Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13331 del 26/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/05/2017, (ud. 11/05/2017, dep.26/05/2017),  n. 13331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. APRILE Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27817/2012 proposto da:

V.V., S.G., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO LIUZZI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MILENA LIUZZI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI SAN MINIATO, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

EQUITALIA CERIT SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 81/2012 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 13/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/05/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO APRILE.

Fatto

La Corte, riunita nella Camera di consiglio ex art. 380 bis, comma 1, del 11 maggio 2017;

udita la relazione del Consigliere Dott. Stefano Aprile;

rilevato che:

V.V. e S.G. hanno proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Firenze, confermando la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pisa, ha rigettato l’appello proposto dai medesimi, confermando l’atto impositivo costituito da cartelle di pagamento per Irpef, IVA e Irap relative agli anni 2003 e 2004;

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso;

considerato che:

il primo, il quarto e il quinto motivo di ricorso censurano la sentenza sotto il profilo della violazione di legge, con riferimento L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, poichè la sentenza avrebbe erroneamente statuito la non necessarietà, a fronte di accertamenti bancari, del rispetto del termine ordinatorio; con riferimento D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, poichè non si sarebbe tenuto conto dell’incidenza sui ricavi accertati dei maggiori costi relativi; con riferimento, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2 primo periodo, art. 3, comma 1, lett. c), poichè il maggior reddito è stato ritenuto prodotto con l’utilizzo dello Studio Associato, mentre doveva essere considerato come frutto del lavoro autonomo non soggetto a Irap;

il secondo e il terzo motivo censurano la sentenza sotto il profilo dell’insufficienza motivazionale su un fatto decisivo e controverso in ordine alla giustificazione dei movimenti bancari offerta dai ricorrenti, nonchè in merito alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro socio dell’associazione professionale;

i motivi sono infondati o inammissibili in quanto:

1) non è stata svolta un’attività di verifica in senso proprio, ma unicamente un’attività di accertamento compiuta a seguito delle indagini bancarie, accertamento al quale il contribuente ha comunque attivamente partecipato, dovendosi in proposito ricordare l’autorevole orientamento di legittimità secondo il quale “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015 Rv. 637604-01);

2) e 3) con adeguata e coerente motivazione di merito insuscettibile di censure in questa sede, è stato escluso che i contribuenti abbiano fornito adeguate giustificazioni per i movimenti contabili oggetto di accertamento, nonchè che il reddito sia imputabile anche all’ulteriore socio, rimasto estraneo al giudizio, tanto che non è stata ritenuta configurabile una ipotesi di litisconsorzio;

4) la valutazione forfettaria dei costi è ammessa solo in presenza di una ricostruzione sintetica del reddito ai sensi D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, restando a carico del contribuente la prova, nel caso oggetto del giudizio, degli eventuali costi, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6-5, Ordinanza n. 22266 del 03/11/2016 Rv. 642017-01. “In tema di accertamento induttivo delle imposte sui redditi, l’Amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purchè emergenti dagli accertamenti o dimostrate dal contribuente, su cui grava l’onere della prova dei costi deducibili dall’ammontare dei ricavi induttivamente determinati”);

5) trattandosi di redditi accertati nell’ambito di un’associazione professionale i medesimi restano soggetti all’imposta Irap, non avendo fornito il contribuente alcuna prova in ordine alle asserite diverse modalità di produzione del maggior reddito accertato;

in ragione della già disposta compensazione nei gradi di merito, sussistono giusti motivi per procedere analogamente in questo grado.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2017

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