Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13311 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 17/06/2011), n.13311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21307/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

SANTA MARIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 48/2005 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 06/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SPINA, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Puglia dep. il 06/05/2005 che aveva, respingendo l’appello dell’Ufficio, confermato la sentenza della CTP di Bari che aveva accolto il ricorso della Santa Maria s.p.a., avverso il silenzio rifiuto istanza di rimborso Iva per gli anni 1996-2000.

La CTR aveva ritenuto che la contribuente benchè operasse in regime di esenzione di imposta potesse chiedere il rimborso dell’iva sugli acquisti.

La ricorrente pone a fondamento del ricorso la violazione di legge.

La contribuente non ha resistito.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico articolato motivo di ricorso, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 2 e del medesimo D.P.R. n. 27 quinquies, art. 10, oltrechè vizio motivazionale nelle diverse forme.

Dei profili di censura, è di preliminare esame quello attinente alla dedotta violazione dell’art. 19 della Legge Iva, in quanto la questione della decadenza(relativa alle sole annate sino al 1998) – apparentemente preliminare – non esimerebbe, anche ove accolta, il collegio dall’esaminare le censure relative alla debenza del rimborso per le annate successive, laddove una soluzione negativa sul diritto al rimborso assorbirebbe la questione della decadenza, con conseguenze evidenti sulla economicità della decisione in applicazione dei principi della ragionevole durata del processo.

Il motivo è fondato.

Questa Corte (Cass. n. 9107/2009), con ricchezza di argomentazioni, e a cui si fa integrale riferimento, ha osservato che “in tema di IVA, la prima parte dell’art. 13, parte B, lett. c), della 6A direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’imposta sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto – va interpretato, secondo la Corte Europea (Ord. Del 6 luglio 2006, cause riunite C-18/05 e C-155/05), nel senso che l’esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza del detto articolo, in quanto l’imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell’acquisto iniziale di detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione (V. pure Cass. Sentenza n. 11117 del 07/05/2008, Sez. U, n. 20752 del 31/07/2008).

Sicchè quando questa sia stata corrisposta per attività esenti, il cessionario non ha diritto al relativo rimborso, trattandosi di operazione di per sè non esente.

Inoltre va osservato che ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 ed in conformità all’art. 17 della 6^ direttiva del Consiglio CEE del 17 maggio 1997, (come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte Europea) immediatamente applicabile nell’ordinamento interno già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 9 febbraio 1997, n. 313, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi afferenti al successivo compimento di operazioni esenti o comunque non soggette ad imposta, atteso che in base alla normativa citata, ai fini della detrazione non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa, essendo necessario che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA (V. pure Corte giustizia Gee Sent. del 6/7/2006 in cause riunite C-18/05 e C-155/05; Cass. Sentenza n. 18222 del 29/08/2007)”. La Corte evidenzia anche che la soluzione favorevole al rimborso “si fonda su un’ambiguità linguistica della versione italiana della sesta direttiva, là dove l’ipotesi di esenzione viene riferita alla fornitura di beni “destinati esclusivamente ad un’attività esentata…”.” Tale espressione potrebbe essere interpretata come indicante la destinazione del bene al momento del suo acquisto, e non la sua successiva rivendita.

Osserva però la Corte che “il testo francese della direttiva… fa riferimento ai beni che erano già stati inseriti nell’esercizio di attività esenti, per cui l’esenzione prevista dall’art. 13, lett. b), c) è, quindi, solo la successiva cessione dei beni stessi. In proposito non può condividersi quanto sostenuto … secondo cui la portata normativa del testo della direttiva nei singoli ordinamenti degli Stati membri dovrebbe essere individuata soltanto nella versione linguistica propria del Paese stesso. Il problema dell’interpretazione degli atti normativi aventi una versione ufficiale in diverse lingue è oggetto di un vivace dibattito, particolarmente quando le diverse espressioni linguistiche indicano concetti giuridici propri dei singoli ordinamenti e non coincidenti di altri ordinamenti nei quali il testo deve essere applicato. Nella specie, però, non si tratta di un problema di qualificazione, per cui le altre versioni linguistiche della direttiva possono costituire un utile strumento per eliminare ambiguità o incertezze nell’interpretazione della versione redatta per l’ordinamento di riferimento.

Nel caso di specie appare, quindi, decisivo il riferimento ad altre versioni, quale quella tedesca, nella quale si parla di “fornitura di beni che furono impiegati…. esclusivamente per un’attività esente” (“Lieferung der…. Gegenstanden, die aus-schliesslich fur eine …

von der Steuer befreite Tatigkeit bestimmt waren”), e a quella inglese, “cessione di beni usati interamente per un’attività esente” (“supply of goods used wholly for an activity exempted…”). Vi è da considerare, infine, che l’interpretazione che la Corte condivide riceve un’ulteriore conferma dal testo della direttiva 2006/112, la quale ha la funzione di raccogliere in un testo unico i diversi testi comunitari in materia di i.v.a. (c.d. “VAT package”), e le cui disposizioni, come precisato nel terzo “considerando”, devono ritenersi di contenuto interpretativo e non innovativo di quelle corrispondenti nelle previdenti fonti, salvo nei casi in cui l’intento modificativo emerga in modo esaustivo dal nuovo testo. In particolare, l’art. 136, lett. a), dispone che gli Stati membri esentano “le cessioni di beni già destinati esclusivamente ad un’attività esente …”. Tale espressione, mentre elimina l’ambiguità della versione italiana dell’art. 13, lett. b, c) della sesta direttiva, non fa che adeguarsi alle altre versioni linguistiche di tale articolo, nel senso che l’esenzione riguarda soltanto la successiva cessione di beni che erano stati già inseriti dall’impresa nell’esercizio di attività esenti. Di ciò costituisce una conferma, ad esempio, il fatto che la versione tedesca dell’art. 136, lett. a), è meramente riproduttiva del corrispondente testo della sesta direttiva non contenendo alcun avverbio”.

Questa Corte, non essendo state addotte valide ragioni contrarie, intende dar seguito a tale orientamento.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata senza rinvio e, poichè non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, la causa va perciò decisa nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso per quanto concerne il profilo relativo alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente. Compensa interamente le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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