Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13330 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8641-2019 proposto da:

V.L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANARO

25, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VISCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO DE MICHELE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2698/26/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA SEZIONE DISTACCATA di FOGGIA, depositata il

05/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La soc. Mav srl e il socio V.L.L. proponevano separati ricorsi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia avverso l’avviso di accertamento, notificato in data 11.6.2011, con il quale l’Agenzia delle Entrate, contestando maggiori ricavi per l’anno di imposta 2011, accertava le maggiori imposte Ires, Irap e Iva.

2. La Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i procedimenti, accoglieva parzialmente i ricorsi stabilendo la percentuale di ricarico nella misura del 120% in luogo della maggiore percentuale del 180% applicata dall’Ufficio con l’avviso di accertamento.

3. La sentenza veniva impugnata dalla società e dal socio e la Commissione Regionale Tributaria della Regionale della Puglia riuniti gli appelli li rigettava osservando, per quanto di interesse in questa sede: a) che correttamente il reddito era stato ricostruito secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, avuto riguardo alle gravi incongruenze riscontrate; b) che l’avviso di accertamento era stato regolarmente sottoscritto dal funzionario delegato dal capo ufficio; c) che, in assenza di prova contraria, avuto riguardo alla ristretta base societaria, valeva la presunzione di distribuzione ai soci degli utili in proporzione alle quote di partecipazione sociale.

5. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione V.L.L. affidandosi a due motivi, Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso. Il contribuente depositava memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la CTR omesso l’esame di plurimi fatti decisivi per il decidere. In particolare i giudici di seconde cure non avrebbero preso in considerazione quanto dalla contribuente contestato con specifico riferimento alla sussistenza degli elementi che giustificavano l’accertamento induttivo (irregolare emissione delle fatture di vendita, somministrazione di nr 31.700 cialde di caffè, utilizzo di litri 3.225 litri di olio di palma vegetale, minor incidenza del costo del venduto)

1.2 Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR fatto mal governo della normativa in vigore in tema di sottoscrizione di un atto impositivo.

1.2 Con il terzo motivo lamenta il ricorrente la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere l’impugnata sentenza erroneamente presunto la percezione di utili extracontabili in capo al socio di società a ristretta compagine sociale.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1 Ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile a norma del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, al caso concreto, in quanto il giudizio di appello è stato introdotto dopo l’11.09.2012, “Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alla questione di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4). La disposizione di cui al comma 4 si applica, fuori dai casi di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, lett. a) anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.”

2.2 Nella fattispecie in esame entrambi i giudizi hanno concluso per la legittimità dell’avviso di accertamento relativo alla mancata corrispondenza tra il redito dichiarato e quello ricostruito secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, rigettando le ragioni addotte dal ricorrente nell’originario ricorso e nell’appello. Dalla lettura dell’impugnata sentenza emerge che la CTR abbia condiviso le valutazione dei fatti compiuta dal giudice di prime cure nella determinazione della percentuale di ricarico del 120%. Pertanto la “doppia conforme” si fonda su identiche ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo e secondo grado.

3. Il secondo motivo non merita accoglimento

3.1 Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, stabilisce che “gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

3.2 La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che l’avviso di accertamento deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato incombendo sull’Amministrazione finanziaria dimostrare, in tale ultima evenienza e in caso di contestazione, l’esistenza della delega e l’appartenenza dell’impiegato delegato alla carriera direttiva (Cass. n. 12830/2017, 9736/2016, n. 27873/2018, n. 2787/2018).

3.3 Nel caso di specie la sentenza, con accertamento in fatto insindacabile in questa sede, ha, attenendosi alla norma e ai principi giurisprudenziali sopra indicati, rigettato l’eccezione sollevata dal contribuente rilevando che l’avviso è stato regolarmente sottoscritto dalla Dott.ssa N.A. funzionario appartenente alla III area funzionale, delegata dall’allora capo dell’Ufficio Dott. C.A., giusta ordine di servizio nr. 1 /2016.

4. Il terzo motivo è, parimenti, infondato.

4.1 In forza di un principio ribadito in più occasione dai giudici della Suprema Corte l’accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di inferire la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvesti (cfr. tra le tante Cass. 26248/2010, Cass. 8473/2014 e da ultimo 27049/2019). In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519),

4.2 la CTR ha fatto buon governo dei principi enucleati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione dopo aver accertato, in punto di fatto, l’esistenza di ricavi occulti e la ristretta base sociale della compagine societaria.

4.3 Sulla scorta della presunzione di cui sopra si è parlato vanno imputati al socio ricorrente nella loro interezza gli utili non dichiarati senza che si tenga conto, contrariamente all’assunto del contribuente, della perdita fatta registrare dal bilancio ufficiale.

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 3.000 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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