Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13347 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13347 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 17533-2012 proposto da:
ROSATI

ELISABETTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALCIDE DE GASPERI 35, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA
GRAZIANI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PAOLO

FRANCESCO

BERNARDINETTI, giusta procura

speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

2d5 FRANCESCHELLI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

908
,

V.LE REGINA MARGHERITA 111, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE SCIOSCIA, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale in calce al controricorso;
controricorxente
nonchè contro

FALCIONE LETIZIA;

Data pubblicazione: 30/06/2015

- Intimata avverso la sentenza n. 712/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 09/02/2012, R.G.N. 9770/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 15/04/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato DE STEFANIS per delega non scritta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
GIANFRANCO

SERVELLO,

che

ha

concluso per

l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.

– Il Tribunale di Rieti, con sentenza n. 390 del 5

luglio 2004, rigettò le domande di simulazione, revocatoria
ordinaria, risoluzione per inadempimento e di rescissione
proposte dalla G.L.A.I. s.a.s. in relazione al contratto di
compravendita immobiliare intercorso il 15 settembre 1998 tra
í coniugi Antonio Franceschetti a Lgatizi^ Falwicenm; szíctni,
olumit4h, intigntatu dalla società attxicti

ptgér

tutglarra un

proprio credito di euro 8.928,00 vantato nei confronti del
Franceschelli.
2.

– Avverso tale sentenza proponeva gravame Rosati

Elisabetta, nella sua qualità di cessionaria del credito
vantato

dalla

G.L.A.I.

s.a.s.

nei

confronti

del

Franceschetti, assumendo l’ingiustizia della decisione di
primo grado per aver rigettato le domande attoree (e,
segnatamente, quella di revocatoria ordinaria) sull’erroneo
presupposto dell’inesistenza del credito anzidetto; credito
che, in altro giudizio, era stato già riconosciuto con
sentenza di primo grado del Tribunale di Rieti n. 848/2000,
poi riformata in sede di gravame dalla Corte di appello di
Roma con sentenza n. 3829/2002, avverso la quale era stato
però proposto ricorso per cassazione.
2.1. – Si costituivano in giudizio entrambi gli
appellati, contestando la fondatezza del gravame e spiegando,
altresì, ricorso incidentale per la condanna, ex art. 96 cod.
proc. civ., dell’appellante principale al risarcimento dei
2

Dott.

danni e alla refusione delle spese di lite, ingiustamente
compensate nel primo grado di giudizio.
2.2. – Integrato il contraddittorio con la G.L.A.I.
s.a.s. di Savioli Antonietta (che, sebbene ritualmente
citata, rimaneva contumace), la Corte di appello di Roma, con
sentenza resa pubblica il 9 febbraio 2012, rigettava sia
l’impugnazione principale, che quella incidentale.

giudice di secondo grado, in riferimento all’appello
principale, osservava che il procedimento oggetto della sua
cognizione, concernente l’azione di simulazione, revocatoria,
di rescissione e di risoluzione del contratto di
compravendita, scaturiva dalla “azione creditizia svolta
dalla G.L.A.I. s.a.s. di Savioli Antonietta nei confronti del
Franceschelli per il pagamento di euro 8.928,00, credito
.derivante dalla sentenza n. 848/00 del 23.10.2000 emessa dal
tribunale di Rieti a carico di quest’ultimo”.
Tale sentenza, impugnata dal Franceschelli, veniva
annullata dalla Corte di appello di Roma con sentenza n.
3829/2002, quale decisione che, a sua volta, veniva tassata
con sentenza della Corte di tassazione del 12 luglio 2006,
con rinvio alla medesima Corte di appello di Roma, in diversa
composizione, “per il nuovo giudizio che, in mancanza di
riassunzione nei termini di cui all’art. 392 c.p.c., risulta
estinto secondo la previsione dell’art. 393 c.p.c.”.
Di qui, soggiungeva la Corte territoriale, l’estinzione
dell'”intero processo” e, quindi, della stessa sentenza del
tribunale che aveva riconosciuto il tredito della G.L.A.I.
s.a.s. che era stato, poi, posto a base dell’azione
simulatoria e revocatoria.
Sicché, essendo venuto meno l’anzidetto diritto di
credito, originato dal processo successivamente estinto,
risultava conseguentemente infondata l’impugnazione proposta
avverso la sentenza di primo grado, n. 390/2004, con
implicito assorbimento di ogni altra questione.
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2.3. – Per quanto ancora rileva in questa sede, il

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Rosati
Elisabetta, affidando le sorti dell’impugnazione a due
motivi.
Resiste con controricorso Antonio Franceschelli.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede
l’intimata Letizia Falcione.
CONSIDERATO IN DIRITTO

360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di
motivazione, nonché denunciata, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 392 e 393 cod. proc. civ., in
considerazione della “inesistenza del presupposto della
mancata riassunzione del giudizio”.
La ricorrente assume che, a seguito della sentenza n.
21811 del 2006 con cui la Corte di legittimità cassava con
rinvio la decisione di appello n. 3829/2002 (che, a sua
volta, aveva riformato la sentenza del Tribunale di Rieti n.
848/00), provvedeva alla tempestiva riassunzione della causa,
con citazione che dava luogo al giudizio distinto da R.G. n.
7126/2006, tuttora pendente.
Tali circostanze risultavano “chiaramente dagli atti
depositati nel giudizio di seconde cure del presente
procedimento”, essendo stati prodotti, all’udienza del 10
novembre 2009, l’atto di citazione in riassunzione notificato
tempestivamente il 24 novembre 2006, la copia della sentenza
della cassazione n. 21811 del 2006, la copia della sentenza
del Tribunale di Rieti n. 848/00, nonché la copia di
ordinanza riservata del 17 gennaio 2008 resa dalla Corte di
appello di Roma nel diverso giudizio di cui al R.G. n.
7126/06.
Posto, dunque, che tutti i predetti atti attestavano la
pendenza del giudizio relativo all’esistenza del credito
vantato da essa Rosati, la Corte territoriale sarebbe giunta
ad una decisione “superficiale” ed “aberrante”, in base ad
4

1. – Con il primo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art.

una “ratio decider:di fondata su un fatto inesistente”,
limitandosi “ad affermare apoditticamente che il giudizio di
appello avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Rieti
n. 848/00 e relativo alle riconosciute pretese creditorie
vantate dalla Sig.ra Rosati, non è stato riassunto dalla
odierna ricorrente”, omettendo, però, sia “di considerare gli
atti e documenti prodotti”, sia “di indicare sulla scorta di

Sicché, ove il giudice di secondo grado avesse valutato
le circostanze decisive ai fini della decisione, comprovanti
la tempestiva e regolare riassunzione della causa e la
contemporanea pendenza del giudizio distinto da R.G. n.
7126/2006, sarebbe pervenuto ad una diversa statuizione circa
l’esistenza del credito di essa Rosati, con conseguente
necessità di pronunciarsi nel merito delle domande proposte
in primo grado.
Pronuncia nel merito che, nella asserita sussistenza di
tutti gli elementi di fatto, la ricorrente invoca anche da
parte di questa Corte, ai sensi dell’art. 384 cod. proc.
civ.
2. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi
dell’art. 360, coma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod.
proc. civ., nonché denunciato, in relazione all’art. 360,
coma primo, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione.
In conseguenza della “errata ricostruzione in fatto
degli avvenimenti oggettivi e degli atti e documenti di
riferimento”, nonché della insufficiente e contraddittoria
esposizione dei “motivi in fatto” posti a fondamento della
decisione, “assolutamente inesistenti erronei ed estranei al
processo”, si configurerebbe un palese vizio della sentenza
di secondo grado, ai sensi dell’art. 132, comma secondo, n.
4, cod. proc. civ., in quanto la Corte distrettuale avrebbe
impedito il controllo logico-giuridico sulla motivazione.

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quali elementi ha fondato il proprio convincimento”.

3. – I motivi, che per loro stretta connessione possono
essere congiuntamente scrutinati, sono inammissibili.
3.1. – Nella specie, la ricorrente imputa al giudice di
appello di aver adottato una

ratio decidendl “fondata su un

fatto inesistente”, ossia la “mancata di riassunzione nei
termini di cui all’art. 392 c.p.c.” del giudizio deciso in
primo grado dalla sentenza del Tribunale di Rietà. n. 848/00

della Corte di appello di Roma n. 3829 del 2002, a sua volta
cessata da questa Corte con sentenza n. 21811 del 12 luglio
2006, con rinvio alla medesima Corte territoriale, in diversa
composizione.
Donde, la denunciata errata valutazione, nella sentenza
impugnata in questa sede, della estinzione di quell'”intero
processo”, con conseguente vanificazione della pronuncia
favorevole in ordine alla sussistenza del credito della
Rosati (cessionaria dalla società G.L.A.I. s.a.s.) “posto a
base dell’azione simulatoria e revocatoria” fatte valere nel
presente distinto giudizio.
A sostegno della censura si assume che, nel corso del
giudizio di appello, sarebbero stati depositati (dalla
medesima appellante), all’udienza del 10 novembre 2009,
taluni documenti – tra cui proprio l’atto di citazione in
riassunzione conseguente alla cassazione della sentenza di
appello n. 3829/2002, che ha dato luogo al distinto giudizio
di cui al R.G. n. 7126/06, ancora pendente al momento della
pubblicazione della sentenza impugnata in questa sede – dai
quali emergeva che, per l’appunto, l’anzidetto giudizio era
stato riassunto a seguito di cassazione con rinvio.
3.2. – Alla stregua della consolidata giurisprudenza di
questa Corte (tra le tante, Case., 29 ottobre 2010, n. 22171;
Cass., 3 giugno 2002, n. 8023), l’errore di fatto previsto
dall’art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., idoneo a
determinare la revocabilità delle sentenze, consiste in un
errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia
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del 23 ottobre 2000, riformata in appello dalla sentenza

indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di
un fatto decisivo che risulti invece incontestabilmente
escluso o accertato alla stregua degli atti o dei documenti
di causa, sempreché il fatto stesso non abbia costituito
oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia
pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il
contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso

atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile
dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio.
3.3. – Sicché, quanto la ricorrente addebita alla Corte
territoriale è un errore di percezione su un fatto, assunto
come esistente e che, invece, sarebbe incontestabilmente
escluso dall’evidenza degli atti di causa.
E, in effetti, la “mancanza di riassunzione” del
giudizio, così come rilevata dalla sentenza impugnata – senza
che sul punto risulti, dalla stessa sentenza, esservi stata
discussione tra le parti – è frutto di supposizione di un
fatto (materiale assenza dell’instaurazione del giudizio di
riassunzione) e non espressione di un giudizio, quale,
invece, quello sulle conseguenze della mancata riassunzione,
ossia l’estinzione dell’intero processo.
Né il riferimento ai “termini di cui all’art. 392
c.p.c.” può indurre a ritenere che l’anzidetta supposizione
si sia tradotta in un giudizio sulla tempestività o meno
della riassunzione, giacché l’assunto del giudice di appello
si risolve esclusivamente in una mera constatazione di un
difetto di riassunzione, senza alcun rilievo sulla concreta
tempistica del caso, così da relegare il richiamo normativo
nell’ambito di una semplice ricognizione astratta delle
modalità operative della fattispecie processuale.
Ne deriva, pertanto, che, proprio alla stregua di
quanto, nella sostanza (ma in modo in equivoco), denunciato
dalla ricorrente (che, come messo in rilievo nella sintesi
del motivo, insiste sulla “inesistenza” del fatto accertato
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fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli

dal giudice di secondo grado; cfr., tra le altre, pp. 7, 9,
11 e 22 del ricorso) e di ciò che emerge dalla stessa
sentenza impugnata in ordine alla riconducibilità della
affermazione di “mancanza di riassunzione” alla
rappresentazione di un fatto, il rimedio che, nella specie,
avrebbe dovuto esperire la Rosati era il ricorso per
revocazione ai sensi dell’art. 395, primo camma, n. 4, cod.

cassazione.
4. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e
la ricorrente condannata al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo in favore del controricorrente; nulla è da
disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei
confronti della parte intimata che non ha svolto attività
difensiva in questa sede.
Non sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96
cod. proc. civ., evocata dal controricorrente senza
allegazioni di sorta a sostegno della domanda, che va,
quindi, respinta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso;
rigetta la domanda ex art. 96 cod. proc. civ. proposta
dal controricorrente;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in favore del
controricorrente e da distrarsi al suo difensore dichiaratosi
antistatario, in complessivi euro 2.000,00, di cui euro
200,00 per esborsi, oltre

spese

generali ed accessori di

legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

proc. civ. e non già il proposto ricorso ordinario per

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