Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13344 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13344 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 13990-2012 proposto da:
DINI ROBERTO (DNIRRT701.125D612A), considerato domiciliato
lege

ex

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ELENA
MANETTI e ALESSANDRA TURI giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

h

BANCA CR FIRENZE S.P.A., appartenente al Gruppo Bancario
Intesa San Paolo, in persona del dott. MARIANO BARBARO, nella

Q05

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sua qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in
ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 92, presso lo studio dell’avvocato
ANTONELLA IANNOTTA, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controrícorrente

Data pubblicazione: 30/06/2015

nonchè contro
BRESCI SILVANA;
– intimata avverso la sentenza n. 285/2012 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 24/02/2012, R.G.N. 2242/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 15/04/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato ANTONELLA IANNOTTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza resa pubblica il 24 febbraio 2012, la
Corte di appello di Firenze rigettava l’impugnazione proposta
da Roberto Dini avverso la decisione del Tribunale della
medesima Città che aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 2901
cod. civ., inefficace nei confronti della Cassa di Risparmio
di Firenze S.p.A. il contratto concluso l’e febbraio 2005 tra
l’anzidetto Dini, acquirente, e Silvana Bresci, alienante,
per la vendita di “un quartiere di abitazione con attiguo
fondo adibito a laboratorio artigianale”, effettuata in danno
delle ragioni della banca attrice, che vantava nei confronti
della Bresci un pregresso credito di euro 25.083,81.
1.1. – La Corte territoriale, precisato che il thema
dacidandum era ristretto alla verifica della sola sussistenza

udito l’Avvocato ELENA MANETTI;

della cd. scianti& damni in capo all’acquirente, riteneva che

gli indizi al riguardo valutati dal primo giudice

(conclusione del contratto in assenza di mediazione; difetto
di prova circa le modalità con le quali il compratore era
venuto a conoscenza della messa in vendita degli immobili,
risultando “improbabile” la circostanza, addotta dal
medesimo, di “aver letto l’annuncio su un cartello appeso ad
un albero”, essendo le parti entrambe imprenditori e abitanti
“nello stesso paese”; riserva di abitazione e non di
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usufrutto dell’appartamento in capo alla venditrice;
indicazione specifica nell’atto di vendita dell’effettivo
pagamento e delle modalità di esso; comunicazione della
venditrice all’acquirente di “una necessità impellente di
liquidità, tanto da vendere unitariamente i propri beni
immobili, e con modalità che evidenziavano un certa premura”,
tale da procedere alla vendita senza previo contratto

assumevano un significato neutro, nella loro complessiva ed
unitaria lettura davano, invece, prova della sussistenza del
requisito della scientia damni ai fini dell’utile esperimento
dell’azione revocatoria.
2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Roberto
Dini sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la Banca Cassa di Risparmio di
Firenze S.p.A.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede
l’intimata Silvana Bresci.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa
applicazione degli artt. 2727-2729 cod. civ., nonché dedotto
vizio della motivazione.
La Corte territoriale avrebbe fatto uso della non
consentita pxesumptio de pxesuppto nel pervenire al fatto
ignoto della conoscenza, da parte dell’acquirente, della
vendita in danno dei creditori dell’alienante, in base al
fatto, altrettanto ignoto, che le parti si conoscessero prima
della vendita, desunto dall’unico fatto “pacifico”, che le
parti fossero entrambi imprenditori “ed operassero in
località limitrofe”.
Sarebbe, poi, contraddittoria la motivazione della
sentenza impugnata, la quale, dopo aver ammesso “che tutti
gli elementi presi in considerazione dal Tribunale sono di
per sé privi di valore indiziario”, gli stessi elementi,
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preliminare), à. quali seppure singolarmente considerati

”valutati unitariamente”, esprimono “invece un diverso
significato, tanto da assurgere a valore di prova”.
2.

– Con il secondo mezzo è dedotto vizio della

motivazione.
La Corte territoriale non avrebbe motivato sulle ragioni
per cui abbia ritenuto corretta la valutazione del Tribunale
sugli argomenti di prova, né sul perché gli indizi

diverso ed opposto a quello espresso da ciascuno di essi
singolarmente”.
Il ricorrente, incentrando la propria critica sulla
valutazione data dalla Corte di appello a determinati
elementi di fatto (la previa conoscenza tra alienante ed
acquirente; la vendita dell’intero patrimonio da parte della
Bresci; la riserva del diritto di abitazione; la rapida
conclusione dell’affare; le dettagliate modalità di pagamento
indicate nel contratto di compravendita), assume che detto
apprezzamento sia stato, in parte, erroneo e, in ogni caso,
carente della spiegazione circa “il collegamento logico tra
gli stessi” elementi considerati.
3. – Con il terzo mezzo è prospettata violazione e falsa
applicazione degli artt. 2901 e 2967 cod. civ., nonché
dedotto vizio della motivazione.
La carenza di valore probatorio “delle presunzioni
utilizzate” dai giudici di merito avrebbe dovuto indurre la
Corte territoriale a ritenere il difetto di prova sul
requisito della sclentia damni, che non avrebbe potuto essere
raggiunta con il richiamo all’ordinaria diligenza in capo
all’acquirente, il quale non poteva sospettare
dell’esposizione debitoria della venditrice, “non soggetta ad
alcun tipo di pubblicità”.
4. – I motivi, da scrutinare congiuntamente per la loro
stretta connessione, non possono trovare accoglimento.
La motivazione della sentenza impugnata non si presta,
infatti, ad essere censurata

in iure, né sotto il profilo
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unitariamente considerati avrebbero assunto “un significato

della sufficienza e congruità del percorso argomentativo
adottato, essendo invece rispondente a principi consolidati
enunciati da questa Corte e priva di vizi logici.
Giova, infatti, rammentare che, in tema di azione
revocatoria ordinaria, la consapevolezza dell’evento dannoso
da parte del terzo contraente, prevista quale condizione
dell’azione dall’art. 2901, primo comma, n. 2, prima ipotesi,

cod. civ., consiste nella conoscenza generica del pregiudizio
che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore,
diminuendo la garanzia patrimoniale, può arrecare alle
ragioni dei creditori e la relativa prova può essere fornita
anche a mezzo di presunzioni (tra le altre, Cass., 15
febbraio 2011, n. 3676).
Proprio sotto il profilo del ragionamento probatorio, è
da escludere, anzitutto, che giudice di appello abbia fatto
ricorso a presunzioni tratte da presunzioni (ossia
utilizzato, in modo inammissibile, come fatto noto una
presunzione, per derivarne da essa un’altra presunzione:
cfr., tra le altre, Cass., 28 gennaio 1995, n. 1044), giacché
ciascuno degli elementi (conclusione del contratto in assenza
di mediazione; attività imprenditoriale svolta da entrambe le
parti, le quali abitavano nello “stesso paese”; modalità di
conoscenza dell’affare da parte dell’acquirente, ritenute poi
inattendibili; disposizione dell’intera proprietà immobiliare
dell’alienante, con riserva del diritto di abitazione;
esigenza di pronta liquidità resa nota dall’alienante
all’acquirente; previsione di dettagliate modalità di
pagamento del prezzo), poi unitariamente considerati ai fini
della dimostrazione del fatto ignoto costituito dalla
sussistenza dell’elemento della scientia damni del terzo, è
stato desunto da circostanze ritenute non controverse e
comunque provate.
Ciò posto, il giudice di appello, nel valutare gli
elementi anzidetti (cfr. anche sintesi al § 1.1. del
“Ritenuto in fatto” che precede), si è correttamente ispirato
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í;

al dictum secondo cui, “in tema di prova per presunzioni, il
giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità
nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da
rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a
base della selezione delle risultanze probatorie e del
proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che
si articola necessariamente in due momenti valutativi: in

indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di
rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi
singolarmente, presentino una positività parziale o almeno
potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è
doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi
presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e
se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida
prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con
certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.
Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di
legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a
negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio
senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti
di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove
valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe
potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto
di vicendevole completamento” (Cass., 13 ottobre 2005, n.
19894; Cass., 6 giugno 2012, n. 9108).
La complessiva ed unitaria valutazione degli indizi
raccolti è risultata essere, dunque, la barra di orientamento
del ragionamento decisorio seguito dalla Corte di appello,
scaturendone un giudizio di sintesi, che le censure di parte
ricorrente non scalfiscono, posto che proprio esse si pongono
sul piano, non consentito, di una considerazione atomistica
dei vari indizi, suggerendo, peraltro, per ciascuno di essi,
una lettura in parte alternativa (come ad esempio, ma non
solo, in riferimento alla inferita circostanza sulla previa
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primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi

conoscenza tra le parti contraenti, mai affermata in sentenza
in siffatti espliciti termini) a quella data dal giudice di
merito nell’esercizio dei poteri di apprezzamento del fatto
ad esso esclusivamente riservati.
Ciò senza tener conto, poi, che, le censure mosse con il
ricorso mancano di aggredire, in modo puntuale e specifico,
proprio il rilievo “pregnante” e centrale attribuito dalla

l’acquirente avesse appreso dalla stessa alienante della sua
“necessità impellente di liquidità, tanto da vendere
unitariamente i propri beni immobili”.
Né le considerazioni sul punto svolte dal ricorrente con
la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. possono integrare le
carenze presenti nell’atto di impugnazione, là dove,
peraltro, anche dette considerazioni non si prestano affatto
ad essere reputate specifiche e puntuali.
Né, infine, le doglianze colgono appieno il significato
del riferimento operato dalla sentenza impugnata alla
“ordinaria di diligenza” dell’acquirente nel potersi avvedere
del pregiudizio alle ragioni creditorie derivanti dalla
compravendita che andava a stipulare, posto che questo non
atteneva alla pubblicità legale della esposizione debitoria,
bensì proprio al complesso delle specifiche circostanze di
fatto (delibate unitariamente dal giudice di merito) da cui
poter desumere l’anzidetto pregiudizio.
5. – Il ricorso va, dunque, rigettato ed il ricorrente
condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, come liquidate in dispositivo.
Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione delle
anzidette spese nel confronti dell’intimata che non ha svolto
attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI moTrvI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che
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Corte territoriale all’indizio concernente la circostanza che

liquida, in favore della Cassa di Risparmio controricorrente,
in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della

Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

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