Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1332 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 22/01/2020), n.1332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26869-2(118 proposto da:

C.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

72, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SCIARRILLO, rappresentato

e difeso dall’avvocato PIETRO SGARBI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1094/2018 della CORTE D’APPELLO di /NCONA

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. 1MUARDO

CAMPI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 27 giugno 2018, la Corte di Appello di Ancona respinse il gravame proposto da C.Y. contro l’ordinanza, resa, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, dal tribunale di quella stessa città il 24 aprile 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte: i) ritenne insussistenti i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nel suo racconto, infatti, il richiedente si era riferito ad un episodio di truffa (frode fiscale) ai danni dello Stato del Cambia, da cui proveniva, piuttosto che ad un fatto evidenziante l’insicurezza della zona, senza manifestare particolari timori di persecuzione eccetto che per le minacce subite dal funzionario deputato alla riscossione dei canoni e delle tasse dell’immobile statale all’interno del quale esercitava la sua attività di vendita di frutta e verdura. Pure il richiamo al contesto storico e sociale era insufficiente a fondare la domanda, non evidenziando la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della invocata protezione, tanto più che egli, in caso di mancato riconoscimento di quest’ultima, sarebbe stato rimpatriato in Senegal, suo Paese di origine, considerato uno dei paesi dell’Africa con maggiore stabilità politico-sociale, nel quale le pur sussistenti sporadiche situazioni di criticità non potevano) ritenersi allarmanti, come riferito nelle informazioni fornite dal Ministero degli Esteri; ii) negò l’esistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. f), per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non emergendo, sulla base del narrato, il rischio che l’appellante fosse sottoposto a pena capitale o a tortura o ad altra forma di pena o a trattamenti degradanti una volta rimpatriato nel Paese d’origine, così come non vi erano sufficienti clementi giustificativi dell’ipotesi di “danno grave” ai sensi del predetto decreto, ex art. 14;

escluse la riscontrabilità di specifiche situazioni soggettive che giustificassero il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non ravvisando, nei confronti dell’istante, lesioni dei diritti umani di particolari entità, peraltro nemmeno desumibili dal generico riferimento alla situazione del Paese di provenienza; it) considerò il diritto di asilo interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle forme di protezione finora esaminate, senza che vi fosse margine alcuno per la residuale diretta applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3.

2. Avverso questa sentenza C.Y. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380 – bis c.p.c..

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Art. 360 c.p.c., n. 3, (“Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto”): ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 (esame dei fatti e delle circostanze); del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), (protezione sussidiaria); del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 (criteri applicabili all’esame delle domande); del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 – bis, (procedure di esame); del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, – del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (protezione umanitaria); art. 10 Cost. (diritto di asilo); art. 3 Cost. (diritto di uguaglianza)”. Esso, nei diversi profili in cui risulta articolato, ascrive alla corte distrettuale, sostanzialmente: i) di non aver compiutamente analizzato e valutato la situazione personale dell’odierno ricorrente anche alla luce della precipua situazione socio politica presente in Gambia, suo Paese di provenienza; ii) di non essersi attenuta ai criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente; iii) di aver offerto, anche con riferimento alla situazione socio politica del Senegal, Paese di origine di quest’ultimo, una interpretazione del tutto parziale e superficiale delle fonti da cui ne aveva ricavato la non pericolosità;

la violazione dell’art. 3 Cost., posto che altri giudici di merito avevano riconosciuto forme di protezione (sussidiaria o umanitaria) a persone provenienti dal Gambia e dal Senegal; i) di non aver dato conto dell’effettiva istruttoria compiuta in ordine alla situazione del Gambia (Paese di transito), dove il richiedente si era trasferito con la famiglia da quando, nel 1996, aveva lasciato il Senegal.

1.1. Il secondo ed il terzo motivo sono rubricati, rispettivamente, “Art. 360 c.p.c., n. 4, (“Nullità della sentenza o del procedimento in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” e “Art. 360 c.p.c., n. 5, (“Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti)”. Essi prospettano, in punto di protezione umanitaria, la violazione dell’art. 10 Cost., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè 3 Cost., e, di fatto, l’omesso esame di una domanda specifica. Si assume che tanto la Commissione, quanto i giudici di entrambi i gradi di merito, avevano superficialmente valutato la sussistenza delle condizioni richieste per accordare quel tipo di protezione, malgrado il richiedente avesse compiutamente narrato la sua vicenda ed i pregiudizi cui sarebbe andato in contro in caso di rimpatrio in Gambia o in Senegal.

2. Il primo motivo è complessivamente insuscettibile di accoglimento.

2.1. Invero, giova preliminarmente rimarcare che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.1.1. Nella specie, la corte territoriale ha partitamente esaminato le gradate domande del ricorrente, respingendole sulla base dell’esame delle sue stesse allegazioni, giudicate sostanzialmente attendibili credibili, e delle prove addotte a sostegno del racconto, ritenute inidonee a dimostrare l’esistenza di un reale pericolo per la vita del ricorrente ove rimpatriato. Le argomentazioni del motivo in esame investono, invece, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti delle varie forme di protezione invocata), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

2.1.2. Peraltro, le stesse nemmeno sembrano tenere adeguatamente conto che la corte distrettuale, dopo aver ricordato i requisiti di legge per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, ha preso atto, con esaustivi accertamenti fattuali qui evidentemente non sindacabili (se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità – cfr. Cass., SU. n. 8053 del 2014 – in cui è oggi prospettabile, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 27 giugno 2018, il vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato), del racconto del richiedente, lo ha ritenuto credibile (sicchè affatto ultronei si rivelano gli assunti – pag. 3-5 del ricorso – circa i criteri sanciti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per la valutazione di credibilità soggettiva del richiedente la protezione) ed in forza di quanto ivi specificamente narrato ha correttamente escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, previa valutazione anche della situazione socio politica del Senegal (cfr. pagg. 8-17 della sentenza impugnata), Paese di origine di C.Y. e dove, quindi, quest’ultimo andrebbe rimpatriato, ove non beneficiario del riconoscimento di una delle richieste forme di protezione internazionale (irrilevante, dunque, sarebbe l’eventuale carenza di analogo accertamento riferito al Gambia, non riguardando il Paese di origine e dunque di rimpatrio del richiedente protezione internazionale. Cass. n. 9203 del 2018, in motivazione).

2.1.3. E’ di tutta evidenza, infine, che l’eventuale esistenza di pronunciamenti giudiziali di merito di tenore diverso su questioni giuridiche asseritamente analoghe non determina violazione dell’art. 3 Cost., atteso quanto espressamente sancito dall’art. 101 Cost., comma 2, nè rinvenendosi, nell’ordinamento processuale nazionale, il principio dello sture decisis.

3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente perchè evidentemente connessi, sono infondati.

3.1. Giova premettere che, come ribadito, tra le ultime, da Cass. n. 252 del 2019, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi qui ritenuti applicabili – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604 del 2017).

A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

3.2. Fermo quanto precede, nella specie non sussiste il denunciato omesso esame di domanda, posto che la corte dorica ha escluso che, nei confronti dell’odierno ricorrente, fossero ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità, tanto non desumendosi dal generico riferimento alla situazione del Paese di provenienza, nè dalle affermazione del richiedente: la corrispondente domanda, quindi, è stata chiaramente esaminata (e respinta), sicchè, in parte qua, le censure in oggetto mirano, invece, affatto inammissibilmente, a sottoporre di nuovo, a questa Corte un giudizio di fatto.

3.2.1. Peraltro, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità. Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì ricordandosi che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo (poteri che, del resto, proprio in ragione della indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo dove indirizzare).

3.3. Infine, va ribadito che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, Cass. n. 16362 del 2016; Cass. n. 10686 del 2012).

4. Il ricorso, dunque, va integralmente respinto, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (O’. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.1.3., n. 24245 dcl 2015; Cass., SU., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater; nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. l, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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