Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13317 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 20/04/2011, dep. 17/06/2011), n.13317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui

Uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

B.P. residente a (OMISSIS);

– intimato –

Avverso la sentenza n.137/33/2005 della Commissione Tributaria

Regionale di Napoli – Sezione n. 33, in data 31.05.2005, depositata

il 12 luglio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

20 aprile 2011 dal Relatore Dott. DI BLASI Antonino;

Udito, pure, il P.M. Dr.ssa ZENO Immacolata, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contribuente in epigrafe indicato impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di rettifica, relativo ad IVA dell’anno 1992, con il quale si determinava la maggiore imposta dovuta, in dipendenza di acquisti e vendite in esenzione di imposta.

L’adita CTP di Napoli, rigettava il ricorso, mentre i Giudici di Secondo Grado, con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, accoglievano l’appello del contribuente ed annullavano l’accertamento.

Opinavano, i Giudici di merito, che la pretesa impositiva fosse da respingere, sia perchè l’Ufficio aveva prodotto tardivamente la documentazione probatoria, sia pure perchè la stessa era stata disconosciuta dal contribuente e, quindi, non poteva costituire prova della fondatezza delle ragioni del Fisco.

Con ricorso notificato l’11 ottobre 2006, l’Agenzia Entrate ed il Ministero hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimato, non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto non è stato parte nel giudizio di appello ed il ricorso risulta notificato l’11 ottobre 2006, quindi, dopo la data dell’1 gennaio 2001, a decorrere dalla quale l’Agenzia delle Entrate è subentrata all’Amministrazione delle Finanze nei rapporti giuridici già facenti capo a quest’ultima. L’impugnazione è affidata a tre mezzi.

Con il primo, la decisione viene censurata per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 e art. 32 del medesimo provvedimento legislativo.

I ricorrenti denunciano l’erroneo operato dei Giudici di appello, per avere ritenuto ed affermato che la documentazione probatoria utilizzata dai Giudici di primo grado, era stata introdotta tardivamente. Ritiene il Collegio che la doglianza sia infondata e che la decisione impugnata vada confermata, sia pur emendata nella motivazione, sulla base del condiviso principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, nel giudizio di appello davanti alle commissioni tributarie regionali le parti hanno facoltà, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2, di depositare nuovi documenti, a nulla rilevando la eventuale irritualità della loro produzione in primo grado” (Cass. n.7329/2003).

Alla stregua di tale principio, posta la pacifica circostanza fattuale che la produzione documentale, effettuata in prime cure era tardiva ed inammissibile, essendo avvenuta solo quattro giorni prima dell’udienza di trattazione, deve ritenersi che la censura dell’Agenzia sia infondata, sotto un duplice profilo. Anzitutto, perchè l’art. 58 citato ammette la produzione in appello di “nuovi documenti” e, quindi, non riferisce a quelli già, inammissibilmente, prodotti in primo grado; è evidente che una lettura della disposizione che ritenesse “nuovi”, i documenti già irritualmente prodotti, vanificherebbe gli effetti del termine fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, in relazione agli artt. 23 e 24 del medesimo decreto.

Altresì, perchè l’Agenzia non risulta avere prodotto in appello i documenti in questione, come si evince, oltretutto, dallo stesso ricorso di legittimità (pag.4, rigo 22 e seg.ti).

Infatti, anche ad ipotizzare che, nel giudizio di appello, vadano qualificati “nuovi”, i documenti, già irritualmente, prodotti in primo grado, e che quindi ne sia consentito il deposito con l’impugnazione, nel caso, tale facoltà non risulta essere stata esercitata. La stessa Agenzia, peraltro, nel dolersi del diniego della CTR al “deposito di nuovi documenti in appello”, implicitamente ammette di non averli prodotti con la costituzione in appello, ragion per cui non ha titolo a dolersi della decisione dei Giudici di Secondo Grado, i quali, avendo rilevato “la mancata allegazione degli atti su cui si fondava l’accertamento”, correttamente hanno accolto l’appello del contribuente. Al rigetto del primo mezzo, consegue l’assorbimento degli altri motivi, stante la mancata acquisizione agli atti della documentazione, che avrebbe dovuto legittimare e fondare l’accertamento.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato e la decisione impugnata, integrata nella motivazione nei termini anzi esposti, va confermata.

Non sussistono i presupposti per una pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigetta il ricorso dell’Agenzia Entrate.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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