Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1335 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. I, 22/01/2021, (ud. 24/07/2020, dep. 22/01/2021), n.1335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1862/2019 proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’avvocato Vittorio Sannoner,

in virtù di mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 6891 del 2018, depositato il 22-11-2018 e comunicato nella stessa data, il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di A.G., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto delle relative domande da parte della locale Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per il timore, in caso di rimpatrio, di poter essere ucciso da alcune persone del suo villaggio, convinte che egli sia uno stregone e che sia il reale responsabile della morte di un suo amico. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Senegal, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”. Deduce che il Tribunale non ha applicato nella fattispecie il principio dell’onere probatorio attenuato, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27310 del 2008, non ha valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e non ha disposto l’audizione personale del ricorrente, al fine di consentirgli la precisazione delle dichiarazioni già rese in Commissione Territoriale con l’ausilio di interprete, non parlando il richiedente la lingua italiana, ma il solo idioma (OMISSIS). Deduce che la presenza del ricorrente stesso all’udienza fissata solo per la produzione documentale era stata solo estemporanea e che l’audizione era stata resa in assenza di interprete, il cui ausilio assume fosse necessario per fornire precisazioni a chiarimenti in ordine alla questione, a parere del ricorrente ritenuta decisiva dal Tribunale, della capacità dell’Autorità del Senegal di apprestare adeguate forme di protezione in suo favore.

2. Con il secondo motivo lamenta “Omessa valorizzazione di prove e riscontri” per omessa audizione del richiedente, nonchè per omessa valorizzazione del rapporto di Amnesty International 2015-2016 e dei riscontri dal sito (OMISSIS). Deduce di aver dato prova della grave situazione di pericolo generalizzato esistente in Senegal e della situazione di vulnerabilità in suo danno, nel caso del forzoso rimpatrio, mentre il Tribunale, in violazione dei doveri d’istruzione officiosa, ha omesso la valorizzazione della richiesta d’audizione sul fatto ritenuto decisivo dal Tribunale stesso in ordine alla richiesta di protezione all’Autorità del Senegal, nonchè in ordine a quanto era indicato ed esposto nel ricorso e che assume provato in giudizio. Riporta in ricorso le risultanze, che assume di rilevanza, tratte dai siti istituzionali suindicati e si duole della mancata considerazione delle stesse da parte del Tribunale.

3. Con il terzo motivo lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 8, 14, D.Lgs. n. 251 del 2007”. Ribadisce che il richiedente, con l’ausilio dell’interprete, avrebbe potuto chiarire l’aspetto sulla mancata protezione da parte delle Autorità dalle minacce di morte ricevute, dato che il Tribunale ha ritenuto rilevante quest’aspetto per escludere la protezione, senza consentire difesa al ricorrente. Ad avviso di quest’ultimo il Tribunale, per non aver valorizzato le prove fornite dal richiedente e violato i doveri istruttori non ha, di conseguenza, riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, così come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07, conosciuta come Elgafaji. Peraltro, ad avviso del ricorrente, risulta anche omessa la necessaria verifica sulla provenienza effettiva del cittadino straniero da una zona rientrante nel parametro del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), soprattutto con riferimento ad una nazione, come il Senegal, in cui, quanto meno, deve riconoscersi che è notorio che vi sono una pluralità di zone o regioni “critiche”. Lamenta che il Tribunale non abbia valutato la situazione individuale, alla luce dei principi delle sentenze della Corte di Giustizia (Cass. 6503 del 2014) sopra citate, e nè la situazione oggettiva, alla luce dei criteri sopra precisati, determinando l’area di provenienza e verificando la capacità di fronteggiare la violenza diffusa individuale e collettiva da parte delle autorità statuali. Si duole, dunque, del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria o almeno di quella umanitaria.

4. Con il quarto motivo lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6”. Ad avviso del ricorrente nel decreto impugnato è anche mancato del tutto l’esame della sussistenza dei requisiti sulla protezione umanitaria. Ripropone le stesse censure e motivazioni espresse con riferimento agli atri motivi, ossia quelle relative alla violazione dei doveri istruttori officiosi ed all’omessa valorizzazione di prove e fatti decisivi. Assume che sia illogica la motivazione del decreto impugnato nella parte concernente il diniego della protezione umanitaria, in quanto “la circostanza del lavoro stagionale svolto dal richiedente è merito per il riconoscimento della protezione umanitaria, e non può certo essere addebitata al richiedente l’intrinseca stagionalità reddituale del lavoro agricolo, svolto, tra l’altro, nelle note modeste condizioni alloggiative e di vita nelle campagne, concorrendo il richiedente all’accrescimento della produzione agricola ed alla ricchezza dell’Italia”. Richiama la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455/2018), deduce che il suo forzoso rimpatrio determinerebbe l’apprezzabile compromissione della sua dignità e del suo diritto ad un’esistenza libera e dignitosa che risulta aver raggiunto, perdendo così anche la possibilità di aiutare la sua povera famiglia, moglie e figlio, che si trova in Gambia.

5. I primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

5.2. Le censure per vizio di violazione di legge e per “omessa valorizzazione di prove e fatti decisivi”, formulate, in modo ripetitivo e non del tutto lineare, con riferimento al diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sono inammissibili nella parte in cui il ricorrente, mediante la formale denuncia del vizio di violazione di legge, sollecita in realtà una diversa ricostruzione fattuale e una rivalutazione del merito (cfr. tra le tante Cass. n. 3340/2019), in ordine alla non credibilità della vicenda narrata e alla valutazione della situazione del suo Paese, per quanto di rilevanza ai sensi della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Inoltre il ricorso non si confronta con il percorso argomentativo di cui al decreto impugnato, avendo il Tribunale esaminato in dettaglio la vicenda personale narrata dal richiedente (pag. 4 decreto) e rimarcato analiticamente le ragioni di inattendibilità del suo racconto, nonchè avendo i Giudici di merito descritto la situazione del Senegal, indicando le fonti di conoscenza (pag. 5 e 6) da cui è stata desunta l’insussistenza di una situazione rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Si è trattato, dunque, di accertamenti di fatto insindacabili, ove adeguatamente motivati come nella specie (Cfr. Cass. n. 30105/2018 anche con riferimento alla situazione del Paese di origine). Il ricorrente neppure censura specificatamente le ragioni, sopra indicate, a sostegno della decisione impugnata, limitandosi genericamente a sostenere di aver fornito le prove della sua versione dei fatti, quanto al giudizio di non credibilità, senza formulare considerazioni critiche in ordine ai rilievi di contraddittorietà ed inverosimiglianza del suo racconto, analiticamente motivati dal Tribunale, nonchè limitandosi ad indicare, quanto alla situazione generale del Senegal, fonti di conoscenza anteriori rispetto a quelle richiamate nel decreto impugnato (Amnesty International 2015-16) o concernenti la tratta di esseri umani (da pag. n. 19 a pag. n. 27 – ecoinet), senza precisare quale sia l’attinenza specifica di dette ultime informazioni al suo caso. Infine il ricorrente si duole genericamente dell’omessa indagine sulla zona del Paese di sua provenienza, senza neppure indicare quale sia detta zona.

5.3. Le doglianze sono infondate nella parte in cui si denuncia il vizio di violazione di legge per l’omessa audizione personale del ricorrente tramite interprete e per il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, sempre in punto credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente. Quanto alla prima doglianza, è dirimente osservare che, come si dà atto anche in ricorso, il Tribunale ha proceduto all’audizione personale del ricorrente, comparso in udienza nonostante quest’ultima non fosse stata fissata per l’audizione, ed ha verbalizzato quanto dal medesimo dichiarato (cfr. pag. n. 3 decreto, in cui sono riportate in virgolettato le dichiarazioni) alla presenza del difensore, il quale neppure deduce di aver chiesto, in udienza, che il ricorrente fosse sentito con l’ausilio di un interprete. Sotto ulteriore profilo, peraltro, va rimarcato che, secondo le allegazioni di cui al ricorso, l’audizione sarebbe stata necessaria solo per chiarire che il ricorrente non avrebbe potuto ottenere protezione dalle autorità statali (pag. n. 13 ricorso). Tuttavia le allegazioni sulla necessità dell’audizione, come, si ripete, precisate in ricorso, non sono pertinenti rispetto alla ratio decidendi, in quanto il Tribunale non solo ha escluso, con dettagliata disamina, che la vicenda personale fosse credibile, ma ha anche aggiunto che il richiedente non aveva allegato di aver denunciato all’autorità statale coloro che lo avevano minacciato e di avere chiesto tutela alle Autorità del suo Paese (pag. n. 4 decreto). Il ricorrente non si confronta con detta precisa argomentazione, ribadisce più volte che il Tribunale ha ritenuto decisivo l’elemento della protezione dello Stato, neppure ripropone la ricostruzione della sua vicenda personale, che si evince solo dall’esposizione di cui al decreto impugnato, nè confuta specificamente, come già evidenziato, i plurimi rilievi di contraddittorietà e lacunosità del racconto, in dettaglio illustrati dal Tribunale. Sono, di conseguenza, infondate anche le censure concernenti la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi, perchè il dovere di cooperazione istruttoria in ordine alla credibilità della vicenda personale non sussiste se le allegazioni sono generiche e inattendibili (Cass. n. 27336/2018), come nella specie.

6. L’ultimo motivo, concernente il diniego della protezione umanitaria, è inammissibile.

6.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre precisare, in via preliminare, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

6.2. Tanto premesso, in primo luogo il Tribunale ha esaminato la domanda di protezione di cui trattasi, ritenendo insussistenti i correlati requisiti, mentre il ricorrente, per un verso, deduce che sia mancato l’esame della “sussistenza dei requisiti”, svolgendo una censura che non si confronta con la ratio decidendi, e, per altro verso, denunciando il vizio di violazione di legge, allega genericamente la propria situazione di vulnerabilità, lamentando, ancora una volta, che la sua audizione si sia svolta in assenza di interprete e che sia stata ignorata la sua provenienza da “luoghi pericolosi”, senza precisare alcun elemento individualizzante di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019).

Il fattore di integrazione lavorativa e sociale in Italia non può essere isolatamente considerato, diventando recessivo se difetta la vulnerabilità, come nella specie, ed inoltre la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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