Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13343 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13343 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 13361-2012 proposto da:
D’ONGHIA CECILIA (MNGCCL50B46F784U) e CAZZOLLA ANASTASIO
(CZZNTS42A26E038Y), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
APPIA NUOVA 103, presso lo studio dell’avvocato ROMANA
D’AMBROSIO, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO
VITALE giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
GIGANTE GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DEL PINTURICCHIO 89, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
NARDELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato VITANTONIO

02.0i9
0334

CARAMIA giusta procura speciale a margine del controricorso;

BANCO DI NAPOLI S.P.A. Società appartenente al Gruppo
Bancario INTESASANPAOLO in persona della Dott.ssa MARIA
MARZOTTA nella sua qualità di Quadro Direttivo, in qualità di

Data pubblicazione: 30/06/2015

Direttore Generale e legale rappresentante del SAN PAOLO
BANCO DI NAPOLI S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO
SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GENNARO DI SERIO giusta procura speciale a
margine del controricorso;
– controrícorrenti –

CAZZOLLA FRANCESCO;
– intimato avverso la sentenza n. 342/2011 della CORTE D’APPELLO di
LECCE, SEZ.DIST. di TARANTO, depositata il 05/11/2011, R.G.N.
325/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 15/04/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato ENRICA FASOLA per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
l. – Con atto di citazione dell’aprile 1997, Giuseppe
Gigante convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di
Taranto, i coniugi Anastasio Cazzolla e Cecilia D’Onghia,
nonché Francesco Cazzolla, fratello del primo, per chiedere
che fosse dichiarata la nullità per simulazione assoluta e
l’inefficacia

ex

art. 2901 cod. civ. sia del fondo

patrimoniale costituito dai convenuti, avente ad oggetto
appartamento e terreni, sia di un atto di vendita del 1996,
con il quale il Cazzolla aveva alienato al fratello una quota
di altre proprietà immobiliari.
A fondamento delle domande l’attore sostenne che tali
atti fossero fittizi e che fossero stati stipulati in
pregiudizio della sua posizione creditoria vantata nei
confronti dei coniugi, pari a lire 117.700.000, come
risultante da precetto e da assegno ritornato protestato.

2

non chè contro

Con atto di citazione del settembre 1997, il Banco di
Napoli S.p.A. convenne, dinanzi al medesimo Tribunale di
Taranto, i predetti coniugi Cazzolla e D’Onghia allegando di
essere creditore nei loro confronti della somma di lire
194.292.035 e chiedendo, pertanto, che fosse dichiarata
l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., della
coatituziono dell’anzidetto fondo patrimonialo.

Cazzolla e D’Onghia, nonché, nel primo procedimento, anche
Francesco Cazzolla, contestando la fondatezza delle domande
attoree.
Riuniti i giudizi, il Tribunale di Taranto, con sentenza
del febbraio 2005, rigettò la domanda di simulazione assoluta
dei due contratti e accolse le domande di revocatoria
ordinaria

ex art.

2901

cod. civ. avanzate da entrambi gli

attori.
2. – Avverso tale sentenza interponevano appello
principale i coniugi Cazzolla e D’Onghia sostenendo che
fossero insussistenti i presupposti necessari per
l’applicazione dell’art. 2901 cod. civ., segnatamente per
difetto di prova sulla consapevolezza del pregiudizio
arrecato al creditore (cd.

consilium fraudis)

e in ragione

del fatto che l’atto di compravendita era stato stipulato
soltanto al fine di estinguere un debito.
Proponeva, altresì, impugnazione incidentale Gigante
Giuseppe per vedersi accogliere la domanda di declaratoria di
simulazione assoluta.
Si costituiva il Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A., mentre
restava contumace Francesco Cazzolla.
La Corte di Appello di Lecce, Sezione di Taranto, con
sentenza resa pubblica il 5 novembre 2011, rigettava
l’appello principale e dichiarava inammissibile, oltre che
infondato, quello incidentale.
2.1. – La Corte territoriale, quanto alla declaratoria
di inefficacia della costituzione del fondo patrimoniale,
3

Si costituironu in entrambi i giudizi i convenuti

evidenziava che gli appellanti erano consapevoli di arrecare
pregiudizio ai creditori in quanto: i crediti erano anteriori
all’atto dispositivo de quo;

non era stato neppure allegato

quali eventuali bisogni della famiglia rendessero opportuna
la costituzione del fondo; non vi era stata prova (ma solo
allegazione) che le residue proprietà fossero sufficienti a
garantire i crediti del Gigante e del Banco di Napoli.

giudice di secondo grado assumeva che la consapevolezza del
terzo, Francesco Cazzolla, circa la menomazione della
garanzia dei crediti del Gigante dovesse ritenersi provata in
via indiziaria in base

ai

seguenti elementi: lo stretto

rapporto di parentela tra i soggetti; l’inesistenza di motivi
plausibili a ritenere che Anastasio Cazzolla non avesse già
soddisfatto le ragioni creditorie del fratello mediante
denaro, anziché con la cessione di quote immobiliari; la
collocazione temporale dell’atto di vendita effettuata
quattro giorni prima della costituzione del fondo
patrimoniale.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono
Anastasio Cazzolla e Cecilia D’Onghia sulla base di quattro
motivi, illustrati da memoria.
Resistono con distinti controricorsi Giuseppe Gigante e
il Banco di Napoli S.p.A. (già Sanpaolo Banco di Napoli
S.p.A.); quest’ultimo ha anche depositato memoria ex art. 378
cod. proc. civ.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede
l’intimato Francesco Cazzolla.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. – Con il primo motivo è denunciato, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia.
La Corte di appello avrebbe omesso di esaminare e
valutare, sulla base degli atti di acquisto depositati dai

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2.2. – In relazione, poi, all’atto di vendita, il

ricorrenti e comprovanti la proprietà di diversi immobili, il
residuo patrimonio degli stessi e l’assenza di pericolo per
il soddisfacimento dei crediti.
L’onere del debitore di provare che il residuo
patrimonio era sufficiente a garantire le ragioni creditorie
avanzate sarebbe stato assolto dagli attuali ricorrenti sia
nel primo, che nel secondo grado di giudizio non solo

compravendita di una serie di beni immobili a dimostrazione
della capienza del loro patrimonio (atti notarili che i
ricorrenti allegano anche all’odierno ricorso per
cassazione).
A fronte di ciò, la motivazione della Corte di Appello
si presenterebbe apodittica, generica e non adeguata, là dove
afferma che non vi sarebbe alcuna prova, ma solo mera
allegazione, che le residue proprietà degli appellanti
fossero sufficienti al soddisfacimento dei crediti.
Per le stesse ragioni la motivazione della pronuncia
impugnata sarebbe da considerarsi anche illogica nella parte
in cui ritiene provata la consapevolezza da parte dei
debitori del consilium fraudis,

senza valutare a tal fine il

valore delle residue proprietà dei ricorrenti.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in quanto la
Corte territoriale, nel ritenere provata la consapevolezza

deducendo il fatto, ma anche depositando gli atti di

dei debitori del pregiudizio arrecato ai creditori, non
avrebbe considerato che l’intento frodatorio e l’effettività
della suddetta consapevolezza non sarebbero rinvenibili in
atti di diposizione che, nel caso di specie, attenevano ad
una minima parte dell’intero patrimonio.
Pertanto, il giudice del gravame erroneamente avrebbe
desunto la sussistenza del

consillum fraudis dagli elementi

indicati, mentre avrebbe invece dovuto prendere atto che non
sussistevano le ragioni per l’esercizio dell’azione
5

67′

revocatoria ex art. 2901 cod. civ., in quanto non era emersa
la conoscenza da parte del debitore dei pregiudizi arrecati
ai creditori, poiché ancora proprietari di diversi immobili.
2.1. – I motivi, da scrutinare congiuntamente per la
loro stretta connessione, non possono trovare accoglimento.
Due sono i presupposti necessari affinché si possa, nel
caso di costituzione di un fondo patrimoniale per i bisogni

Cass., 10 febbraio 2015, n. 2530), giungere ad una
declaratoria di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 cod. civ.
e cioè il dato oggettivo consistente nel pregiudizio arrecato
alle ragioni ereditarie dall’atto di disposizione del
debitore e l’elemento soggettivo della conoscenza da parte
dello stesso debitore di detto pregiudizio provocato al
ereditare. Ciò, evidentemente, nella prospettiva, fatta
propria dalla Corte territoriale (cfr. p. 6 della sentenza
impugnata: “è sufficiente la consapevolezza da parte del
debitore del pregiudizio che con il proprio atto arreca alle
ragioni creditorie”; “la creditoria del Gigante e della Soc.
Banco di Napoli è ben anteriore all’atto dispositivo

de quo”)

e non investita da alcun mezzo di impugnazione, della
anteriorità dell’insorgenza del credito rispetto all’atto
dispositivo.
2.1.1. – Tanto premesso, occorre rilevare, quanto al
profilo oggettivo del pregiudizio arrecato ai ereditari, che
la Corte territoriale ha ritenuto che questo non fosse stato
oggetto di specifica censura da parte degli appellanti,
avendo essi (p. 8 della sentenza impugnata) “svolto doglianza
specifica esclusivamente in ordine alla impossibilità di
ravvisare consapevolezza circa la sussistenza

dell’eventus

damni”.
In tale ottica soltanto, quella della cd.

scientia

damnl, il giudice di merito ha, dunque, indagato il dato
della consistenza del residuo patrimonio dei debitori, là
dove i ricorrenti non hanno, in questa sede, censurato tale
6

della famiglia (che è atto a titolo gratuito: tra le altre,

specifica ratio decidendi che sorregge la decisione, in forza
della quale si dava per presupposta la sussistenza
dell’eventus damni, residuando solo l’accertamento
(conclusosi, poi, con esito positivo) sull’esistenza della
consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori con la
costituzione del fondo patrimoniale.
Sicché, i ricorrenti avrebbero dovuto dedurre in modo

territoriale, specifico motivo di appello in punto di eventus
damni,

dandone, poi, contezza a questa Corte attraverso,

anzitutto, il contenuto, rilevante e pertinente, dell’atto
gravame, che invece viene riportato solo per stralci
decontestualizzati e non intelligibili ai fini in esame.
Carenza, questa, che porta a ritenere, altresì, la novità in
questa sede (e, dunque, l’inammissibilità) della deduzione
(di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata)
concernente il presunto aumento di valore degli immobili che
si affermano rimasti in proprietà degli stessi debitori e
volta a dimostrare la capienza del patrimonio residuo.
Ciò senza tener conto che quanto rilevato ai fini della
delibazione sulla

sci entia

damni dalla Corte di appello

risulta, in ogni caso, dirimente anche sotto il profilo
dell’eventus

damni, non palesandosi affatto i vizi

motivazionali dedotti dai ricorrenti, giacché il riscontrato
difetto di prova circa la capienza del residuo patrimonio dei
debitori non è decisivamente contrastato dalla mera
produzione degli atti notarili di acquisto (in epoca ben
precedente alla costituzione del fondo patrimoniale) di
taluni beni, i quali, a tacer d’altro, non forniscono
riscontro sulla titolarità e consistenza, quantitativa e
qualitativa (per effetto, ad es., di trascrizioni o
iscrizioni in danno dei proprietari), del patrimonio al
momento dell’atto dispositivo pregiudizievole delle ragioni
creditorie. Tanto più considerato che a fondamento
dell’azione revocatoria non è richiesta, in ogni caso, la g1/7
7

puntuale di aver proposto, già dinanzi alla Corte

totale compromissione della consistenza del patrimonio del
debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più
incerta o difficile la soddisfazione del credito (che può
consistere non solo in una variazione quantitativa del
patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione
qualitativa di esso), incombendo al debitore l’onere di
provare l’insussistenza di tale rischio (tra le tante, Cass.,

Cass., 3 febbraio 2015, n. 1902).
2.1.2. – Sotto il profilo della cd.

scientia dammi,

il

giudice di appello si è attenuto ai principi enunciati da
questa Corte, secondo cui, nel caso (come quello in esame) di
costituzione di fondo patrimoniale successiva all’assunzione
del debito, à sufficiente la mera consapevolezza di arrecare
pregiudizio agli interessi del creditore ovvero la previsione
di un mero danno potenziale, la cui prova può essere fornita
anche tramite presunzioni (secondo un apprezzamento di fatto
incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da congrua
motivazione: Caso., 7 ottobre 2008, n. 24757), senza che
assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore
medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del
creditore, né la relativa conoscenza o partecipazione da
parte del terzo (Cass. 17 gennaio 2007, n. 966; Cass., 7
luglio 2007, n. 15310).
La valutazione di fatto operata dalla Corte territoriale
sulla concreta sussistenza della scientia damni è sorretta da
motivazione sufficiente ed adeguata (cfr. pp. 6/8 della
sentenza impugnata; § 2.1. del “Ritenuto in fatto” che
precede), che, anche per le considerazioni già in precedenza
svolte (in punto di asserita consistenza del patrimonio
residuo), non è scalfita dalla doglianze mosse con il ricorso
(che, per l’appunto, si incentrano solo sul profilo da ultimo
accennato).
3. – Con il terzo motivo è prospettato, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., vizio di
8

23 febbraio 2004, n. 3546; Cass., 14 ottobre 2005, n. 19963;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia.
La Corte di appello avrebbe omesso di accertare se
l’atto di vendita del 28 novembre 1996, con cui Anastasio
Caz zolla alienava al fratello una quota di proprietà
immobiliare, fosse adempimento di un debito scaduto ai sensi
dell’art. 2901, comma terzo, cod. civ. ed in quanto tale non

Gli attuali ricorrenti, infatti, avevano sempre
evidenziato che la vendita era finalizzata ad estinguere un
debito pregresso assunto da Anastasio Cazzolla nei confronti
del fratello con una scrittura privata del 19 settembre 1996,
depositata sin dal primo grado di giudizio e comprovante
l’ammontare del debito per lire 118.879.000, maturato per la
coltivazione di alcuni terreni rispetto ai quali non era
stato fornito, se non parzialmente, il conto gestione da
parte di Anastasio Cazzolla.
Tale ragione solutoria dell’atto di vendita del 1996,
disattesa dal giudice di primo grado, non sarebbe stata
oggetto di esame da parte della Corte territoriale, la quale
si sarebbe limitata a valutare la consapevolezza da parte del
terzo del pregiudizio arrecato ai creditori, ma non anche la
strumentalità dell’alienazione rispetto al pagamento di un
credito.
4. –

Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi

dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 2901, comma terzo, cod. civ.,
in quanto la Corte di Appello, ritenendo dimostrata la
consapevolezza di Cazzolla Francesco della diminuzione delle
garanzie creditorie, non avrebbe, invece, considerato il
disposto dell’anzidetta norma, per cui la vendita effettuata
a tacitazione dei crediti vantati da altri renderebbe non
revocabile l’atto dispositivo a prescindere dall’accertamento
dell’elemento soggettivo in capo al terzo.

9

soggetto ad azione revocatoria.

4.1 – I motivi

terzo e quarto, da esaminarsi

congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono
infondati.
Questa Corte ha affermato, in più di un’occasione, che
l’esenzione dalla revocatoria ordinaria dell’adempimento di
un debito scaduto, alla stregua di quanto stabilito dall’art.
2901, terzo comma, cod. civ., traendo giustificazione dalla

volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art.
1219 cod. civ., ricomprende anche l’alienazione di un bene
eseguita per reperire la liquidità occorrente all’adempimento
di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo
per tale scopo, ponendosi in siffatta ipotesi la vendita in
rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, così
potendosene escludere il carattere di atto pregiudizievole
per i creditori richiesto per la revoca (tra le altre, Cass.,
7 giugno 2013, n. 14420).
Sicché, non sussiste, nella specie, il denunciato vizio
motivazionale, né quello di error in ludicando, posto che la
Corte di appello, nel valutare la sussistenza dei presupposti
di cui all’art. 2901 cod. civ. con riferimento all’atto di
vendita intercorso nel novembre del 1996 tra i fratelli
Anastasio e Francesco Cazzolla, si è adeguata

in

iure al

predetto orientamento ed ha evidenziato (oltre allo stretto
rapporto di parentela tra i soggetti e alla collocazione
temporale dell’atto di vendita effettuata quattro giorni

natura di atto dovuto della prestazione del debitore una

prima della costituzione del fondo patrimoniale) la
“inesistenza di motivi plausibili acché, in presenza di
debitoria del Cazzolla Anastasio nei confronti del fratello
da lungo tempo, il primo non avesse soddisfatto le ragioni
creditorie del secondo con denaro, anziché cedergli quote di
immobili”.
Con ciò, il giudice di merito, contrariamente a quanto
dedotto dai ricorrenti, ha espressamente delibato la
circostanza, pure allegata dagli allora appellanti, che

67(

l’atto di alienazione delle quote immobiliari fosse stato
concluso come adempimento di un debito scaduto (ossia a
tacitazione di crediti assunti in forza della scrittura
privata prodotta in giudizio), escludendo, però (con
motivazione sufficiente e plausibile, ma, in ogni caso,
neppure direttamente e specificamente censurata), che fosse
stato fornito riscontro sul fatto che la vendita di quote

al soddisfacimento di un credito risalente nel tempo, in
luogo di un adempimento in denaro.
5. – Il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti
condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo.
Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione delle
anzidette spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto
attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido
tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida: in favore del Banco di Napoli
S.p.A., in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; in
favore di Giuseppe Gigante, in complessivi euro 8.200,00, di
cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

immobiliari avesse rappresentato l’unico mezzo per giungere

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