Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1332 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. II, 22/01/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24448/2019 proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato FELICE PATRUNO,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in BARI, VIA

ANDREA ANGIULLI 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 3400/2019 del TRIBUNALE di BARI depositata il

27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

7/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato e in subordine della protezione sussidiaria ovvero di quella umanitaria.

Sentito dalla Commissione già nel 2014, il ricorrente aveva riferito di essere cittadino bengalese, proveniente dal distretto di Brahmanbaria, di etnia bangla, di fede sunnita, di limitata istruzione scolastica; di essere fuggito dal suo Pese d’origine in quanto accusato da esponenti del partito di governo ((OMISSIS)) di aver collocato una bomba presso la sede dell'(OMISSIS), ubicata accanto alla sede del (OMISSIS) (partito di opposizione) presso cui il ricorrente lavorava come addetto alle pulizie e di avere subito minacce; di temere in caso di rimpatrio di essere ucciso dagli esponenti dell'(OMISSIS).

In seguito al diniego della domanda di protezione internazionale, il ricorrente proponeva nuova domanda, essenzialmente fondata su circostanze nuove idonee, secondo la sua prospettazione, a dimostrare un’effettiva integrazione nel tessuto sociale e lavorativo del nostro Paese, tale da risultare meritevole del rilascio quantomeno di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Con decreto n. 3400/2019, depositato in data 27.6.2019, il Tribunale di Bari rigettava il ricorso, ritenendo insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, dal momento che emergevano forti perplessità in ordine alla veridicità e credibilità di quanto asserito dal ricorrente (che, tra l’altro, non ricordava i nomi del vicepresidente, del segretario e delle altre persone accusate, come lui, dell’esplosione, nonostante egli asserisse di essere stato inserito nell’organizzazione del partito). Anche la domanda relativa alla protezione sussidiaria non poteva essere accolta in quanto, dalle informazioni aggiornate, risultava che l’area di provenienza del ricorrente non fosse caratterizzata da un conflitto armato interno di intensità tale da esporre indiscriminatamente qualsivoglia civile a un rischio di danno grave alla persona o alla propria incolumità. Infine, la domanda di protezione umanitaria andava rigettata poichè il pur notevole grado di inserimento del ricorrente nel tessuto sociale e lavorativo del nostro Paese non era accompagnato da una coerenza con le motivazioni dedotte a sostegno della fuga dal Bangladesh e, dunque, in grado di far emergere, a mezzo del necessario giudizio di comparazione tra la situazione precedente all’espatrio e quella ad esso successiva, una forma di peculiare vulnerabilità soggettiva che sola avrebbe giustificato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione M.M. sulla base di due motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l'”Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, giacchè, in caso di rimpatrio, correrebbe il serio rischio di subire un trattamento inumano e degradante, trovandosi a vivere in condizioni di grave indigenza.

1.1. – Prospettando esclusivamente il vizio di “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria” (riguardo all’asserito errore di motivazione del Tribunale circa la mancata ricorrenza di presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale) il motivo è ovviamente inammissibile, non essendo più tale censura consentita dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, salvo il caso di motivazione mancante “sinanche come segno grafico”, oppure totalmente incomprensibile od insanabilmente contraddittoria (Cass. sez. un. 8053/14), nessuno dei quali ricorre nella specie (Cass. n. 13207 del 2020).

1.2. – Dal canto suo, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la “Nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”. Secondo il ricorrente l’assunzione di debiti in epoca successiva alla fuga dal Paese sarebbe motivo nuovo giustificativo della reiterazione della domanda e rappresenterebbe valida giustificazione al timore di danno grave del ricorrente in caso di rimpatrio e al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.1. – Anche il secondo motivo è inammissibile.

2.2. – Nel ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei (cfr. Cass. 26874 del 2018), giacchè detto ricorso, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione; dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga (come nella specie in cui, peraltro, non è dato ravvisare la configurabilità di un vizio in procedendo) che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., sez. un., n. 17931 del 2013; Cass. n. 24553 del 2013; Cass. n. 10862 del 2018).

2.3. – Resta allora da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018); ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare.

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi e per gli effetti di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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