Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1331 del 19/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1331 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23693/2010 R.G. proposto da
UGOM S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Simone
Ciccotti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio
Caro, n. 62;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale, sezione di
Roma, n. 3619/13/09 depositata 1’8 luglio 2009;

Data pubblicazione: 19/01/2018

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 novembre
2017 dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato che la UGOM S.r.l. in liquidazione propone ricorso per
cassazione, con tre mezzi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate
(che resiste con controricorso) avverso la sentenza in epigrafe con la

il ricorso dell’Ufficio ritenendo legittimi gli avvisi di accertamento con i
quali l’Ufficio Distrettuale II.DD., sulla base degli esiti di verifica
fiscale, recuperava a tassazione, a fini Irpeg e Ilor per gli anni 1982 e
1983, maggiori ricavi dalla vendita di immobili, induttivamente
determinati ai sensi dell’art. 39, comma secondo, d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600;
che la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che con il primo motivo di ricorso la contribuente
deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 342 e 346
cod. proc. civ., nonché dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art.
360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ.: premesso che il giudice
di secondo grado aveva rigettato il gravame dell’Ufficio ritenendo, da
un lato, che non sussistessero i presupposti per procedere ad
accertamento induttivo e, dall’altro, nel merito, che comunque fosse
congruo il valore di vendita degli immobili, avuto riguardo al valore
catastale degli stessi, rileva la ricorrente che, con il ricorso proposto
avanti la C.T.C., l’Ufficio non ha censurato quest’ultima parte della
motivazione ma ha solo insistito nell’affermare la ricorrenza dei
presupposti dell’accertamento induttivo; sostiene che pertanto alla
C.T.C. era precluso esaminare il ricorso, per difetto di domanda e per
difetto di interesse all’accoglimento del motivo che da solo non
poteva determinare la riforma della sentenza; lamenta inoltre che
erroneamente la C.T.C. ha sottoposto a censura la motivazione della
sentenza di secondo grado, senza che le fosse stata devoluta la
questione della correttezza della valutazione dalla stessa operata in
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quale la Commissione tributaria centrale, sezione di Roma, ha accolto

punto di coerenza del valore di vendita rispetto ai valori catastali;
che con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 25 e 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, per
avere la C.T.C. deciso in base a documentazione (la relazione
dell’U.T.E. utilizzata per la stima dei presunti maggiori ricavi)

incorrendo così anche nella violazione del citato art. 26 d.P.R. n. 636
del 1972 che non consente siano dedotte, a fondamento del ricorso
alla commissione predetta, questioni di fatto relative a valutazione
estimativa;
che con il terzo motivo la ricorrente deduce infine violazione e falsa
applicazione dell’art. 39, comma secondo, d.P.R. n. 600 del 1973,
nonché degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360,
comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.C. ritenuto
che a integrare i presupposti per procedere ad accertamento induttivo
ai sensi della citata norma bastasse la circostanza che la ripresa era
riferita a «reddito di impresa conseguito da soggetto tassabile in base
al bilancio» e, in ogni caso, per avere ritenuto assolto l’onere
incombente sull’amministrazione di dimostrare concretamente anche
la correttezza della quantificazione della maggiore imposta, sulla base
degli elementi desunti da un documento non ritualmente prodotto;
ritenuto che all’ammissibilità del ricorso non osta la dedotta
mancanza di una pagina nella copia notificata alla controparte, atteso
che — indipendentemente dalla verifica se tale lacuna determini o
meno incomprensibilità assoluta del motivo di ricorso (nella specie
difficilmente predicabile alla stregua delle indicazioni rilevabili dal
complesso dell’atto) — occorre comunque rilevare che, quand’anche
tale pregiudizio abbia a ravvisarsi, non ne potrebbe derivare
l’inammissibilità del ricorso, ma semmai la nullità della notifica,
suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. e,
dunque, anche per effetto della costituzione dell’intimato, salva la
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inammissibilmente prodotta avanti la stessa Commissione centrale,

possibile concessione a quest’ultimo di un termine per integrare le
sue difese (nella specie non richiesto);
che in tal senso si sono, come noto, pronunciate le Sezioni Unite di
questa Corte, che, risolvendo precedente contrasto formatosi sulla
questione, hanno affermato il principio secondo cui la mancanza nella

tempestivamente depositato, di una o più pagine non comporta
l’inammissibilità del ricorso, ma costituisce vizio della notifica
sanabile, con efficacia ex tunc, mediante nuova notifica di una copia
integrale, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine
fissato dalla Corte di cassazione, ovvero per effetto della costituzione
dell’intimato, salva la possibile concessione a quest’ultimo di un
termine per integrare le sue difese (Cass. Sez. U 14/09/2016, n.
18121, Rv. 641080);
ritenuto che nemmeno è d’ostacolo all’esame dei primi due motivi
di ricorso il mancato corretto riferimento alla previsione di cui al n. 4
del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. (essendo noto che il
ricorso per cassazione deve bensì essere articolato in specifici motivi
riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle
cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, ma
non può considerarsi necessaria l’adozione di formule sacramentali o
l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi: Cass. Sez.
U 24/07/2013, n. 17931 Rv. 627268);
ciò posto e ritenuto ey primo motivo è infondato;
/
che, invero, la mancata impugnazione di una o più affermazioni
contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato
interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi
completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che,
in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una
decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere
argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di
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copia notificata del ricorso per cassazione, il cui originale risulti

fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico
della decisione (v. ex multis Cass. 18/09/2017, n. 21566; Cass.
23/03/2012, n. 4732);
che, nel caso di specie, la valutazione della rilevanza o meno della
coerenza del valore di vendita degli immobili rispetto a quelli

relativa alla rettifica dei ricavi dichiarati dalla società, per cui,
essendo stata impugnata tale statuizione, non poteva formarsi
giudicato interno sulla soluzione data a tale questione, la quale per
converso deve legittimamente ritenersi trattata dalla Commissione
centrale, indipendentemente da una specifica sollecitazione sul punto,
nell’ambito del potere dovere di rivalutazione complessiva dei
presupposti della ripresa e degli elementi a tal fine dedotti dalle parti;
che è infondato anche il secondo motivo, con riferimento ad
entrambi i profili dedotti, il primo dei quali incidentalmente riproposto
anche nel terzo motivo, al quale dunque vanno anche riferite, per tale
parte, le considerazioni che seguono;
che invero — pur prescindendo dalla non autosufficienza della
prima censura (che omette infatti di indicare l’atto o il verbale del
processo dal quale possa evincersi che la documentazione posta a
fondamento della decisione impugnata sia stata per la prima volta
prodotta avanti la C.T.C. e non invece, come di contro dedotto dalla
Amministrazione resistente, già in secondo grado) — devesi
comunque rilevare che l’ammissibilità della produzione di nuovi
documenti davanti alla Commissione Tributaria Centrale si ricava
dall’espressa previsione di cui all’art. 36, secondo comma, d.P.R. n.
636 del 1972 (cfr. Cass. 28/01/2002, n. 1030; 17/07/1997, n. 6573;
03/08/1991, n. 8563);
che deve altresì escludersi che il rilievo attribuito nella sentenza
impugnata alla valutazione tecnica effettuata dall’U.T.E. incorra nel
divieto di proporre questioni estimative, ex art. 26 d.P.R. n. 636 del
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catastali, costituisce una mera premessa logica della statuizione

1972, trattandosi di mero accertamento strumentale, per altro
concorrente insieme con altri elementi indiziari, alla verifica
dell’attendibilità dei ricavi dichiarati dall’impresa e quindi dei
presupposti dell’accertamento induttivo;
che al riguardo questa Corte ha più volte affermato che, quando sia

essere stata contestata l’esistenza delle presunzioni semplici poste a
fondamento del potere di rettifica della dichiarazione dei redditi),
rientra tra i poteri della Commissione Tributaria Centrale di valutare
la ricorrenza delle condizioni che legittimano tale accertamento e,
quindi, di esaminare anche i fatti a suo sostegno; la Commissione
Tributaria Centrale, che in questi sensi è anche giudice del fatto, può,
quindi, accertare se quelle presunzioni esistano e se abbiano quelle
connotazioni di gravità precisione e concordanza perché possa farsi
luogo a quel tipo di accertamento (Cass. 07/02/1997, n. 1179; Cass.
22/03/1986, n. 2501);
che, invero, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636,
il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale è proponibile anche per
questioni di fatto, con la sola esclusione di quelle relative a
valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie; poiché
tra le questioni di cui la Commissione Centrale non può avere
cognizione non rientrano tutte quelle di fatto, ma solo quelle di
valutazione estimativa, ossia quelle attinenti alla stretta
quantificazione del cespite, del reddito o della base imponibile e dei
presupposti materiali del tributo, deve ritenersi non esorbitante dalle
competenze della Commissione Centrale la verifica della correttezza
del procedimento seguito dall’Amministrazione, anche sotto il profilo
dell’esistenza e della adeguatezza degli elementi presuntivi, ai fini
dell’accertamento dell’effettiva situazione economica del contribuente
(Cass. 27/05/1991, n. 5776); ne consegue, allora, che non essendo
incluso, tra le cause tassativamente previste di annullamento con
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posta in discussione la legittimità dell’accertamento induttivo (per

rinvio, il vizio di motivazione della decisione di secondo grado che non
abbia riguardato la suddetta questione estimativa (art. 29, commi
primo e secondo, e art. 40, ult. co ., d.P.R. cit.), resta fermo il potere
della Commissione Tributarla Centrale, sempre che riconosca la
fondatezza della censura, di correggere, integrare o sostituire la

Cass. 07/10/1987, n. 7448): che è quanto avvenuto nel caso di
specie;
che è infine inammissibile il terzo motivo;
che la censura invero non coglie la reale ratio decidendi della
sentenza impugnata, la quale afferma la legittimità dell’accertamento
induttivo operato ai sensi dell’art. 39, comma secondo, d.P.R. n. 600
del 1973, non già — come postulato dalla ricorrente — sulla base del
solo rilievo che si tratta di «reddito d’impresa conseguito da soggetto
tassabile in base al bilancio», ma considerando, da un lato, la
«valutazione tecnica effettuata dall’U.T.E.» e, dall’altro, «i numerosi
rilievi riscontrati in sede di verifica condotta dall’Ispettorato
compartimentale II.DD. in data 8/3/86», indizi considerati «gravi e
concordanti» e come tali idonei a legittimare l’Ufficio «a ricorrere al
procedimento prescelto»;
che è pertanto da escludere che i giudici a quibus si siano mossi nel
solco di una regola di giudizio diversa da quella dettata dalla norma
richiamata, restando estraneo al tema devoluto in questa sede ogni
valutazione circa la congruità della motivazione;
che in ragione delle considerazioni che precedono deve pertanto
pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da
dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate

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motivazione della decisione impugnata (Cass. 22/02/1991, n. 1957;

in Euro 3.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso il 24/11/2017

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