Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13328 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13328 Anno 2015
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 8979-2012 proposto da:
GUALDI MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato
GREGORIA MARIA FAILLA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ARTURO ANTONUCCI giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

AMENDOLA EVELINA MNDVLN52T541-1501J, CASA DI CURA
NOMENTANA SRL , MILANO ASSICURAZIONI SPA , DE MENNA
LILIANA, CANTERA CRISTIANA, GROUPARMA SPA , ARS MEDICA

Data pubblicazione: 30/06/2015

SPA ;
– intimati –

Nonché da:
AMENDOLA

EVELINA

MNDVLN52T54H501J,

elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA GONDAR 14, presso lo

difende giusta procura speciale del dott. notaio
CATERINA OREFICE in ROMA 03/3/2015, REP. n. 14180;
– ricorrente incidentale contro

CASA DI CURA NOMENTANA PRIVATA IN LOUID TcN

RL

,

in

persona del liquidatore dr. ANDREA ARIOLI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88,
presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che
la rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso;
GUALDI MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato
ARTURO ANTONUCCI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GREGORIA MARIA FAILLA giusta
procura speciale a margine del ricorso principale;
– controricorrenti all’incidentale nonchè contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA , DE MENNA LILIANA, CANTERA
CRISTIANA, GROUPARMA SPA , ARS MEDICA SPA ;
– intimati –

2

studio dell’avvocato PAOLO PAPA, che la rappresenta e

avverso la sentenza n. 2334/09 della CORTE DI APPELLO
DI ROMA, depositata il 4/6/2009, R.G.N. 7926/2002
parziale e n. 155/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 12/01/2012, R.G.N. 7926/2002 definitiva;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ROSSETTI;
udito l’Avvocato GREGORIA MARIA FAILLA;
udito l’Avvocato PAOLO PAPA;
udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’accoglimento dei primi tre motivi in subordine
del 4′ motivo del ricorso principale; rigetto del l’
motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri;

3

udienza del 26/03/2015 dal Consigliere Dott. MARCO

R.G.N. 8979/12
Udienza’del 26 marzo 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 1997 Evelina Amendola convenne dinanzi al Tribunale di Roma due
medici (Massimo Gualdi e Italo Cantera) e due società commerciali, gestori
di altrettante cliniche (Casa di Cura Nomentana s.r.l. e Ars Medica s.r.I.).
Ne chiese la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di due

(a)

un intervento di epicheratofachia all’occhio destro, eseguito da Italo

Cantera nel 1988 nella clinica gestita dalla Ars Medica;
(b)

un intervento di cheratomileusi all’occhio sinistro, eseguito da Italo

Cantera e Massimo Gualdi nel 1989 nella clinica gestita dalla Casa di Cura
Nomentana.

2. Ambedue i convenuti si costituirono e, oltre a negare la propria
responsabilità, chiamarono in causa i rispettivi assicuratori della
responsabilità civile: Italo Cantera chiamò in causa la Gan Italia s.p.a. e
Massimo Gualdi la Milano Assicurazioni s.p.a..

3. Il Tribunale di Roma con sentenza 10.7.2001 n. 26600 rigettò la
domanda.
La sentenza venne appellata da Evelina Amendola.
Nel corso del giudizio d’appello decedette Italo Cantera, e la causa venne
riassunta nei confronti delle sue eredi, Liliana De Menna e Cristiana Cantera.
La Corte d’appello di Roma:
-) con sentenza non definitiva 4.6.2009 n. 2334 confermò il rigetto della
domanda attorea nei confronti delle eredi Cantera, mentre accolse la
domanda nei confronti di Massimo Gualdi, rimettendo la causa sul ruolo per
la determinazione del quantum;
-) con sentenza definitiva n. 155 del 2012 liquidò il danno in 35.000 euro,
oltre accessori; dichiarò “non doversi disporre” sulla pretesa di Massimo
Gualdi nei confronti del proprio assicuratore, per non avere Massimo Gualdi
proposto un appello incidentale avente ad oggetto la propria domanda di
garanzia.

Pagina 3b.t5

interventi agli occhi:

R.G.N. 8979/12
Udienza del 26 marzo 2015

4. Ambedue le sentenze sono state impugnate da Massimo Gualdi con
quattro motivi di ricorso.
Ha resistito con controricorso Evelina Amendola, che ha altresì

proposto

ricorso incidentale fondato su tre motivi.
A tale ricorso incidentale hanno resistito con controricorso sia

Massimo

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale.
1.1. Col primo motivo di ricorso Massimo Gualdi sostiene che la sentenza
impugnata n. 2334/09 (quella non definitiva) sarebbe incorsa in un vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto
esistente il nesso di causa tra l’intervento da lui eseguito e il danno
lamentato dalla paziente.

1.2. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile
il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base
della decisione.
E’ altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all’obbligo della
motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze
processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma
è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio
convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi
e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata.
E’, infine, noto che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo

‘Pagina 4

Gualdi che la Casa di cura Nomentana.

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Udienza del 26 marzo 2015’

logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del
giudice del merito.
Da questi princìpi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di
legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella
adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è limitato a valutare

consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si
sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha dedicato ben tre pagine della
motivazione (pp. 12-15) della sentenza 2334/09 a spiegare perché dovesse
ritenersi sussistente il nesso di causa tra l’operato di Massimo Gualdi ed i
danni patiti da Evelina Amendola.
Ha spiegato che il solo dato del rinnovo della patente chiesto dalla paziente
non dimostrasse di per sé che fosse in grado di guidare l’automobile (e
quindi che l’intervento di cheratomileusi fosse riuscito); ha riferito che
l’intervento cui la paziente si sottopose un anno dopo quello eseguito dal
convenuto Gualdi era una conseguenza di quest’ultimo, come ritenuto dai
consulenti d’ufficio; ha dichiarato espressamente esservi una “dipendenza
causale” tra l’operato di Massimo Gualdi e le successive alterazioni corneali
patite dalla paziente; ha soggiunto che il contenuto deficitario della cartella
clinica – in coerenza con una ormai consolidata giurisprudenza di questa
Corte – doveva essere valutato a sfavore del medico, quale elemento idoneo
a corroborare la prova del nesso di causa.
Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica e non
manifestamente contraddittoria: dunque insindacabile in questa sede.

2. Il secondo motivo del ricorso principale.
2.1. Anche col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la
sentenza impugnata (quella definitiva: n. 155/12) sarebbe incorsa in un
vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo
insufficiente la quantificazione del danno, ed in particolare non avrebbe
considerato che l’intervento di cheratomileusi eseguito da Massimo Gualdi

Pagina 5-

se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e

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Udienza del 26 marzo 2015

non è stata la causa unica del danno, ma ha aggravato un danno già
presente ed ascrivibile all’altro sanitario, Italo Cantera.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Quale che sia stato l’apporto causale fornito da Massimo Gualdi alla

la sua opera ha concorso con quella di altra persona, ne risponderà per
l’intero ai sensi dell’art. 2055 c.c., salvo regresso (domanda che non è stata
formulata nel presente giudizio); se la sua opera ha concorso con fattori
naturali, ne risponderà ugualmente per l’intero ai sensi dell’art. 41 c.p.,
come noto applicabile anche in tema di responsabilità civile (Sez. U,
Sentenza n. 24408 del 21/11/2011, Rv. 620057).

3. Il terzo motivo del ricorso principale.
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente principale sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assume violato l’art. 1176 c.c.); sia da un vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere
sussistente la sua colpa professionale, sebbene essa fosse stata esclusa dai
consulenti tecnici d’ufficio.

3.2. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello, per pervenire alla propria sentenza di condanna, ha così
argomentato:
(a) quanto al nesso di causa tra l’operato di Massimo Gualdi e i successivi
interventi cui la paziente fu costretta a sottoporsi, esso era emerso dalle
consulenze disposte in corso di causa;
(b) quanto alla colpa del medico, essa doveva presumersi ai sensi dell’art.
1218 c.c., né il convenuto aveva superato tale presunzione;
(c) le generiche affermazioni del consulente d’ufficio, secondo cui il danno
patito dalla paziente doveva ritenersi una “complicanza” erano
giuridicamente irrilevanti, posto che il medico per andare esente da

Pagina 6

.,

causazione dell’evento di danno, egli ne risponde comunque per l’intero: se

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Udienza dei 26 marzo 2015

condanna ha l’onere di provare in concreto l’esatto adempimento della
propria obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d’una causa
di esclusione della colpa possa essere solo astrattamente ipotizzabile (così
la sentenza non definitiva, p. 14-15).

primo luogo che essa non presenta alcun vizio motivazionale: la Corte
d’appello ha infatti spiegato perché ha ritenuto sussistente il nesso di causa,
e perché ha ritenuto sussistente la colpa.

3.4. Non meno infondata è la denuncia di violazione dell’art. 1176 c.c..
La Corte d’appello non ha affatto accolto una domanda risarcitoria in
assenza di prova della negligenza colpevole del convenuto: ha accolto la
domanda risarcitoria sul corretto presupposto che spettasse al convenuto
fornire la prova della propria diligenza, e che tale prova non era stata
fornita.
V’è solo da aggiungere come al medico convenuto in un giudizio di
responsabilità non basta, per superare la presunzione posta a suo carico
dall’art. 1218 c.c., dimostrare che l’evento dannoso per il paziente rientri
astrattamente nel novero di quelle che nel lessico clinico vengono chiamate
“complicanze”, rilevate dalla statistica sanitaria.
Col lemma “complicanza”, la medicina clinica e la medicina legale designano
solitamente un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, che
pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile.
Tale concetto è inutile nel campo giuridico.
Quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la
conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del
paziente, delle due l’una:
– ) o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va
ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo
annoveri in linea teorica tra le “complicanze”;
– ) ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile:
ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui

Pagina 7

3.3. Questo essendo il contenuto della sentenza impugnata, ne consegue in

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Udienza dei 26 marzo 2015

all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in
linea teorica tra le “complicanze”.
Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o
no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se
quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile”: ma è evidente

circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come
“complicanza” non basta a farne di per sé una “causa non imputabile” ai
sensi dell’art. 1218 c.c.; così come, all’opposto, eventi non qualificabili come
complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la
colpa del medico.
Da quanto esposto consegue, sul piano della prova, che nel giudizio di
responsabilità tra paziente e medico:
– ) o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme
alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando
che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle
“complicanze”;
– ) ovvero, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora
non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto
imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed
evitabile nel caso concreto.
Prevedibilità ed evitabilità del caso concreto che, per quanto detto, è onere
del medico dimostrare.

4. Il quarto motivo del ricorso principale.
4.1. Col quarto motivo di ricorso principale Massimo Gualdi sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c..
Nonostante tale intitolazione, il ricorrente nella sostanza deduce un error in
procedendo:

lamenta, infatti, che la Corte d’appello ha omesso di

provvedere sulla domanda di garanzia da lui proposta nei confronti del
proprio assicuratore, la Milano s.p.a..

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che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto. La

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Udienza del 26 marzo 2015

Contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui egli avrebbe
avuto l’onere di proporre un appello incidentale condizionato per “tenere
viva” la domanda di garanzia. Quella domanda, infatti, in primo grado era
rimasta assorbita perché la domanda attorea fu rigettata: e dunque bastava

4.2. Il motivo è infondato.
Vi è da tempo contrasto, in seno a questa Corte, sul problema della
necessità o meno di proporre appello incidentale per sottoporre al giudice di
secondo grado le questioni poste dal convenuto vittorioso, e non esaminate
perché rimaste assorbite (contrasto rimesso alle Sezioni Unite di questa
Corte con la recente ordinanza pronunciata da Sez. 2, Ordinanza 5.2.2015 n.
2118).
Tuttavia anche l’orientamento meno rigoroso, ovvero quello che nega la
necessità dell’appello incidentale (e che quindi gioverebbe all’odierno
ricorrente), esige pur sempre che l’appellato vittorioso in primo grado, se
intende essere manlevato nel caso di accoglimento del gravame, debba
riproporre la domanda di garanzia ex art. 346 c.p.c., per evitare che la si
possa presumere abbandonata.
Nel nostro caso Massimo Gualdi, costituendosi in appello, tacque del tutto
sulla domanda di garanzia da lui formulata contro la Milano: dunque non
solo non propose appello incidentale, ma nemmeno ripropose in appello la
questione della manleva. Questione che, pertanto, la Corte d’appello non
era tenuta ad esaminare (ex multis, da ultimo, Sez. L, Sentenza n. 2051
del 30/01/2014, Rv. 629569).

5. Il primo motivo del ricorso incidentale.
5.1. Col primo motivo di ricorso incidentale Evelina Amendola sostiene che
la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi
dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe motivato in modo
insufficiente la decisione di ritenere “nuova” la domanda di condanna di
Italo Cantera (e, per lui, delle sue eredi) per l’intervento eseguito nel 1991.

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(A/t

la riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

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Udienza del 26 marzo 2015

5.2. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di motivazione non è infatti concepibile rispetto ad errores in
procedendo.

6.1. Col secondo motivo di ricorso incidentale Evelina Amendola sostiene
che la sentenza impugnata sarebbe viziata sia da una nullità processuale, ai
sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.; sia da un vizio di motivazione, ai sensi
dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello non ha liquidato né il danno
patrimoniale consistito nel costo del trapianto di cornee cui l’attrice si
sottopose nel 1997; né quello consistente nel costo del futuro intervento per
la sostituzione delle cornee trapiantate.
Soggiunge che la relativa domanda si sarebbe dovuta ritenere
implicitamente ricompresa nella richiesta di risarcimento dei danni “subiti e
subendi”, formulata con l’atto di citazione.

141
6.2. Il motivo è infondato.
La ricorrente lamenta nella sostanza una omessa pronuncia.
Il giudice tuttavia non è tenuto a provvedere su domande che non siano
ritualmente formulate (art. 112 c.p.c.). E nel caso di specie è la stessa
ricorrente ad affermare (pag. 17 del ricorso) che la domanda di risarcimento
del danno patrimoniale per spese mediche future (trapianto di cornea e
sostituzione della cornea trapiantata quando ne sarebbe esaurita la
funzionalità biologica) doveva ritenersi implicito nella domanda di
risarcimento dei “danni subiti e subendi”.
Una domanda di risarcimento del danno concepita in questi termini deve
ritenersi tamquam non esset.

6.2.1. L’art. 163, comma 2, nn. 3 e 4 c.p.c. impone all’attore di esporre,
nell’atto di citazione:
– la determinazione della cosa oggetto della domanda;

Pagina 10

6. Il secondo motivo del ricorso incidentale.

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Udienza del 26 marzo 2015

– i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda.
In tema di risarcimento del danno da fatto illecito o da inadempimento
contrattuale, la “cosa” oggetto della domanda è il pregiudizio di cui si
invochi il ristoro, e gli “elementi di fatto” costitutivi della pretesa sono
rappresentati dalla descrizione della perdita che l’attore lamenti di avere

L’adempimento dell’onere di allegare i fatti costitutivi della pretesa è
preordinato:
(a) a consentire al convenuto l’esercizio del diritto di difesa;
(b) a consentire al giudice di individuare il thema decidendum.
L’attore dunque non ha certamente l’onere di designare con un preciso
nomen iuris il danno di cui chiede il risarcimento; né ha l’onere di
quantificarlo al centesimo: tali adempimenti non sono infatti strettamente
necessari né per delimitare il

thema decidendum,

né per mettere il

convenuto in condizioni di difendersi.
L’attore ha invece il dovere di indicare analiticamente e con rigore i fatti
materiali che assume essere stati fonte di danno. E dunque in cosa è
consistito il pregiudizio non patrimoniale; in cosa è consistito il pregiudizio
patrimoniale; con quali criteri di calcolo dovrà essere computato.
Questo essendo l’onere imposto dalla legge all’attore che domanda il
risarcimento del danno, ne discende che una richiesta di risarcimento dei
“danni subiti e subendi”, quando non sia accompagnata dalla concreta
descrizione del pregiudizio di cui si chiede il ristoro, va qualificata generica
ed inutile. Generica, perché non mette né il giudice, né il convenuto, in
condizione di sapere di quale concreto pregiudizio si chieda il ristoro; inutile,
perché tale genericità non fa sorgere in capo al giudice il potere-dovere di
provvedere.

6.2.2. Questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte.
Già Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004, Rv. 574223, stabilì che
l’onere di contestazione gravante sul convenuto, e quello di allegazione
gravante sull’attore, sono tra loro speculari e complementari: sicché il
mancato assolvimento del secondo, non fa sorgere il primo.

Pagina 11

patito.

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Udienza del 26 marzo 2015

Più di recente, Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13/05/2011, Rv. 618210 ha
affermato che

“l’onere di allegazione (…) va adempiuto in modo

circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche,
astratte od ipotetiche”.
Infine,

stabilito che “le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una
domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della
condotta in tesi colpevole della controparte (…), ma devono includere anche
la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da
tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di
conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, e ciò a
prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni
onere probatorio al riguardo” (nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n.
17408 del 12/10/2012, Rv. 624080).
La sentenza d’appello, nel non prendere in esame una domanda formulata
in termini inferiori alla soglia minima di ammissibilità, non ha dunque violato
l’art. 112 c.p.c..
Il motivo va dunque dichiarato infondato in ossequio al seguente principio di
diritto:
Chi domanda in giudizio il risarcimento del danno ha l’onere di
descrivere in modo concreto i pregiudizi dei quali chiede il ristoro,
senza limitarsi a formule vuote e stereotipe come la richiesta di
risarcimento dei “danni subiti e subendi”. Domande di questo tipo,
quando non ne sia dichiarata la nullità ex art. 164 c.p.c., non fanno
sorgere in capo al giudice alcun obbligo di provvedere in merito al
risarcimento dei danni che fossero descritti concretamente solo in
corso di causa.

7. Il terzo motivo del ricorso incidentale.
7.1. Col terzo motivo di ricorso incidentale Evelina Amendola sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi

Pagina 12 ‘

r

“.
u

Da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 691 del 18/01/2012, Rv. 621357, ha

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Udienza del 26 marzo 2015

all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assume violato l’art. 112 c.p.c.); sia da un vizio
di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato per non aver
liquidato il danno fisiognomico.

distinguere tra “danno biologico” e “danno fisiognomico” – è inammissibile
per le medesime ragioni indicate al § 6.2.1.

8. Le spese.
La soccombenza reciproca costituisce giusto motivo per la compensazione
integrale delle spese del presente grado di giudizio tra tutte le parti, ivi
compresa la Casa di Cura Nomentana s.r.I..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso principale;
-) rigetta il ricorso incidentale;
-) compensa tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 26 marzo 2015.

7.2. Il motivo – a prescindere da qualsiasi rilievo circa la pretesa di volere

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