Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13314 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 13314 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 24697-2009 proposto da:
SOGECOS

FRANCE

SARL

in persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA SALARIA 259, c/o STUDIO BONELLI EREDE
PAPPALARDO, presso lo studio dell’avvocato SILVESTRI
ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente
2013

all’avvocato MANZITTI ANDREA giusta delega in calce;
– ricorrente –

1443

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRO
OPERATIVO DI PESCARA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E
FINANZE;

Data pubblicazione: 29/05/2013

- intimati

avverso la sentenza n. 190/2008 della
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il
23/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato SILVESTRI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 22/04/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società Sogecos France s.a.r.I., residente in Francia, ha ricevuto in locazione dalla Sogecos
spa, con sede in Italia, l’area fieristica sita nel complesso fieristico di Bologna per svolgervi attività
promozionale e pubblicitaria nell’ambito della manifestazione denominata Cosmoprof 2004, ed ha
pagato il relativo corrispettivo, maggiorato dell’IVA al 20 % alla locatrice.
2. La società francese, che ha successivamente allestito e concesso un allestimento di stand

dell’IVA pagata in Italia ai sensi dell’art.7 del DPR n.63311972.
3. Il Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate rigettava la domanda e tale
provvedimento veniva impugnato dalla società contribuente innanzi alla CTP di Pescara che
accoglieva il ricorso.
4. L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi appello avverso la decisione di primo grado che, con
sentenza del 23 settembre 2008, resa dalla CTR dell’Abruzzo, veniva riformata, rigettando inoltre
l’appello incidentale proposto dalla società contribuente.
5. 11 giudice di appello, risolte talune questioni preliminari qui irrilevanti, rilevava anzitutto che il
provvedimento impugnato risultava idoneamente motivato.
5.1 Aggiungeva che sulla base degli elementi di fatto emergeva che la società francese non
residente e non fornita di stabile centro di riferimento in Italia, aveva svolto in Italia operazioni
rilevanti ai fini IVA acquistando e rivendendo servizi afferenti un bene immobile sito in Italia,
rilevando ai fini fiscali l’art.7 comma 4 lett.a) del DPR n.633/1972.
Aggiungeva che nemmeno le attività in esame potevano essere inquadrate nell’ambito delle
prestazioni pubblicitarie, posto che la compravendita di stands non era strumentale e sussidiaria
all’attività pubblicitaria,inquadrandosi la prestazione globale fornita da un organizzatore fieristico
agli espositori nella categoria delle prestazioni di servizi previsti dall’art.9 comma 2 lett.c) primo
puntino della sesta direttiva CEE, imponibili come tali nello stato nel cui territorio erano state
svolte, a prescindere dal luogo in cui aveva sede l’operatore che aveva eseguito tale prestazione.
6. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, mentre
l’Agenzia delle Entrate, che benché ritualmente citata non ha depositato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE

7. In punto di fatto è certo, avendolo acclarato la CTR, che la Società Sogecos Italia ha locato alla
Sogecos France un’area fieristica sita nel complesso fieristico di Bologna per svolgervi attività
promozionale e pubblicitario nell’ambito della manifestazione Cosmoprof 2004 sulla base di un
contratto per il quale la società francese ha assolto l’IVA in Italia ed ha chiesto il rimborso sulla
base di quanto previsto dall’art.38 ter d.pr.n.633/1973.

all’interno della fiera campionaria in favore (IO propri clienti francesi, ha chiesto quindi il rimborso

8. Ora, il giudice di appello, nel valutare la infondatezza della pretesa formulata dalla società
francese, ha ritenuto che l’attività fornita alla società contribuente dalla società italiana afferiva a
prestazioni relative a beni immobili non sussumibili nell’ambito delle attività pubblicitarie decisivo
l’esame della questione circa lo svolgimento diretto da parte della società francese di attività
pubblicitaria nello stand fieristico.
9. Orbene, le censure esposte dalla società contribuente nel primo motivo si appuntano, per un

che, a dire della parte ricorrente, avrebbe considerato le prestazioni di allestimento di stand svolte
dalla medesima nei confronti dei clienti francesi come prestazioni relative a beni immobili e non
all’interno delle prestazioni pubblicitarie che, secondo l’articolo testè indicato, si considerano
effettuate in Italia solo se rese a soggetti residenti in Italia o a soggetti ivi residenti che non hanno
una stabile organizzazione in Italia o a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o
residenti all’estero.
9.1 In sostanza, la CTR avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità dell’art.7 comma 4 lett.d) dpr
n.633/1972 all’attività di concessione ed allestimento di stands resa da un soggetto diverso da
quello che fornisce la prestazioni pubblicitaria principale, ritenendo tale attività sussumibile nella
fattispecie di cui alla lett.a) dello stesso art.7 riferita alle prestazioni relative a beni immobili. La
Corte di Giustizia, del resto, aveva già chiarito che le prestazioni accessorie all’attività di pubblicità
integravano a pieno titolo attività pubblicitaria e che tali principi erano sicuramente estensibili alla
vicenda concreta con riferimento alle manifestazioni fieristiche ed alla prestazioni pubblicitarie
quali la concessione di stands espositivi, anche se dette attività erano svolte da soggetti diversi.
9.2 Nella stessa censura la società ipotizza il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, individuato nella
natura pubblicitaria del servizio reso dalla società contribuente ai propri clienti.
10. Con il secondo motivo la società contribuente lamenta, sotto il profilo della violazione
dell’art.38 ter dpr n.633/1972 ed in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., che la CTR avrebbe
escluso il diritto al rimborso IVA per avere essa società effettuato altre operazioni soggette ad IVA
italiana, senza considerare che le uniche prestazioni compiute dalla società francese integravano
prestazioni pubblicitarie rese ai clienti francesi. Nella stessa censura la società ipotizza il vizio di
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, individuato nella natura pubblicitaria del servizio reso dalla società
contribuente ai propri clienti.
11. Con il terzo motivo la società contribuente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.9
comma 2 sub e) della dir.CEE 77/388/CEE, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. 11.1

verso, sull’erronea applicazione dell’art.7 comma 4 lett.d) del d.pr.n.633/1972 operata dalla CTR

fl

Lamenta che la CTR avrebbe erroneamente escluso la qualificazione dell’attività svolta dalla
società contribuente in termini di attività pubblicitaria.
12. Il terzo motivo è privo di quesito di diritto ed è dunque inammissibile.
13. Le prime due censure meritano, invece, un esame congiunto e appaiono infondate, pur
dovendosi correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art.384 ult.comma
c.p.c., conforme a legge nel dispositivo.

cui una società tedesca non residente in Italia che aveva ricevuto prestazioni pubblicitarie in Italia e
corrisposto l’IVA italiana, chiedendo successivamente il rimborso in ragione della non debenza del
tributo ha ritenuto, proprio in forza della giurisprudenza comunitaria che Viva non dovuta ed
erroneamente fatturata al destinatario delle prestazioni, poi versata all’erario dello Stato membro del
luogo di tali prestazioni, non può formare oggetto di rimborso in favore del cessionariocfr.Cass.2808/2008-.
13.2 Tale soluzione è strettamente collegata alla decisione assunta dalla Corte di Giustizia -sent. 15
marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH- resa in sede di rinvio
pregiudiziale sollevato con ordinanza interlocutoria di questa Corte n.1015/2005-, secondo la quale
gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari —
Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti
all’interno del paese, devono essere interpretati nel senso che l’imposta sul valore aggiunto non
dovuta ed erroneamente fatturata al destinatario delle prestazioni, poi versata all’erario dello Stato
membro del luogo di tali prestazioni, non può formare oggetto di rimborso ai sensi di tali
disposizioni. In tale occasione la Corte ha ribadito che l’esercizio del diritto a detrazione è limitato
soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta
all’IVA o versate in quanto dovute-p. 13 della citata sentenza Genius Holding-.
13.3 Ha poi aggiunto che tale diritto a detrazione non si estende all’IVA dovuta, ai sensi
dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, esclusivamente per il fatto di essere indicata nella
fattura (v., in particolare, sentenza Genius Holding, cit., punto 19; Corte giust. 19 settembre 2000,
causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel (Racc. pag. I-6973, punto 53), e 6 novembre 2003,
cause riunite da CI178/02 a CEI80/02, Karageorgou e a. (Racc. pag. IL 13295, punto 50). Sulla base
di tali presupposti il giudice comunitario ha quindi desunto che il diritto a detrazione, ai sensi del
citato art. 17, non può essere esteso anche all’IVA erroneamente addebitata e versata all’erario.
Ragion per cui questa stessa IVA non può formare oggetto di rimborso in forza delle disposizioni
dell’ottava direttiva-cfr. P.23/27 sent. Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH-.

13.1 Questa Corte, in un caso sostanzialmente sovrapponibile a quello qui all’esame della Corte, in

13.4 Tali principi sono stati di recente confermati con riguardo alle disposizioni introdotte dalla
dir.112/2006 CE.
13.5 Ed infatti, Corte giust. 31 gennaio 2013, causa C111643/11,LVK — 56 EOOD, p.34 ss., ha
ritenuto che conformemente agli articoli 167 e 63 della direttiva 2006/112, il diritto di detrarre
l’IVA fatturata è connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione
imponibile (v. sentenza del 26 maggio 2005, António Jorge, C0536/03, Racc. pag. 104463,

tale direttiva, esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura (v., in particolare, sentenze
del 13 dicembre 1989, Genius, CE342/87, Racc. pag. 4227, punti 13 e 19, nonché del 15 marzo
2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C D35/05, Racc. pag. 11112425, punto 23).
13.6 Nella medesima occasione la Corte ha tenuto poi a precisare che il rischio di perdita di gettito
fiscale non è, in via di principio, eliminato completamente fintantoché il destinatario di una fattura
che indica un’IVA non dovuta possa utilizzarla al fine di siffatto esercizio, ai sensi dell’articolo
178, lettera a), della direttiva 2006/112 (v., in tal senso, sentenza Stadeco, cit., punto 29). Alla luce
di ciò, l’obbligo stabilito all’articolo 203 di tale direttiva mira ad eliminare il rischio di perdita di
gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione previsto agli articoli 167 e segg. di tale
direttiva (v. sentenza Stadeco, cit., punto 28).
13.7 Orbene, non pare potersi revocare in dubbio che nel caso qui all’esame della Corte la società
ricorrente ha reclamato il rimborso di IVA proprio sul presupposto che le prestazioni pubblicitarie
alla stessa rese dalla Sogecos spa, con sede in Italia fossero escluse da IVA in quanto rese a
soggetto non residente alla stregua dell’art.7 comma 4 lett.d) dpr n.633/1972.
13.8 In questo contesto, e’ dunque proprio l’art.38 ter sul quale la societa’ contribuente ha fondato
l’istanza di rimborso- peraltro richiamato in ricorso senza l’inciso “se detraibili ai sensi dell’art.19”
che pure testualmente compare nella cennata disposizione- ad escludere che la stessa società,
cessionaria delle prestazioni ricevute dalla committente esenti da IVA proprio perché svolte in
favore di soggetto non residente né dotato di stabile organizzazione in Italia, possa reclamare il
rimborso non essendovi diritto alcuno alla detrazione, né risultando sufficiente, ai fini
dell’insorgenza del diritto al rimborso, la circostanza che VIVA sia stata comunque pagata dal
prestatore.
13.9 Tale conclusione appare, dunque, non solo coerente con il dovuto rispetto dell’ordinamento
interno alle pronunzie rese dalla Corte di giustizia ricordate ai punti 13.1 e 13.5 della motivazione,
dotate oltre che di efficacia endoprocessuale, anche di una indiscutibile valenza extra processuale
con specifico riferimento a tutte le controversie nazionali che riguardano l’interpretazione della
medesima disposizione di diritto UE, ma anche indiscutibilmente orientata a salvaguardare la

punti 24 e 25) e l’esercizio di tale diritto non si estende all’IVA dovuta, ai sensi dell’articolo 203 di

portata precettiva della normativa interna che, attuando il diritto eurounitario, ha dato corretta
attuazione alla normativa UE.
13.10 In definitiva, il cessionario dei servizi ricevuti dal committente che ha pagato l’Iva ancorché
non dovuta in relazione all’assenza del requisito di territorialità, avendo pagato un debito
inesistente, ha sicuramente diritto a pretendere il pagamento di quanto pagato esclusivamente da
colui che lo ha ricevuto(cedente). E sarà, dunque, solo il prestatore del servizio a potere pretendere

13.11 La sentenza impugnata, che ha confermato la legittimità del rifiuto della domanda di
rimborso da parte della società cessionaria è dunque conforme a diritto, risultando infondati i due
motivi di ricorso proposti dalla società contribuente.
14. Da ciò non può che seguire il rigetto del ricorso.
15. Ricorrono giusti motivi, in relazione al consolidarsi della giurisprudenza di legittimità in epoca
successiva alla sentenza di appello per compensare le spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso il 22 aprile 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

dall’Amministrazione la ripetizione di quanto indebitamente versato all’amministrazione.

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