l’atto dispositivo (del 2010) è certamente successivo al sorgere delle ragioni degli attuali controricorrenti (già nel 2008 era stata pubblicata la sentenza di primo grado che aveva accertato il debito del M.) e che gli attuali ricorrenti non hanno fornito la prova di aver estinto il debito in parola.

Anche con riferimento alla sussistenza dell’eventus damni la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cass., ord., 18/06/2019, n. 16221). La Corte di merito ha ritenuto che le argomentazioni degli appellanti, al riguardo, non fossero idonee a scardinare l’impianto argomentativo del Tribunale e che, anche in secondo grado i predetti si fossero limitati ad asserire l’idoneità dei beni immobili non conferiti nel fondo al soddisfo delle ragioni degli appellati, limitandosi ad affermazioni del tutto apodittiche fondate sull’asserita capienza del valore dei beni residui in quanto siti in una nota località marittima della Sardegna, senza offrire alcun principio di prova, anche indiziaria, di tale asserzione, e ha reputato di non disporre la c.t.u., richiesta pure in appello, in quanto avrebbe avuto valore meramente esplorativo e sarebbe stata finalizzata a sopperire alle carenze probatorie degli appellanti.

Quanto alla cd. scientia damni, è sufficiente la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (Cass. 30/06/2015, n. 13343; Cass. 7/07/2007, n. 15310; Cass. 8/08/2007, n. 17418; Cass. 17/01/2007, n. 966; Cass., ord., 18/06/2019, n. 16221).

In questa sede i ricorrenti hanno ribadito (come si evince dalla sentenza impugnata) quanto genericamente già dedotto nei gradi di

merito senza offrire alcun elemento che possa incrinare la corretta decisione della Corte di merito su tutte le questioni proposte con il mezzo all’esame (v. sentenza impugnata pagg. da 8 a 11).

4. Con il quarto motivo, deducendo “violazione e dell’art. 1173 e 1375 c.c.”, i ricorrenti sostengono di aver agito secondo buona fede nel costituire il fondo patrimoniale esclusivamente per far fronte ai bisogni della famiglia ai sensi dell’art. 167 c.c..

4.1. Il motivo è inammissibile per la sua estrema genericità, essendosi i ricorrenti limitati a rappresentare di aver agito, a lato avviso, in buona fede, facendo ricorso ad un istituto giuridico previsto dalla legge, senza null’altro aggiungere e senza, soprattutto, correlarsi alla decisione impugnata.

5. Con il quinto motivo, lamentando la violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., i ricorrenti sostengono che la Corte di merito avrebbe violato le norme in tema di ammissione delle istanze istruttorie, non avendo disposto la chiesta c.t.u. per determinare “la sufficienza del residuo”.

5.1. Anche il motivo all’esame è inammissibile per estrema genericità e per non essersi i ricorrenti, con la censura all’esame, in alcun modo correlati con quanto al riguardo è stato evidenziato dalla Corte di merito (valore meramente esplorativo della chiesta c.t.u., finalizzata, peraltro a sopperire le carenze probatorie degli istanti, evidenziandosi che i predetti neppure hanno indicato quanto dagli stessi allegati nel merito a supporto della richiesta di c.t.u., oltre alle indicazioni generiche al riguardo, puntualmente riportate nella sentenza impugnata.

Sul punto appare opportuno, inoltre, richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è motivo di discostarsi in questa sede, secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze; ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass., ord., 15/12/2017, n. 30218; Cass., ord., 8/02/2011, n. 3130; Cass. 6/06/2003, n. 9060).

6. Con il sesto motivo i ricorrenti mentano violazione dell’art. 91 c.p.c., sostenendo che se (a Corte di merito avesse accolto le eccezioni preliminari e/o avesse ammesso la chiesta c.t.u. non avrebbe potuto condannarli alle spese di lite.

6.1. Il motivo così come formulato è inammissibile.

Si tratta di un “non motivo” e, comunque, pur a volerlo ritenere un vero e proprio motivo di ricorso, esso è inammissibile, atteso che, in realtà, con lo stesso si censura la regolamentazione delle spese non con riferimento all’esito del giudizio di secondo grado, nel quale tale regolamentazione trova il suo fondamento, con espresso riferimento alla soccombenza, ma in relazione ad una supposta fondatezza delle proprie ragioni e, quindi, ad una ipotizzata e sperata cassazione della sentenza impugnata che, oltre tutto, travolgerebbe la pronuncia sulle spese, laddove, peraltro, detta sentenza non risulta, per quanto sopra evidenziato, censurata con esito positivo (Cass. 31/05/2017, n. 13716; Cass. 30/6/2015, n. 13314; Cass., ord., 15/11/2017, n. 26959; Cass. 15/05/2018, n. 11813 e Cass., ord., 10/11/2020 n. 25278).

7. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

 

 

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