Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13350 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22585 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

C.F., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avv. Roberto Pignatone, elettivamente

domiciliato in Roma, via dei Monti Parioli, n. 48, presso l’Avv.

Ulisse Corea;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Riscossione Sicilia s.p.a. (già Serit Sicilia s.p.a.);

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, n. 132/35/2013, depositata in data 23

luglio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 8

febbraio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Serit Sicilia s.p.a. aveva notificato a C.F. una intimazione di pagamento con la quale aveva richiesto il pagamento di quanto contenuto nella prodromica cartella; avverso l’intimazione di pagamento e la cartella il contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Agrigento che lo aveva accolto; avverso la decisione del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che la notifica della cartella di pagamento, propedeutica all’emissione dell’intimazione di pagamento era avvenuta in data 17 marzo 2005 da parte di Serit Sicilia s.p.a., sicchè la cartella era “divenuta definitiva in assenza di regolare impugnazione, nel senso che non ha individuato il legittimato passivo”;

il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a sei motivi di ricorso, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

Riscossione Sicilia s.p.a. (già Serit Sicilia s.p.a.) è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia sulla questione dell’avvenuta presentazione in corso del giudizio di appello dell’istanza di definizione delle liti pendenti, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 e sul diniego opposto dall’ufficio ed impugnato dal contribuente;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 890 del 1982, artt. 3 e 14, nonchè del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, per non avere accolto il ricorso avverso il diniego della definizione della lite pendente, sia in quanto notificato oltre il termine di cui all’art. 39, cit., sia in quanto infondato nel merito, posto che alla cartella di pagamento doveva essere riconosciuta la natura di atto impositivo, in quanto tale suscettibile di definizione;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla questione della illegittimità del diniego di definizione delle liti pendenti presentata dal contribuente, sono infondati;

va osservato, in primo luogo, che parte ricorrente ha riprodotto il contenuto dell’atto di integrazione dei motivi di ricorso e di impugnazione del diniego di definizione delle liti pendenti con il quale, in sede di appello, aveva prospettato l’omesso perfezionamento del procedimento di notifica del diniego entro il termine del 30 settembre 2012 stabilito dalla legge, nonchè la sua infondatezza;

nella sentenza del giudice del gravame si è dato atto, in sede di illustrazione della controversia, della presentazione della istanza di definizione della lite e del successivo provvedimento di diniego dell’amministrazione finanziaria;

in realtà, diversamente da quanto ritenuto da parte ricorrente, il giudice del gravame, dopo avere accertato la intervenuta definitività della cartella di pagamento, ha, implicitamente, rigettato il ricorso del contribuente di illegittimità del provvedimento di diniego, posto che la possibilità di definire la lite presuppone che la stessa sia ancora pendente, il che è da escludersi nel caso in cui la cartella di pagamento sia divenuta definitiva;

peraltro, si evince dal contenuto del ricorso (vd. pag. 6) che la cartella di pagamento aveva fatto seguito ad un “avviso di accertamento n. Rj001138005202003/01 per l’anno di imposta 1998, resosi definitivo per acquiescenza di parte in quanto non impugnato”;

questa Corte ha più volte precisato che “In materia di definizione agevolata prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, non può ritenersi lite fiscale pendente la controversia introdotta con l’impugnazione di una cartella di pagamento recante le somme dovute a seguito di un avviso di accertamento notificato e non impugnato, trattandosi di atto che si esaurisce nell’intimazione al versamento della somma dovuta in base ad una pretesa fiscale ormai definitiva e non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo” (Cass. civ., 4 dicembre 2013, n. 27163);

nè può seguirsi la linea difensiva del ricorrente secondo cui l’eventuale intempestiva notifica del provvedimento di diniego della definizione della lite comporta la “intangibilità degli effetti connessi alla presentazione dell’istanza di definizione”;

invero, questa Corte (Cass. civ., 9 gennaio 2014, n. 272) ha più volte affermato che, con riferimento al termine di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8, del tutto analogo al termine di cui all’art. 39, comma 12, lett. “d”, di cui qui si discute, che: “In tema di condono fiscale, e con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, il termine fissato all’ufficio dal medesimo art. 16, comma 8, per la notifica all’interessato, con le modalità di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, del diniego di definizione della lite fiscale sospesa non può considerarsi perentorio, perchè il legislatore non considera la sua eventuale scadenza idonea per ritenere la regolarità della domanda e, di conseguenza, l’avvenuta produzione degli effetti sia sostanziali che processuali della stessa sulla lite pendente”;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per insanabile contraddittorietà della motivazione;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che, da un lato, il giudice del gravame ha ritenuto che la cartella di pagamento era stata regolarmente notificata, ma, dall’altro, nel ritenere che l’Agenzia delle entrate fosse priva di legittimazione passiva, ha deciso in modo contraddittorio, posto che il presupposto logico della affermazione del difetto di legittimazione passiva è l’assenza di rituale notifica della cartella che legittimi la sua impugnazione unitamente alla successiva intimazione di pagamento;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata;

il giudice del gravame, dopo avere accertato che la notifica della cartella di pagamento era stata eseguita da Serit Sicilia s.p.a., ha ritenuto che la circostanza che la notifica del ricorso introduttivo era stata fatta nei confronti dell’Agenzia delle entrate, ritenuta priva di legittimazione passiva, comportasse la definitività della cartella di pagamento, poichè non impugnata nei confronti del legittimo contraddittore;

in sostanza, il giudice del gravame ha preso in considerazione la circostanza che il soggetto che aveva effettuato la notifica, a prescindere dal fatto che fosse regolare o meno, profilo su cui non si pronuncia, era il concessionario, sicchè ha ritenuto che nei suoi confronti avrebbe dovuto essere eseguita la notifica del ricorso e, conseguentemente, ne ha fatto derivare l’inammissibilità del ricorso; questa ragione della decisione non è stata colta con il presente motivo di ricorso, non potendosi ravvisare, invero, una insanabile contraddittorietà della pronuncia, come invece postulato dal ricorrente, posto che, sul piano logico, non vi è contraddittorietà tra l’affermazione che la cartella era stata notificata dal concessionario e quella, successiva, secondo cui l’impugnazione avverso la cartella non è stata eseguita nei confronti del legittimo contraddittore, identificato dal giudice di secondo grado nel concessionario della riscossione, avendo questi notificato sia la cartella che l’intimazione di pagamento, oggetto di impugnazione;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione dell’art. 100 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10,14 e 59, per avere erroneamente ritenuto che legittimato passivo era il concessionario della riscossione e non anche l’Agenzia delle entrate;

in particolare, viene posto in evidenza il fatto che, con il ricorso introduttivo del giudizio parte ricorrente aveva contestato, oltre che l’illegittimità dell’intimazione di pagamento in ragione dell’omessa notifica della presupposta cartella di pagamento, anche profili di illegittimità della pretesa impositiva e sanzionatoria contenuta negli atti impugnati, sicchè, sotto tale profilo, non poteva non riconoscersi la legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate;

il motivo è fondato;

la questione della individuazione del soggetto legittimato passivo in caso di notifica di un atto successivo alla notifica della cartella di pagamento, qualora si contesti, oltre che la irregolarità della notifica della cartella, anche il merito della pretesa, è stata definita da questa Corte con la pronuncia a Sezioni Unite 27 luglio 2007, n. 16412;

la Corte, in particolare, ha precisato, in primo luogo, che, qualora il contribuente, impugnando l’atto successivo notificatogli, abbia contestato la pretesa dell’amministrazione finanziaria, la pronuncia del giudice dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa. Al contrario, se il contribuente abbia fatto valere il vizio della procedura consistito nell’omessa notifica dell’atto presupposto (e tale vizio risulti effettivamente sussistente in esito all’istruttoria processuale), per questo solo vizio l’atto consequenziale impugnato dovrà essere annullato. A tale annullamento potrà (o meno) conseguire la definitiva estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza (eventualmente) previsti dall’ordinamento siano già decorsi o siano ancora pendenti: in questo secondo caso, infatti, l’amministrazione potrà rinnovare la procedura secondo la corretta sequenza procedimentale e provvedere alla notifica dell’atto precedentemente omessa;

ciò precisato, ha quindi esaminato la questione se l’azione del contribuente debba essere svolta (esclusivamente o indifferentemente) nei confronti dell’amministrazione finanziaria o del concessionario o necessariamente nei confronti di entrambi;

sotto tale profilo, è stato evidenziato, “in prima approssimazione”, che l’individuazione del legittimato passivo dipende dalla scelta in concreto effettuata dal contribuente nell’impugnare l’avviso di mora: ossia dal fatto se egli abbia dedotto l’omessa notifica dell’atto presupposto, o abbia contestato, in via mediata, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In questo secondo caso, infatti, non potrebbe esservi dubbio che spetti all’amministrazione, e non al concessionario, la legittimazione passiva, essendo la stessa titolare del diritto di credito oggetto di contestazione nel giudizio, mentre il secondo è, un (mero) destinatario del pagamento, fermo restando che a norma del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 40, prima, e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, poi, “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”;

in ogni caso, l’avere il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio; il profilo centrale dell’argomentazione decisoria della pronuncia in esame, che assume specifica rilevanza nel presente giudizio, risiede nella considerazione che il vizio della notifica della cartella “non può essere ridotto alla (mera) dimensione di “vizio proprio dell’atto”, come se fosse, ad es., analogo ad un vizio riferito alla (pretesa) difformità del contenuto dell’atto rispetto allo schema legislativo (…). Si tratta di un “vizio procedurale” che, incidendo sulla sequenza procedimentale stabilita dalla legge a garanzia del contribuente, determina l’illegittimità dell’intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza è assicurata mediante il rispetto dell’ordinato progredire delle notificazioni degli atti, destinati, con diversa e specifica funzione, a portare quella pretesa nella sfera di conoscenza del contribuente e a rendere possibile per quest’ultimo un efficace esercizio del diritto di difesa. Si tratta, quindi, pur sempre di un vizio che ridonda sulla stessa sussistenza della pretesa tributaria, potendone determinare la eventuale decadenza”;

sicchè, ha concluso la Corte, “la legittimazione passiva resta in capo all’ente titolare del diritto di credito e non al concessionario il quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, dovrà chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non trattandosi nella specie di vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi”;

è dunque da porre in evidenza che non può dirsi rientrante nella nozione di “vizio proprio dell’atto”, da cui potrebbe derivare unicamente la legittimazione passiva del concessionario (in quanto relativo ad un comportamento allo stesso esclusivamente riferibile e dunque, in quanto tale, non coinvolgente la pretesa dell’ente creditore), il vizio della notifica della cartella: la Corte ha evidenziato il fatto che la pretesa dell’ente creditore si esplica mediante una sequenza procedimentale essenzialmente volta ad assicurare al contribuente la regolarità del processo di esternazione nei suoi confronti della medesima, sicchè l’irregolarità della sequenza procedimentale può esplicare i suoi effetti sulla stessa legittimità della pretesa;

i principi affermati con la pronuncia indicata sono stati seguiti dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 28 novembre 2012, n. 21220; Cass. civ., 15 luglio 2020, n. 14991);

nel caso di specie, l’oggetto della controversia, per come risulta dalla sentenza impugnata, riguarda un avviso di intimazione in relazione al quale si contesta non solo la mancata notifica della prodromica cartella di pagamento, ma anche la illegittimità della pretesa impositiva e sanzionatoria, sicchè, proprio in considerazione non solo della postulazione della omessa notifica della cartella ma anche della illegittimità della pretesa, avrebbe dovuto configurarsi la legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate;

la decisione del giudice del gravame, secondo cui il ricorso avrebbe dovuto essere notificato solo al concessionario della riscossione è, dunque, viziata da violazione di legge;

con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 49, per extrapetizione;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che il giudice del gravame ha accertato che la cartella di pagamento era stata regolarmente notificata dal concessionario della riscossione in data 17 marzo 2005, sicchè la pronuncia non avrebbe tenuto conto del fatto che il giudice di primo grado aveva accertamento che non risultava la prova della regolarità della notifica e, sul punto, l’agenzia delle entrate non aveva proposto alcuna impugnazione con l’atto di appello;

il motivo è infondato;

lo stesso, invero, non è conferente con la ratio della decisione del giudice del gravame;

invero, con la pronuncia censurata il giudice di appello non ha accertato se la cartella di pagamento era stata o meno regolarmente notificata ma ha, piuttosto, preso atto del fatto che il soggetto che aveva notificato l’atto oggetto di impugnazione, cioè l’intimazione di pagamento e la prodromica cartella di pagamento, era il concessionario della riscossione, sicchè solo nei suoi confronti l’impugnazione avrebbe dovuto essere notificata, con conseguente inammissibilità del ricorso, posto che, invece, lo stesso era stato notificato all’ente impositore;

non è, dunque, questione che attiene alla regolarità della notifica, non presa in considerazione dal giudice del gravame, ma di impugnazione svolta nei confronti della giusta parte del giudizio, profilo non colto con il presente motivo di ricorso;

non può dunque seguirsi la linea difensiva di parte ricorrente in ordine al vizio di extrapetizione, in quanto il giudice del gravame ha statuito in ordine al profilo di doglianza, relativo al difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, da essa prospettato con l’atto di appello, nè in ordine al vizio di violazione di legge, in quanto la questione dell’obbligo di provare in giudizio la regolarità della notifica della cartella di pagamento non ha costituito la ragione della decisione del giudice del gravame;

con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 140 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere ritenuto che la notifica della cartella di pagamento era stata regolare, nonostante il fatto che l’amministrazione finanziaria non aveva prodotto in giudizio la copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c.;

l’esame del motivo è assorbito dalle considerazioni espresse con riferimento al quarto e quinto motivo di ricorso;

in conclusione, va accolto il quarto motivo, infondati il primo, secondo e quinto, inammissibile il terzo, assorbito il sesto, con conseguente accoglimento del ricorso per il motivo accolto e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il quarto motivo, infondati il primo, secondo e quinto, inammissibile il terzo, assorbito il sesto, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio;

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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