Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13312 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2021, (ud. 02/07/2020, dep. 18/05/2021), n.13312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5861-2015 proposto da:

EREDI DI C.C. SNC DI C.A.M. & C,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA TACITO 10, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO DANTE, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LORENZO BERTAGGIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRALE ROMA, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE NOVARA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 903/2014 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2020 dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO.

 

Fatto

RITENUTO

1. – La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 903/36/14 del 17 giugno 2014, pubblicata il 9 luglio 2014, accogliendo, in totale riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Novara n. 8/6/13, il gravame della Agenzia delle entrate, ha respinto il ricorso proposto dalla società di persone Eredi di C.C. di C.A.M. & C., s.n.c., avverso il silenzio rifiuto opposto dalla Agenzia delle entrate alla istanza di rimborso della differenza tra gli importi delle imposte ipotecaria e catastale, a tariffa fissa (Euro 168,00 per ciascuno dei due tributi) e le maggiori somme versate all’atto della registrazione del rogito, a ministero del notaio, Dott. M.G., 19 gennaio 2009, n. 457252 di rep., “di continuazione in forma societaria di comunione ereditaria”, in pagamento dei ridetti tributi, con applicazione della rispettive tariffe proporzionali, in ragione di Euro 34.483,00 per l’imposta ipotecaria e di Euro 17.241,00 per quella catastale.

2. – La società contribuente, mediante atto del 20 febbraio 2015, ha proposto ricorso per cassazione.

E, con memoria del 18 maggio 2020, ha insistito per l’accoglimento della impugnazione.

3. – La Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso del 1 aprile 2015.

Diritto

CONSIDERATO

1. – La Commissione regionale tributaria ha motivato il rigetto del ricorso introduttivo, in riforma della sentenza appellata, sulla base del rilievo che le prove addotte dai contribuenti per accreditare la tesi della comunione ereditaria della azienda paterna, condotta in affitto all’atto della successione dalla società Centro Arredi s.r.l., erano contraddittorie e insufficienti.

In proposito il giudice a quo ha osservato che nella dichiarazione di successione, presentata dal coerede C.C., non figurava inclusa alcuna azienda nell’asse ereditario (il dichiarante aveva compilato i quadri B1 e B4 dell’attivo ereditario); che la contraria dichiarazione contenuta nel rogito – scilicet: di aver i contribuenti “assunto la qualifica di soci comproprietari in comunione ereditaria della ditta C.C.” – era, pertanto, resistita dalla ridetta dichiarazione dei successione la quale non annoverava alcuna azienda nell’asse, bensì esclusivamente gli immobili e i diritti reali del de cuius; e che neppure, peraltro, corrispondevano i valori attribuiti – nella dichiarazione di successione all’asse ereditario e – nel rogito registrato – al patrimonio aziendale.

2. – La ricorrente sviluppa tre motivi di impugnazione.

2.1 – Col primo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10, comma 2, e in relazione all’art. 4 della allegata Tariffa.

La ricorrente censura la decisione impugnata, osservando:

a) la dichiarazione di successione non ha valore probatorio, in quanto consiste non in un atto negoziale, bensì in una mera dichiarazione di scienza, emendabile e rettificabile dal contribuente che sia incorso in errore di fatto o di diritto;

b) la Commissione tributaria regionale, confondendo “i concetti di impresa e di azienda”, ha erroneamente ritenuto “che la cessazione dell’impresa individuale del de cuius” escludesse la comunione ereditaria della azienda, laddove la attività di impresa era stata proseguita dalle società conduttrici (a compagine familiare) alle guaii il de cuius aveva fittato la azienda;

c) la registrazione dell’atto di regolarizzazione della società di fatto tra i coeredi della azienda era tempestivamente avvenuta il 17 febbraio 2009 entro un anno dalla apertura della successione (16 marzo 2008).

2.2 – Col secondo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., e in relazione agli artt. 24 e 111 Cost..

La ricorrente censura che la Commissione tributaria regionale avrebbe fondato la propria decisione esclusivamente sulla dichiarazione di successione e sulla visura della camera di commercio relativa alla cessazione della attività del de cuius alla data del 31 dicembre 1990, con malgoverno della disposizione del codice di rito relativa alla valutazione delle prove e con violazione del diritto di difesa e del principio di parità delle parti sanciti dalla Costituzione.

2.3 – Col terzo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Dopo aver premesso di aver prodotto fin dal giudizio di prime cure, l’atto pubblico in data 29 gennaio 1990 di costituzione della società Arredamenti C. dei fratelli C.P.C. e C., s.n.c.; il contratto di fitto di azienda, registrato il 3 gennaio 1997, tra il de cuius, C.C., e la ridetta società di persone; il contratto di fitto di azienda, registrato il 1t3 gennaio 2005 tra ii medesimo C.C. e la società Centro Arredi s.r.l.; le dichiarazioni dei redditi, presentate da C.C. nelle quali erano riportati i canoni percepiti per l’affitto della azienda; le fatture relative all’affitto della azienda; il modello 770/1992 attestante “l’esistenza della ditta C.C. già fatto oggetto di affitto”; la ricorrente censura che la Commissione tributaria regionale avrebbe trascurato “i rilievi documentali in parola”.

3. – Il ricorso non merita accoglimento.

3.1 – Il primo e il terzo motivo del ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione delle questioni proposte sono infondati.

La Commissione tributaria regionale, a dispetto della denunzia della ricorrente, non ha trascurato di considerare le deduzioni in fatto della contribuente: ha, per vero, dato atto che la medesima, “producendo i relativi documenti”, aveva sostenuto “che la azienda non si era estinta colla cancellazione della impresa (individuale di Carlo Coretta) dal relativo registro; che essa era stata regolarmente affittata, prima alla società Arredamenti C. dei fratelli P.C. e C., s.n.c. e, successivamente, alla società Centro Arredi s.r.l.”; che “a cadere in successione sarebbe stata, pertanto, l’azienda nel suo complesso e non i singoli beni che la costituivano” (v. sentenza, pp. 4 e 5).

E ha, anche, riconosciuto – disattendendo la tesi della Agenzia delle entrate appellante – che dalla cancellazione della ditta individuale C.C. non poteva trarsi la conseguenza della “estinzione della azienda sottostante” (v. ibidem, p. 7).

Il costrutto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata si fonda sulla considerazione che le prove, addotte dalla contribuente, in ordine alla “successione della azienda”, appaiono “insufficienti” e “contraddittorie”, in quanto sono resistite dal rilievo che nella denunzia di successione della eredità di C.C. furono annoverati nell’asse ereditario non la azienda, bensì uti singuli le proprietà e i diritti reali del de cuius.

Epperò la Commissione tributaria regionale non è incorsa nella violazione di legge (denunziata dalla ricorrente), in quanto ha escluso la applicazione della tariffa fissa dei tributi litigiosi, sulla base cielì accertamento in punto di tatto che non risultava dimostrata la ricorrenza del pertinente presupposto – della comunione ereditaria di azienda – previsto dalla norma agevolatrice.

3.2 – Il secondo motivo del ricorso è manifestamente inammissibile in quanto la censura espressa non è alla evidenza riconducile alle previsioni, contenute nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 della nullità della sentenza o del procedimento alla luce dei consolidati principi di diritto stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, a Sezioni Unite, in ordine alla ” riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione” e in ordine alla conseguente deducibilità col ricorso per cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè”, siccome consistente – detta anomalia – “nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Sez. Un., sentenza n. 8053 del 0//04/2014, Rv. b29830 – 01; Sez. Un., sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01; Sez. 3, sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 01).

3.3. – Consegue il rigetto del ricorso.

4. – Le spese del presente giudizio, congruamente liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi da remoto, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

 

 

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