Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13341 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13341 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: SESTINI DANILO

PU

SENTENZA

sul ricorso 15653-2012 proposto da:
DI CICCO MARIELLA,

CATALANO MARINA,

CATALANO

ELISABETTA, CATALANO CORRADO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo
studio dell’avvocato ELENA ALLOCCA, che li
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro

CATALANO PATRIZIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 30/06/2015

ENRICO VOLPETTI, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5438/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/01/2012, R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/04/2015 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito l’Avvocato ELENA ALLOCCA;
udito l’Avvocato ENRICO VOLPETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

2

3676/2010;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Patrizia Catalano agì avanti al Tribunale di
Roma deducendo di avere urgente e impreveduto
bisogno di riottenere la disponibilità di un
appartamento che era detenuto in comodato da
Mariella Di Cicco e Martina, Elisabetta e Corrado
I resistenti contestarono la domanda negando
l’esistenza del rapporto di comodato e chiedendo
che venisse disposta la sospensione del
procedimento in pendenza di un giudizio di
usucapione relativo allo stesso immobile.
Il Tribunale disattese l’istanza di sospensione
e accolse la domanda della ricorrente, condannando
i resistenti al rilascio del bene.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di
Roma, che ha confermato quella di primo grado,
ricorrono per cassazione la Di Cicco e i Catalano,
affidandosi a tre motivi; resiste l’intimata a
mezzo di controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

La Corte di Appello ha rilevato che,

all’esito di un precedente giudizio fra Patrizia e
Claudio Catalano (definito con sentenza n.
5070/2007 del Tribunale di Roma), era risultata
accertata l’esistenza di un rapporto di comodato
stipulato “per un tempo ed un uso determinato” ex
art. 1803 c.c. ed ha precisato che
sull’accertamento della natura del negozio si era
formato il giudicato; ciò premesso, ha ritenuto
3

Catalano quali aventi causa da Claudio Catalano.

che non risultasse precluso alla comodante (che
nel precedente giudizio si era vista respingere la
richiesta di rilascio ad nutum) di agire
nuovamente per la restituzione del bene sulla base
di presupposti diversi, ossia del sopravvenuto
bisogno ex art. 1809 c.c.; accertata, infine, la
della comodante, ha ritenuto che dovesse essere
confermata la pronuncia di condanna al rilascio
emessa dal primo giudice.
2.

Con i primi due motivi, i ricorrenti

deducono “contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio”, che
individuano -quanto al primo motivo- nel contrasto
fra il dispositivo e la motivazione nella sentenza
n. 5070/2007 e -quanto al secondo motivo- nella
nullità di tale sentenza.
Più precisamente, rilevano che, benché nella
parte motiva avesse escluso la sussistenza di un
contratto di locazione ed avesse ipotizzato
l’esistenza della fattispecie di cui all’art. 1803
c.c., detta sentenza si era limitata -nel
dispositivo- a rigettare le domande proposte da
Patrizia Catalano, cosicché non risultava compiuto
alcun accertamento sull’esistenza del comodato.
Aggiungono che il contrasto fra il dispositivo
e la motivazione aveva comportato la nullità della
sentenza, che pertanto non poteva essere invocata
a sostegno dell’esistenza di un giudicato relativo
alla sussistenza del comodato.
4

sussistenza di tale urgente ed impreveduto bisogno

Col

terzo

motivo

(“violazione

e

falsa

applicazione dell’art. 2909 c.c.”), sulla premessa
che la sentenza n. 5070/2007 “non ha accertato
come esistente il rapporto di comodato”, i
ricorrenti rilevano che la sentenza oggi impugnata
“ha violato il principio della cosiddetta

giudicato formatosi sulla prima sentenza
“(relativo ad un punto fondamentale comune ad
entrambe le cause, e
Lupp«tú

ai

cA-andmto)

cioè

l’inesistenza del

pteuludu il ricEnme: dello

stesso punto accertato e risolto”.
3.

Tutti e tre motivi sono inammissibili in

quanto sono basati sul contenuto e la portata di
un atto (la sentenza n. 5070/2007) di cui non
risulta trascritto il contenuto (almeno nelle
parti di diretto interesse) e rispetto al quale
non vengono neppure fornite indicazioni utili al
reperimento negli atti processuali, in palese
violazione del principio di autosufficienza del
ricorso.
Va infatti considerato che, “poiché la sentenza
prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza
di un giudicato esterno rilevante ai fini della
decisione assume rispetto ad esso -in ragione
della sua oggettiva intrinseca natura di
documento- la natura di una produzione
documentale, il requisito di ammissibilità del
ricorso per cassazione indicato
dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
5

concerne

in

regiudicata civile”, non considerando che il

tutte le sue implicazioni anche una sentenza
prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla
quale il motivo di ricorso per cassazione
argomenti la censura della sentenza di merito
quanto all’esistenza, alla negazione o
all’interpretazione

del

suo

valore

cosicché, laddove si controverta sull’esistenza di
un giudicato esterno, il ricorso per cassazione,
deve riprodurre, a pena di inammissibilità, il
testo della sentenza di cui si affermi o si neghi
l’efficacia di giudicato (cfr. Cass. n. 26627/2006
e Cass. n. 2617/2015).
4.

Le spese di lite seguono la soccombenza.
p.q.m.

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso
e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere
alla controricorrente le spese di lite, liquidate
in euro 6.200,00 (di cui neuro 200,00 per
esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e
accessori di legge.
Roma, 15.4.2015

di giudicato esterno” (Cass. n. 21560/2011),

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