Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13326 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 21/04/2011, dep. 17/06/2011), n.13326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MADENAS AUTO di De Vincenzo Vincenzo & C. s.n.c., in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

via Giovanni Gentile n. 8, presso l’avv. Maria Daniela Perrone,

rappresentata e difesa dall’avv. LETO Francesco, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sez. staccata di Messina, n. 114/02/05, depositata il 15

settembre 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

aprile 2011 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;

udito l’avv. Francesco Leto per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di rettifica dell’IVA emesso, per l’anno 1988, nei confronti della Madenas Auto di De Vincenzo Vincenzo & C. s.n.c., esercente attività di disbrigo di pratiche automobilistiche, per il recupero a tassazione di somme anticipate dalla contribuente in nome e per conto dei clienti, ma ritenute non regolarmente documentate, come prescritto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 3.

Il giudice d’appello, premesso che l’attività svolta dalla società contribuente presuppone per sua natura l’anticipazione di somme da recuperare successivamente dai clienti, ha osservato, in sintesi, che dall’esame complessivo della contabilità della società dovesse ritenersi sufficientemente dimostrata l’utilizzazione ai fini suddetti degli importi accertati, con esclusione, pertanto, della violazione della norma sopra citata.

2. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, censura la sentenza impugnata sostenendo che le spese in questione devono essere provate da documentazione intestata al cliente o, nel caso di marche da bollo o diritti corrisposti agli Uffici, da apposita specifica di liquidazione effettuata in un modulo a parte, oppure nella parcella o nella fattura intestata e consegnata al cliente.

Con il secondo motivo si denuncia l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto dell’esame della documentazione, non avendo il giudice a quo accertato se la contabilità richiamata rispondesse ai requisiti sopra indicati.

2. Il ricorso, i cui due motivi possono essere congiuntamente esaminati per intima connessione, è infondato.

Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, comma 1, n. 3, prevede che non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purchè regolarmente documentate”.

La ratto della esclusione di dette somme dal computo della base imponibile è evidente, trattandosi di semplici “partite di giro” che, come tali, non hanno natura di corrispettivo per la prestazione del servizio.

E’ ovvio, d’altra parte, che tali esborsi vanno adeguatamente documentati. La normativa vigente all’epoca (1988) dei fatti di cui è causa, tuttavia, non prevedeva specifiche forme di documentazione, in quanto solo con la successiva L. 8 agosto 1991, n. 264, recante la “disciplina dell’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto”, è stata prescritta (art. 6) la redazione di “un registro-giornale che indica gli elementi di identificazione del committente e del mezzo di trasporto, la data e la natura dell’incarico, nonchè gli adempimenti cui l’incarico si riferisce”;

tale documento, oltre ad altri adempimenti (numerazione, bollatura, vidimazione), deve essere “tenuto a disposizione delle autorità competenti per il controllo, nonchè delle autorità che, per motivi d’istituto, debbano individuare i committenti delle operazioni” (cfr., al riguardo, Cass. n. 19725 del 2010).

Pertanto, anteriormente all’entrata in vigore della citata disciplina, la prova che le somme in questione costituissero anticipazioni in nome e per conto delle controparti (e fossero quindi fuori dal campo dell’IVA, ai sensi del citato art. 15) poteva essere fornita in qualsiasi forma documentale, da cui risultasse il nominativo della controparte e la natura della prestazione svolta, e la cui efficacia ed attendibilità era rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, congruamente motivato.

Nella fattispecie, il giudice d’appello ha accertato che la società (che è pacifico svolgesse attività di consulenza automobilistica, per la quale è tipica l’anticipazione di somme in nome e per conto della clientela) “registrava gli anticipi su un particolare conto denominato anticipazioni a clienti da recuperare a carico degli stessi”; che “ciò veniva suffragato dal fatto che le somme venivano registrate in uscita nella contabilità di ogni singolo cliente”; che il problema della mancata documentazione era “superato dal riferimento per ciascuna partita degli estremi di ogni singola anticipazione riportata in contabilità”; che, infine, poichè le venivano anticipate in rapporto a pratiche in cui l’interlocutore quasi sempre era un ufficio o un ente pubblico, i quali, all’epoca di riferimento, spesso “non erano usi a rilasciare ricevute”, “poteva essere dimostrato, per come risultava dalla contabilità, l’utilizzo di ogni singolo importo anticipato”.

Deve ritenersi, ad avviso del Collegio, che, in tal modo, il giudice di merito abbia accertato in fatto, con adeguata motivazione, che la documentazione esaminata fosse idonea a dimostrare che le somme recuperate a tassazione possedevano i requisiti, sopra specificati, per poter rientrare nella previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 3.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

4, Sussistono giusti motivi, in considerazione della novità della questione e della peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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