Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13326 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 13326 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FERRO MASSIMO

9°9

Data pubblicazione: 29/05/2013

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif. dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n.12
-ricorrente Contro

Mallmecht Marcella, rappr. e dif. dall’avv. Marco Annecchino, presso il cui studio,
in Roma, via Giuseppe Gioacchino Belli, n. 39, è elettivamente domiciliata, come da
procura a margine dell’atto
-controricorrentePagina 1 di 5 – RGN 22324/2009

estens

ons. m. ferro

per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Roma 11.7.2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 26 aprile 2013
dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;
uditi l’avvocato Marco Annecchino per la controricorrente;

IL PROCESSO
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale di Roma 11.7.2008, che, in conferma della sentenza C.T.P. di Roma n.
116/25/2007, ebbe a rigettare l’appello dell’Ufficio, così ribadendo la illegittimità del
silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di
rimborso dell’IRAP per gli anni dal 1998 al 2001, sul presupposto — già ritenuto
dalla C.T.P. — per cui, pur ammessa la minima organizzazione personale nell’attività
del medico ricorrente, alla stregua di professionista intellettuale, difettava il requisito
di una organizzazione di beni e di persone generativa di un valore aggiunto
indipendente dall’intervento del professionista stesso.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello dell’Ufficio non poteva essere
accolto, difettando di specifica indicazione contestativa delle ragioni esposte dal
primo giudice e degli elementi di prova, all’esito dei quali il medico di base appellato
era risultato esercitare la sua attività con strumenti ed arredi strettamente necessari,
non si avvaleva di personale dipendente e dunque il suo reddito era frutto esclusivo
del proprio lavoro intellettuale.
Il ricorso è affidato ad un motivo, cui resiste con controricorso il contribuente, il
quale ha anche depositato memoria.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine ad un fatto decisivo
e controverso per il giudizio, in relazione all’art.360 n.5 cod.proc.civ., avendo la
C.T.R., con una motivazione generica e priva di riferimenti alla fattispecie concreta,
omesso di apprezzare che la contribuente operava, con uno studio conforme ai
requisiti di cui all’art.22 del d.P.R. n.270 del 2000, con il SSN, quale medico pediatra
in convenzione e che, dalle dichiarazioni dei redditi, emergevano spese per beni
mobili, beni strumentali e quote di ammortamento, compensi a terzi.
1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Un primo profilo di diniego si
connette alla metodologia di allegazione di contrasto, da parte del ricorrente, vertente
sulla necessaria instaurazione, in capo al medico convenzionato con il Servizio
Sanitario Nazionale, di una situazione giuridica di disponibilità di almeno uno studio
professionale per l’esercizio dell’attività, con il rispetto — imposto dall’art.22 del d.P.R.
n.270 del 2000 — di specifici requisiti di organizzazione. Tale prospettazione,
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estens

s. m.ferro

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. Tommaso Basile, che
ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. Sotto il primo profilo, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il
presupposto per la sottoposizione impositiva dei soggetti esercenti arti o professioni
indicati dall’art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi i casi di
soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse,
non dev’essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita
dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come
esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui,
risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. (Cass. 3673/2007).
Significativamente, tali indirizzi sono confluiti nell’importante arresto di questa
Sezione (10240/2010), per il quale la disponibilità, da parte dei medici di medicina
generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, di uno studio, avente le
caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo
nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso
esecutivo con d.P.R. 28 luglio 2000, n. 270, rientrando nell’ambito del minimo
indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini
dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per
sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini
del presupposto impositivo (conf. Cass. 1158/2012). Può così concludersi che è
soggetto passivo dell’imposta chi si avvalga, nell’esercizio dell’attività di lavoro
autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero,
importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto
alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al
suo know-how, con la conseguenza che può essere escluso il presupposto di imposta
quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nell’auto-organizzazione
del professionista o, comunque, quando l’organizzazione da lui predisposta abbia
incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (Cass. 30753/2011).
Nel settore medico, è stato anche aggiunto che il presupposto dell’IRAP “ricorre
qualora il contribuente sia il responsabile dell’organkzazione ed impieghi beni strumentali, eccedenti
per quantità o valore, il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l’eserckio della professione,
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este re pons. m.ferro

introdotta in ricorso, contraddice il giudizio di fatto della C.T.R., che ha evoluto
l’accertamento di un lavoro autonomo fino ad ipotizzare, conformemente alla nozione
di cui all’art.2 del d.lgs. n. 446 del 1997, un difetto dell’elemento imprenditoriale,
dunque un’operatività del contribuente in assenza di struttura organizzativa, senza
capitali e peculiari investimenti di beni strumentali ed apporti occupazionali di terzi,
tenuto conto dei concreti apporti istruttori, mentre Agenzia delle Entrate impugna la
sentenza in funzione di un supposto errore tipologico, ove, da un lato (ed
inammissibilmente), nega che siffatto medico convenzionato, in ragione della
colleganza con il S.S.N. e dunque di per sé solo considerato, possa dirsi privo del
citato requisito dell’autonoma organizzazione e, dall’altro, contesta che la C.T.R. abbia
dato rilievo al requisito organizzativo, richiamando (infondatamente)
un’interpretazione dell’istituto del tutto erronea, perchè si fa coincidere il presupposto
dell’IRAP con un qualsiasi livello organizzativo, così negando una doverosa analisi
caso per caso, qual è invece il sostrato ermeneutico del formante giurisprudenziale che
sul punto si è andato consolidando.

3. In ogni caso, l’accertamento condotto dal giudice di merito è giunto alla
conclusione che il contribuente risulta aver esercitato l’attività di medico pediatra di
base convenzionato al SSN senza ricorso ad investimenti di capitali ovvero anche
impiego di personale dipendente, negandosi inoltre che i beni strumentali disponibili
eccedessero una ordinaria dotazione di consistenza ragguagliata alla normalità
dell’esercizio della propria attività. Da un lato, si è cioè escluso che Malknecht fosse
un imprenditore dotato di autonoma organizzazione sulla base dei parametri della
normativa sull’IRAP e, dall’altro, la sentenza censurata nega che i motivi d’appello
fossero sufficientemente specifici, come richiesto dall’art.53 del d.lgs. n.546 del 1992,
rispetto alla sentenza appellata, non avendo essi invero aggredito le ragioni esposte dal
primo giudice e gli elementi di prova risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e le note
dei compensi per prestazioni professionali corrisposti dal SSN. Sotto il secondo
profilo, osserva dunque il Collegio che l’impugnazione, già violando il principio di
autosufficienza, non coglie la più ampia ratio decidendi evidente nella pronuncia di
merito, omettendo di sottoporla a critica, e così trascrivere o riportare le difese che
non sarebbero state apprezzate dalla C.T.R., nonchè indicando altresì le sedi
processuali, al cospetto del giudice di merito, in cui tali deduzioni sarebbero state
avanzate.
D’altronde, la sentenza ha positivamente ricostruito i fatti decisivi per pervenire al
menzionato giudizio di stretta inerenza degli elementi personali e materiali all’esercizio
diretto dell’attività del medico, senza autonoma organizzazione, mentre il ricorso non
permette di cogliere per quale alternativa e trascurata significatività le stesse
circostanze — esposte nei documenti fiscali offerti al processo dal contribuente ed
apprezzati dal giudice – sarebbero state erroneamente sussunte nella decisione,
finendo così la censura per interferire non tanto sul percorso (ed il grado) di
persuasività logico-giustificativa evincibile dalla sentenza bensì sulla scelta degli
elementi di valorizzazione del giudizio stesso. Può invero ripetersi, che “la nozione di
decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità
del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, asserisce al
nesso di causalità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio,
una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una
ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o
probabilità di essa. Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse
configurabile sol per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione,
ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del fatto diversa da quella
adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà
fosse configurabile sol perchè su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente
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estensor4‘£e

.ferro

oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.” (Cass.26161/2011), mentre “la
disponibilità, da parte dei medici di base, di strumenti di diagnosi, per quanto complessi e costosi, non
è idonea a configurare la sussistenza dei presupposti impositivi, poiché detti strumenti, quali che siano
il loro valore o le loro caratteristiche, rientrano nelle attrezzature usuali, o che dovrebbero essere
usuali, per i precisati professionisti, in quanto agli stessi si chiede di svolgere una funzione di “primo
impatto” a difesa della salute pubblica. ” (Cass. 13048/2012).

AI S –

insufficiente o contraddittoria, sena che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo
argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 si risolverebbe nell’investire la
Corte di Cassazione del controllo sic et sempliciter dell’iter logico della motivaione, del tutto
svincolato dalla funzionalità riletto ad un esito della ricostinione del fatto idoneo a dare luogo ad
una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito.” (Cass. 3668/2013,
22979 /2-004).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di
legittimità., liquidandole in Euro 2100, oltre Euro 200 per esborsi, oltre agii accessori
come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 aprile 2013.

4. Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del
presente giudizio di legittimità, liquidate in base al principio della soccombenza e
come da dispositivo, ai sensi dei parametri del D.M. 20 luglio 2012, n.140.

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