Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1333 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. II, 22/01/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24849/2019 proposto da:

D.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI

MARIA FACILLA, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

ROMA, VIA TEOFILO FOLENGO 49;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 1922/2019 del TRIBUNALE di BARI depositato il

9/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

7/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.A. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ovvero di quella umanitaria.

Già sentito dalla Commissione Territoriale nel 2014, il ricorrente aveva riferito di essere cittadino nigeriano, proveniente dall’Edo State e di aver abbandonato il suo Paese a causa del suo orientamento sessuale. La Commissione Territoriale, nuovamente adita, aveva dichiarato inammissibile la domanda in quanto mera reiterazione di domanda fondata sui medesimi presupposti di altra già respinta, anche in sede giurisdizionale.

Con decreto n. 1922/2019, depositato in data 9.4.2019, il Tribunale di Bari rigettava il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per riconoscere alcuna forma di protezione non essendo emersi elementi nuovi, nè essendo sopravvenute ulteriori circostanze che potessero giustificare una valutazione diversa rispetto a quella già resa. La storia del ricorrente era stata ritenuta non credibile già nel precedente procedimento; il Tribunale, tenendo conto che il richiedente non aveva compiuto alcuno sforzo al fine di meglio circostanziare i fatti e che non risultavano superate le incongruenze, riteneva che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Infatti, il ricorrente non allegava, nè in sede di prima istanza nè allorchè reiterava la domanda, alcun elemento da cui desumere che sussistesse il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione o appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. Quanto alla protezione sussidiaria, non era stata allegata alcuna circostanza da cui desumere la sussistenza dei presupposti di cui alle lett. a) e b), nè ricorreva l’ipotesi della minaccia grave ai sensi della lett. c), da ravvisare quando il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro sottoponga lo straniero al rischio di subire concretamente gli effetti della minaccia. Infine, anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria non poteva trovare accoglimento in quanto lo straniero non aveva provato la lesione di alcun diritto fondamentale.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione D.A. sulla base dei motivi che seguono. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11”, lamentando la mancata concessione della fissazione di udienza da parte del Tribunale, nonostante l’assenza di videoregistrazione dell’audizione in sede di Commissione Territoriale.

1.2. – Il richiedente deduce altresì la “1. Mancata assunzione dell’onere probatorio”, che deve ritenersi attenuato, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 a causa delle difficoltà di reperire prove in fuga da una situazione di pericolo; la “2. Sussistenza del diritto di asilo”, sottolineando come in Nigeria la tutela delle libertà fondamentali sia ancora lontana da raggiungere e gravissime siano le violazioni dei diritti umani; e la “3. protezione sussidiaria”, rispetto alla quale il Giudice ha il dovere di ampia indagine, di completa acquisizione documentale anche officiosa e di complessiva valutazione della situazione reale del Paese d’origine.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – I menzionati motivi possono essere esaminati congiuntamente dal momento che appaiono caratterizzati dal medesimo vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confrontano in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza di legittimità, accompagnate da mere – e generiche – asserzioni con riferimento alla specifica situazione della Nigeria (cfr. Cass. n. 18564 del 2020).

In tal senso, la asserita contestazione circa la mancata concessione della fissazione di udienza da parte del Tribunale, viene rivolta dal ricorrente solo sulla base di una generica affermazione contenuta nel ricorso (e non suffragata di elementi a sostegno), che non trova alcun riscontro nel contesto del decreto impugnato.

Viceversa, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare con chiarezza nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilmente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).

2.2. – Le proposte censure, come così rapsodicamente articolate, appalesano piuttosto lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi e per gli effetti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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