Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13344 del 01/06/2010

Cassazione civile sez. II, 01/06/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 01/06/2010), n.13344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7541-2005 proposto da:

V.M., in qualità di socio accomandatario, elettivamente

domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88, presso lo studio

dell’avvocato ARILLI GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato

FERRARA GIANCARLO;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIA COMO, in persona del Presidente dott.

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBERIO

IMPERATORE 15, presso lo studio dell’avvocato MONTI ANDREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIFFARETTI EUGENIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1485/2004 del TRIBUNALE di COMO, depositata il

07/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

V.M., nella qualità di socio accomandatario della VAMA s.a.s., proponeva opposizione al Tribunale di Como avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal Dirigente dell’Area Tutela Ambientale dell’Amministrazione provinciale di Como che, ordinando il rispristino dei luoghi, gli aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 19.862,00 a titolo di sanzione amministrativa per mutamento permanente d’uso del suolo boscato con danno al bosco, in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 55, comma 1 del regolamento regionale n. 1 del 1993 in relazione alla L.R. Lombardia n. 8 del 1976.

A sostegno dell’opposizione, deduceva che il materiale depositato sul mappale era stato collocato in via provvisoria ed era risultante dalla realizzazione di una stalla regolarmente autorizzata.

L’Amministrazione chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza dep. il 7 dicembre 2004 Tribunale rigettava l’opposizione.

Secondo il primo Giudice il ricorrente, privo della necessaria autorizzazione prevista dal R.D. n. 3267 del 1923 per procedere alla modifica dell’assetto del territorio, aveva proceduto alla collocazione di materiale di scavo su terreno boschivo soggetto a vincolo paesaggistico, mentre non era credibile l’affermazione del medesimo secondo cui il taglio delle piante sarebbe avvenuto in modo furtivo ad opera di terzi; tale attività aveva determinato il mutamento permanente dello stato dei luoghi che, secondo quanto documentato dalle fotografie effettuate dai verbalizzanti ed emerso dall’ispezione giudiziale, avevano perso le caratteristiche di bosco;

al riguardo, osservava ancora il Tribunale, per movimentazione di terreno non può ritenersi esclusivamente uno scavo effettuato sulla superficie su cui grava il vincolo giacchè, anche in presenza dell’immissione di terreno su un’ area protetta, pure un aumento del terreno su una superficie boscata determina quel mutamento dei luoghi che la norma tende a salvaguardare.

Doveva escludersi la buona fede dell’opponente che, già in precedenza condannato per una contravvenzione similare, era a conoscenza della necessità di munirsi dell’autorizzazione.

La reiterazione dei sessi comportamenti illegittimi sullo stesso mappale giustificava la determinazione della sanzione nel massimo edittale.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il V. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 1 del regolamento n. 1 del 1993 Regione Lombardia in rel. alla L.R. n. 8 del 1976, art. 27 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che, secondo la stessa giurisprudenza richiamata dalla sentenza impugnata, la condotta che integra l’alterazione permanente dello stato dei luoghi postula che essa determini un gravissimo danno e una profonda immutazione dei luoghi: il mutamento acquisisce il carattere della permanenza qualora esso sia tale da comportare l’impossibilità per un lungo periodo di tempo di ricostituzione del patrimonio naturale.

Dopo aver sottolineato che la indeterminata e generica dizione legislativa in ordine al mutamento permanente d’uso del bosco rende giustificabile l’ignoranza e la buona fede del presunto contravventore, il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto la sussistenza dell’illecito pur in presenza soltanto di immissione di terreno, peraltro soltanto temporaneamente depositato e prontamente rimosso, non essendosi verificata alcuna movimentazione o scavo nella zona protetta, posto che il materiale depositato proveniva dallo scavo della stalla per la custodia di animali. Il Giudicante, nel formulare una illegittima interpretazione estensiva della norma, non aveva spiegato in che cosa sarebbe consistito il mutamento irreversibile dei luoghi ed in modo tautologico aveva ritenuto irrilevante la sentenza di assoluzione emessa in sede penale del Tribunale che aveva considerato che non costituiva modifica del territorio l’intervento diretto a spianare e bonificare il terreno, per cui aveva ritenuto al riguardo non necessaria la concessione edilizia.

Il motivo è infondato.

Le norme, dirette alla tutela dell’equilibrio idro-geologico del territorio, hanno la finalità di prevenire qualsiasi comportamento che possa arrecare danno all’ambiente; pertanto, gli interventi che incidano sullo stato dei luoghi, sono sottoposti al regime autorizzatorio.

Come correttamente ritenuto dal Tribunale, fra le attività che possono determinare un mutamento dei luoghi cagionando dissesti ambientali, vi è non soltanto lo scavo intervenuto sulla zona protetta ma anche, come avvenuto nella specie, l’immissione di terreno in detta zona, trattandosi di intervento che – essendo comunque suscettibile di provocare danni – non può essere effettuato senza autorizzazione. In realtà la sentenza, nell’accertare l’irreversibile mutamento dei luoghi, ha verificato che, per effetto del taglio delle piante, il bosco aveva perso le sue caratteristiche secondo quanto emerso dalla documentazione fotografica e dall’ispezione giudiziale, rilevando come la sentenza di assoluzione aveva avuto ad oggetto circostanze diverse da quella oggetto del presente giudizio: trattasi di accertamento di fatto che costituisce oggetto dell’indagine riservata al giudice di merito che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità, se – come nella specie – sia immune da vizi di motivazione, dovendo qui chiarirsi che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 consiste nella contraddittorietà o illogicità intrinseca del provvedimento impugnato, quale risulta dal suo contenuto, e non può essere invocato per denunciare il contrasto fra la decisione e quanto sarebbe emerso dalle prove acquisite, posto che la Cassazione ha il potere di verificare la correttezza della decisione impugnata alla stregua dell’iter logico giuridico seguito ma non di verificare se la stessa sia esatta in base agli elementi probatori acquisiti.

D’altra parte, la sentenza penale di assoluzione emessa in relazione a condotte che non sono formato oggetto del presente procedimento non potrebbe spiegare alcun effetto.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 2 del regolamento n. 1 del 1993 Regione Lombardia in rel. alla L.R. n. 8 del 1976, art. 27 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la sentenza impugnata che aveva commisurato la sanzione a 370 mq di terreno depositato, calcolata ad occhio quando la norma punisce lo scavo e la movimentazione di terreno e non il suo deposito, senza che fosse spiegato la relazione fra il terreno depositato e la immutazione dei luoghi, Il motivo va accolto nei limiti di cui si dirà.

La censura, concernendo la determinazione della sanzione irrogata ai sensi dell’art. 55 del richiamato regolamento, investe la Corte della verifica della sua legittimità. Al riguardo, deve ritenersi illegittima la sanzione così come è stata irrogata, atteso che, secondo quanto già statuito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 936/2005; 1696/2005), in tema di illecito amministrativo, se è compatibile con il principio di legalità la previsione di norme secondarie integrative del precetto contenuto nella norma primaria (allorchè la materia sia caratterizzata da un particolare tecnicismo e sia necessario, pertanto, rinviare a provvedimenti amministrativi espressione di discrezionalità tecnica, e purchè venga dalla norma primaria circoscritto l’ambito in cui tale discrezionalità può operare), è, però, in ogni caso inibito alle norme primarie di demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione; è pertanto illegittimo, e va dunque disapplicato, l’art. 55 del regolamento della Regione Lombardia 23 febbraio 1993, n. 1, in materia di prescrizioni di massima e di polizia forestale, che prevede sanzioni proporzionali al danno cagionato al territorio dall’illecito amministrativo atteso che la norma primaria (la L.R. n. 8 del 1976, art. 27 come sostituito dalla L. n. 80 del 1989, art. 21) che aveva fatto rinvio a tali prescrizioni, non ha previsto entro quale ambito, tra un minimo e un massimo, avrebbe potuto essere determinato il danno cui parametrare proporzionalmente la sanzione.

Ne consegue che, con riferimento alla normativa ratione temporis applicabile alla specie, permangono in vigore le sanzioni stabilite in via transitoria, cioè sino, appunto, all’entrata in vigore delle sanzioni proporzionali da definire con le prescrizioni di massima e di polizia forestale di cui si è detto, dalla L.R. 5 aprile 1976, n. 8, stesso art. 27 (come sostituito dalla L.R. 21 dicembre 1989, n. 80, art. 21).

Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la sentenza laddove aveva escluso la buona fede dell’istante nonostante che l’errore scusabile, applicabile anche in materia di illeciti amministrativi, doveva essere ravvisato nella specie tenuto conto, oltre che dell’oscurità del testo normativo, del fatto che la condotta posta in essere dal ricorrente, il quale aveva eseguito interventi edilizi autorizzati dal Comune, era stata determinata dalla richiesta di bonificare l’area. Con motivazione laconica il Giudicante aveva fatto riferimento a una precedente contravvenzione che aveva d oggetto un fatto totalmente diverso.

Il motivo infondato.

In tema di sanzioni amministrative, la buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e quando l’autore medesimo abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva. L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona lede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione.

Nella specie, la doglianza si risolve nella censura dell’apprezzamento delle risultanze processuali ed in particolare degli elementi emersi dalla sentenza di condanna del 2001: al riguardo, il ricorso difetta altresì di autosufficienza, laddove non trascrive il testo della richiamata decisione in modo da dimostrare l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza qui gravata. La sentenza va cassata in relazione al secondo motivo con rinvio, anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Como in persona di altro magistrato.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso per quanto in motivazione rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,anche per le spese della presente fase, al Tribunale di Como in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2010

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