Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13327 del 30/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13327 Anno 2015
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 965-2012 proposto da:
PIRICO’ MARIA PIA, tanto in proprio quanto nella
qualità di genitore esercente la potestà parentale sui
minori GIOIA ANTONIO E GIOIA COSIMO, GIOIA GIOVANNI
GIOGNN92L15G273J, DARA GAETANA DRAGTN29B58G273R, GIOIA
COSIMO GIOCSM48A31G273C, GIOIA GABRIELE
GIOGRL51B13G273, GIOIA ANNA GI0NNA49A49G273G, GIOIA
LUCINA GIOLCN53H70G273Z, GIOIA ANNA GIONNA88D51G273D,
elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE DEI PARIOLI
67, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO BISERNI,
rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE

Data pubblicazione: 30/06/2015

CHIARELLO giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

C.O.N.I. COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO, in
persona del Presidente e legale rappresentante pro

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso
lo studio dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, che lo
rappresenta e difende

giunta procura

speciale del

dottor Notaio MARCO PAPI in ROMA del 14/02/2015, rep,
n. 131116;
L’AUTOMOBILE CLUB D’ITALIA (ACI) 00907501001, in
persona del proprio Presidente e legale rappresentante
pro tempore avvocato ENRICO GELPI, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MARSALA 8, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO GUARINO, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrenti
nonché contro

PREFETTURA DI CATANIA E PER ESSO MINISTERO INTERNI,
COMUNE CATANIA, ACI SERVICE SRL CATANIA;
– Intimati

avverso la sentenza n. 4570/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 08/11/2010, R.G.N. 2301/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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tempore dottor GIOVANNI MALAGO’, elettivamente

udienza del 26/03/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE CHIARELLO;
udito l’Avvocato ALBERTO ANGELETTI;
udito l’Avvocato FRANCESCO GUARINO;

Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso e condanna alle spese.

3

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

R.G.N. 965/12
Udienza del 26 marzo 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 17.10.1999 Gianmarco Gioia perse la vita durante una gara di go-kart.
Nel 2002 la moglie (Maria Pia Piricò) ed altri nove prossimi congiunti della
vittima convennero dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell’Interno, il
Comune di Catania, il CONI, l’ACI e la società Service s.r.I., assumendo che

nella loro veste vuoi di organizzatori della gara, vuoi di enti preposti alle
verifiche delle condizioni di sicurezza.

2. Con sentenza 6.3.2006 il Tribunale di Roma rigettò la domanda.
La sentenza venne appellata dai soccombenti.
La Corte d’appello di Roma con sentenza 8.11.2010 n. 4570 rigettò il
gravame, ritenendo che:
– il CONI e l’ACI non erano gli organizzatori della gara, e non potevano
essere chiamati a rispondere dei fatti avvenuti nel corso di essa;
– il sinistro era dipeso dalla condotta di guida imprudente di un concorrente,
della quale gli altri enti convenuti non potevano essere chiamati a
rispondere;

il

deficit

di misure di sicurezza invocato dagli attori (ovvero la

predisposizione di insufficienti balle di paglia ai lati del circuito) non aveva
avuto efficacia causale nella produzione dell’evento.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai prossimi
congiunti di Gianmarco Gioia, sulla base di sette motivi.
Hanno resistito con controricorso soltanto il CONI e l’ACI.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni preliminari.
1.1. Preliminarmente deve rilevarsi come la notifica del ricorso non sia
andata a buon fine nei confronti del Comune di Catania.

1.2. E’ ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo cui quando la notificazione di un atto processuale, da effettuare
entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili

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il sinistro mortale andasse ascritto a responsabilità degli enti convenuti,

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Udienza del 26 marzo 2015

al richiedente, questi ha l’onere di chiedere all’ufficiale giudiziario la c.d.
“ripresa del procedimento notificatorío” e, ai fini del rispetto del termine
perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di
attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia
intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i

negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso.
Tale conclusione è imposta dal principio della ragionevole durata del
processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale per
rinnovare una notificazione comporterebbe un allungamento dei tempi del
giudizio (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 20830 del 11/09/2013, Rv.
627938; Sez. L, Sentenza n. 21154 del 13/10/2010, Rv. 615083; e
soprattutto Sez. U, Sentenza n. 17352 del 24/07/2009, Rv. 609264; Sez. 5,
Sentenza n. 6547 del 12/03/2008, Rv. 602726).

1.3. Nel caso di specie, la notificazione del ricorso nei confronti del Comune
di Catania venne richiesta sin dal 21.122011, sicché i ricorrenti ed il loro
difensore, con l’uso dell’ordinaria diligenza, avrebbero avuto ogni agio di
reiterarla.
Escluso dunque che questa Corte possa fissare alcun termine per rinnovare
la notificazione, ne segue l’inammissibilità del ricorso nei confronti del
Comune di Catania, per difetto assoluto di notifica.

2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso (indicato con la lettera “A”) i ricorrenti (pur
formalmente invocando il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.), lamentano
nella sostanza che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.. Deducono, infatti, che il
giudice di merito non avrebbe “integrato il contraddittorio” nei confronti di
due corridori (Salvatore Zammarano e Giovanni Maiorana) corresponsabili
del fatto, i quali dovevano considerarsi “parti e quindi litisconsorti necessari”,

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.

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r
L

tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito

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Udienza del 26 marzo 2015

Tra i corresponsabili d’un fatto illecito non c’è mai litisconsorzio necessario
(al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge), perché la sentenza
pronunciata nei confronti di uno soltanto di essi non sarebbe mai inutiliter
data.

3.1. Col secondo motivo di ricorso (indicato con la lettera “B”) i ricorrenti
sostengono che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello non avrebbe motivato
adeguatamente le ragioni di rigetto della domanda.

3.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Com’è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile
il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base
della decisione.
E’ altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all’obbligo della
motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze
processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma
è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio
convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi
e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata.
E’, infine, noto che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del
giudice del merito.
Da questi prindpi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di
legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella

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3. Il secondo motivo di ricorso.

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Udienza del 26 marzo 2015

adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è limitato a valutare
se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e
consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si
sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha spiegato in modo chiaro ed

condotta di uno dei partecipanti alla gara, sulla quale gli organizzatori non
potevano influire; dall’altro, che nemmeno la predisposizione delle diverse e
più efficienti protezioni invocate dagli attori avrebbero potuto evitare
l’evento. Si tratta, dunque, di una motivazione esistente, non illogica e non
contraddittoria, incensurabile in questa sede.

4. Il terzo motivo di ricorso.
4.1. Col terzo motivo di ricorso (indicato con la lettera “C”) i ricorrenti
sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione
di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 115 e
116 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere
la responsabilità del Comune e del Prefetto di Catania, i quali avevano
negligentemente autorizzato lo svolgimento della gara senza alcuna verifica
preliminare sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza.

4.2. Il motivo è inammissibile: sia perché sollecita un accertamento di
merito, sia perché non pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza
impugnata.
La Corte d’appello ha infatti rigettato la domanda per difetto di nesso di
causa tra la conformazione della struttura del circuito e l’evento di danno.
Pertanto, quand’anche le autorizzazioni amministrative allo svolgimento
della gara fossero state irregolari o mancanti, tale circostanza sarebbe
irrilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità civile degli enti
convenuti.

5. Il quarto motivo di ricorso.

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inequivoco, da un lato, che la causa dell’accaduto andava ricercata nella

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Udienza dei 26 marzo 2015

5.1. Anche col quarto motivo di ricorso (indicato con la lettera “D”) i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una
violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli
artt. 115 e 116 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c..

trascurato di considerare che gli organizzatori della gara dovevano ritenersi
in colpa, per non avere sistemato lungo la pista protezioni sufficienti ed
adeguate.

5.2. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha infatti ritenuto che:
(a)

dell’insufficienza

delle

protezioni

laterali

doveva

rispondere

l’organizzatore, che non era parte del giudizio;
(b)

in ogni caso si era formato il

giudicato sulla irrilevanza causale

dell’insufficiente predisposizione di balle di paglia a protezione del circuito
(così la sentenza impugnata. p. 7).
Tali statuizioni non sono state censurate: sicché è irrilevante nella presente
sede stabilire se la Corte d’appello abbia correttamente o meno escluso
l’irregolarità delle protezioni laterali.

6. Il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso.
6.1. Gli ultimi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati
congiuntamente:
– col quinto motivo di ricorso (lettera “E”) i ricorrenti lamentano la mancata
ammissione delle prove da essi richieste: il motivo è inammissibile per
difetto del requisito di autosufficienza, non avendo i ricorrenti trascritto le
richieste istruttorie della cui mancata ammissione si dolgono;
– col sesto motivo di ricorso (lettera “F”) i ricorrenti lamentano “il mancato
accoglimento del quantum”:

esso é inammissibile per totale difetto di

intelligibilità, posto che la stima del danno in appello fu ovviamente
assorbita dalla ritenuta insussistenza di responsabilità in capo ai convenuti;
,

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Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente

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Udienza del 26 marzo 2015

– col settimo motivo di ricorso (lettera “G”) i ricorrenti hanno reiterato la
richiesta di condanna delle controparti per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.:
trattasi di richiesta che propriamente non è un motivo di ricorso, e che
comunque è assorbita dal rigetto degli altri motivi.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
– ) condanna Maria Pia Piricò, Antonio Gioia, Cosimo Gioia, Giovanni Gioia,
Gaetana Dara, Cosimo Gioia, Gabriele Gioia, Anna Gioia, Lucina Gioia, Anna
Gioia, in solido, alla rifusione in favore del CONI delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.200, di cui 200 per
spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2,
d.m. 10.3.2014 n. 55;
– ) condanna Maria Pia Piricò, Antonio Gioia, Cosimo Gioia, Giovanni Gioia,
Gaetana Dara, Cosimo Gioia, Gabriele Gioia, Anna Gioia, Lucina Gioia, Anna
Gioia, in solido, alla rifusione in favore dell’ACI delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.200, di cui 200 per
spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2,
d.m. 10.3.2014 n. 55.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 26 marzo 2015.

7. Le spese.

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