Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13350 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9213-2019 proposto da:

AGENZIA DITLE ENTRATE C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9383/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 20/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE

MARIA ENZA.

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio, meglio indicata in epigrafe, che, in controversia su impugnazione avverso il diniego di rimborso IRAP, anno 2001, ha accolto l’appello del contribuente, direttore d’orchestra, in riforma della sentenza di primo grado che, invece, aveva dichiarato inammissibile il ricorso, mancando l’attestazione di conformità sul ricorso in originale depositato, e, in ogni caso, infondato nel merito giacchè il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 non si applica nel caso in cui il pagamento del tributo sia stato effettuato in esecuzione di una sentenza passato in giudicato – sentenza CTP di Roma n. 415/50/2008 -.

La CTR ha accolto l’istanza del contribuente, senza dar conto dell’anzidetta circostanza (versamento effettuato in esecuzione di una sentenza passata in giudicato) ritenendola sia tempestiva – in quanto presentata entro i 48 mesi dal pagamento dell’imposta – sia fondata, in quanto non assoggettabile ad Irap l’attività del direttore d’orchestra, giacchè privo di un’autonoma organizzazione.

S.M. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR accolto l’istanza di rimborso fondata su un giudicato esterno sfavorevole al contribuente, oggetto peraltro di esplicita ammissione, nel ricorso introduttivo.

Il ricorso è fondato.

Va preliminarmente rilevato che la parte che eccepisca la definitività di una sentenza resa in altro giudizio, qualora la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno, non ha l’onere di produrre la decisione munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, come invece avviene nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione (Cass. n. 4803 del 2018). Nella fattispecie pertanto, risultando non contestato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (CTP di Roma n. 415/50/2008), in base alla quale era stato effettuato il pagamento dell’Irap da parte del contribuente, non è necessaria la produzione della sentenza munita dell’attestazione di definitività ex art. 124 disp. att. c.p.c..

Va altresì premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto la natura pubblicistica dell’interesse al rispetto della cosa giudicata, la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno oltrechè di quello interno, e l’inclusione delle relative questioni fra quelle di diritto invece che fra quelle di fatto. Di conseguenza, hanno affermato la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, purchè questo risulti da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, per cui la Cassazione ne accerta l’esistenza e la portata con cognizione piena e con diretto esame degli atti processuali (Cass. Sez. U., n. 1416 del 27/1/2004; Cass. Sez. U., n. 226 del 25/5/2001).

Secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 2006 ” qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo”.

Questa Corte – in analoga fattispecie – ha fatto discendere dalla definitività dell’atto impositivo (nella specie: avviso di mora), per mancata impugnazione dello stesso, l’inammissibilità dell’istanza di rimborso, posto che la medesima contrasta con il titolo ormai definitivo che giustifica l’attività esattiva dell’amministrazione. In particolare, è stato affermato il principio secondo cui “in tema di contenzioso tributario, la valorizzazione del silenzio – rifiuto dell’amministrazione al fine di individuare un atto impugnabile da parte del contribuente si giustifica solo nei casi in cui il versamento o la ritenuta del tributo non siano stati preceduti da un atto di imposizione suscettibile di impugnazione diretta. (Cass. n. 20367/2018; Cass. n. 672/ 2007)

Se ciò vale in ipotesi di definitività dell’atto impositivo per mancata impugnazione dello stesso, a fortiori, vale nell’ipotesi di definitività della sentenza passata in giudicata nel merito della pretesa tributaria.

Ebbene, nel caso di specie, il giudicato esterno invocato sentenza CTP di Roma n. 415/50/2008, passata in giudicato per omessa impugnazione da parte del contribuente, emessa sulla cartella di pagamento relativa al debito IRAP, successivamente adempiuto in esecuzione della stessa – pacificamente acquisito agli atti – in quanto è lo stesso contribuente sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e sia nell’atto di appello a darne atto rappresenta il presupposto logico e necessario dell’istanza di rimborso oggetto del presente giudizio. Ne consegue che il giudicato formatosi nell’ambito della controversia avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento IRAP estende i suoi effetti nel presente giudizio, che attiene al rimborso di quanto spontaneamente adempiuto in forza della sentenza passata in giudicato, accertante la definitività della pretesa tributaria.

Da ciò discende l’inammissibilità dell’istanza di rimborso, posto che la medesima contrasta con il titolo, ormai definitivo, che giustifica l’attività esattiva dell’amministrazione.

Ha pertanto errato la CTR nel ritenere fondata l’istanza di rimborso, in quanto fondata sulla ripetizione del pagamento eseguito in forza di una sentenza passata in giudicato.

Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c. comma 2, con il rigetto del ricorso originario del contribuente.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, restando compensate quelle dei gradi di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decide nel merito con il rigetto del ricorso originario del contribuente.

Compensa le spese dei precedenti gradi di merito.

Condanna il contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 1 luglio 2020

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