Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13309 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 18/05/2021), n.13309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19150/2013 proposto da:

U.P.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Lucisano

e dall’Avv. Maria Sonia Vulcano, elettivamente domiciliata presso il

suo studio in Roma, viale Parioli n. 43.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. DEL PIEMONTE n. 44/36/12,

depositata il 23 maggio 2012;

udita la relazione della causa svolta in data 28/10/2020 dal

Consigliere PIERPAOLO GORI;

udita per l’Avvocatura dello Stato l’Avv. Maria Francesca Severi;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per.

l’inammissibilità del ricorso.

nessuno è comparso per la difesa.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 44/36/12, depositata il 23 maggio 2012 la Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto da U.P.F. proposto avverso la sentenza n. 3/21/10 della Commissione tributaria provinciale di Torino la quale aveva accolto il ricorso della contribuente e compensato le spese di lite, in relazione ad una cartella di pagamento per II.DD., addizionali regionali, IVA e sanzioni 2005, emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis con cui erano stati recuperati ad imposta ricavi non dichiarati.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente per dodici motivi (undici nella numerazione del ricorso), cui l’Agenzia delle Entrate replica con controricorso. Nel ricorso il contribuente rendeva noto di aver in data 14.3.2012 presentato domanda di definizione della lite fiscale pendente ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 rigettata e oggetto di separato reclamo avanti alla CTP.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo – senza individuazione del pertinente paragrafo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, comunque individuabile nel n. 3 – il contribuente deduce la violazione e mancata applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 oltre che del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 3 chiedendo alla Corte di stabilire se, a fonte dell’avvenuta definizione della lite pendente ad opera dell’art. 39 citato, consegua l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

Il motivo è inammissibile, per più ragioni. Al di là della tecnica di formulazione del mezzo, la doglianza che reca è nuova, non essendo dimostrato in alcun modo che il contribuente abbia invocato l’applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 nel grado di appello mentre nello stesso ricorso si rende noto che la domanda di definizione agevolata sarebbe stata presentata il 14.3.2012, e dunque anteriormente all’udienza di discussione avanti alla CTR, tenutasi il 20.3.2012, nella quale la controversia è stata assunta in decisione. Inoltre, la prospettazione del contribuente secondo cui il rigetto dell’istanza da parte dell’Agenzia sarebbe stato formato comunicato successivamente al deposito della sentenza impugnata non è in alcun modo dimostrata. Infine, è lo stesso contribuente a riferire che il diniego è stato separatamente impugnato avanti alla CTP, evidentemente in data anteriore al deposito del ricorso.

– Con il secondo motivo (primo nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente lamenta la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 1 e art. 16, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 3, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, D.L. n. 472 del 1997, art. 17, comma 3 censurando il passaggio della sentenza della CTR che ha omesso di riconoscere la nullità della cartella per mancata motivazione delle sanzioni, in particolare quanto al mancato riconoscimento dell’attenuazione di cui all’art. 12 citato. Nel corpo del motivo si denuncia a riguardo anche l’omessa motivazione (punto 15 a pag.15 del ricorso).

Il motivo – inammissibile nella parte in cui genericamente deduce l’omessa motivazione senza ulteriore articolazione del mezzo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è comunque nel suo complesso infondato, in quanto il giudice d’appello si è chiaramente è pronunciato sulla questione, ritenendo non condivisibile la prospettazione del contribuente, in quanto la normativa invocata fa riferimento a vera e propria attività di accertamento diversa dal controllo formale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e la sanzione prevista per gli omessi versamenti prevede per legge una misura fissa per ogni omesso versamento. Il decisum è pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis quanto alle sanzioni, per adempiere agli obblighi di motivazione è sufficiente il riferimento alla norma di legge che ne prevede i criteri di calcolo o alla tipologia della violazione da cui è possibile desumere gli stessi (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 6812 del 08/03/2019, Rv. 653315 – 01).

– Con il terzo, quarto e quinto motivo (secondo, terzo e quarto nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente censura la violazione e mancata applicazione, rispettivamente, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, commi 1 e 3, periodo 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3 e art. 60, comma 5 bis, periodo 3 nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2 e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 1, periodo 1, art. 6, comma 5, art. 7, art. 12, comma 1 ritenendo obbligatorio l’invio dell’avviso bonario quale atto prodromico necessario per la successiva iscrizione a ruolo delle imposte liquidate all’esito dei controlli del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

I motivi, da affrontarsi congiuntamente in quanto connessi e relativi alla mancanza di c.d. avviso bonario e di adeguata motivazione della cartella, sono infondati. Va reiterato che “L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, (in materia di tributi diretti) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3, (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l’esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi” Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17396 del 23/07/2010, Rv. 615009 – 01; conforme, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3154 del 17/02/2015, Rv. 634631 01). Va dunque confermata la correttezza della pronuncia della sentenza della Commissione tributaria regionale che ha considerato legittimamente emessa la cartella di pagamento, in assenza di previa comunicazione al contribuente, avendo escluso che che la liquidazione dell’imposta nel caso di specie abbia evidenziato un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione, per evitare la ripetizione di errori in futuro e permettere di sanare irregolarità formali. Infine, è principio consolidato quello secondo cui, allorchè si proceda, in sede di controllo cartolare D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, la cartella di pagamento può essere motivata con il mero richiamo alla dichiarazione, poichè il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25329 del 28/11/2014, Rv. 633304 01; conforme, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15564 del 27/07/2016, Rv. 640655 – 01), come avvenuto nel caso di specie.

Con il sesto motivo (quinto nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente censura la violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 2, lett. a) per essere l’Agenzia incorsa nella decadenza dal potere di operare la liquidazione delle imposte.

Il motivo è infondato. Va ribadito che: “In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis la legittimità della pretesa erariale è subordinata, alla luce dell’intervento legislativo realizzato con il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, commi 5-bis e 5-ter, convertito nella L. 31 luglio 2005, n. 156, alla notificazione della cartella di pagamento al contribuente entro un termine di decadenza, dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del medesimo contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16826 del 21/07/2006, Rv. 593128 – 01; conforme, tra le molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4255 del 2007). Nel caso di specie, con riferimento alla cartella di pagamento impugnata, il termine decadenziale per la notifica è costituito dal 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, e il contribuente non allega neppure che tale termine sia stato superato.

Con il settimo, ottavo e nono motivo (sesto, settimo e ottavo nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente censura una serie di vizi afferenti al ruolo, in particolare la violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, commi 1 e 4 delle norme in tema di diritto amministrativo, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 3, della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 129 per assenza di sottoscrizione della cartella da parte di legittimato e di valida delega, doglianze proposte anche sotto il profilo dell’omessa pronuncia; del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, del D.M. n. 321 del 1999, art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 19 e 53, art. 2697 c.c., anche per omessa pronuncia, censura che riguarda la carenza di potere in capo ad un soggetto del quale l’amministrazione non avrebbe provato esistesse il potere di sottoscrivere il ruolo; del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, del D.M. n. 321 del 1999, art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 67, comma 1, lett. a), art. 68, Delib. 13 dicembre 2000, n. 6, art. 1, lett. b), R.D. n. 262 del 1942, art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 71, comma 3, Delib. 30 novembre 2000, n. 4, art. 4, comma 1 denuncia anche come omessa pronuncia, relativa alla mancanza di poteri di rappresentanza in capo alla sede provinciale dell’Agenzia delle Entrate emittente la cartella.

– I tre motivi possono essere affrontati congiuntamente, in quanto connessi oggettivamente e afferenti alla ritualità della emissione del ruolo, e sono in parte inammissibili e in parte infondati. Sono inammissibili nella parte in cui genericamente deducono l’omessa pronuncia senza specifica articolazione del mezzo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 che, comunque, non sussiste in quanto il giudice d’appello ha espressamente pronunciato sulla questione, respingendo la prospettazione del contribuente nel rispetto dell’art. 112 c.p.c..

Neppure le dedotte violazioni di legge sussistono dal momento che, quanto alla sottoscrizione del ruolo, “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 31605 del 04/12/2019, Rv. 656366 – 01; conformi, Cass., Sez. 5, 5/05/2010 n. 10805; Cass., Sez. 5, 5/06/2008 n. 14894).

Inoltre, anche nel caso di specie vale il principio giurisprudenziale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6338 del 10/03/2008, Rv. 602402 – 01) secondo il quale la legittimazione processuale degli uffici locali dell’Agenzia delle entrate trova fondamento nella norma statutaria (art. 5, comma 1, del Regolamento di amministrazione delle Agenzie) adottata ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66; ne consegue che agli uffici locali va riconosciuta la posizione processuale di parte e l’accesso alla difesa davanti alle commissioni tributarie tramite la rappresentanza del direttore, permanendo la vigenza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 7.

Con il decimo motivo (nono nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente deduce la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1, 2 e 3 per aver la CTR condiviso le riprese come quantificate nell’atto impositivo, senza rifare tutti i conteggi tenendo conto delle violazioni reiterate nello stesso anno e nei precedenti, vizio dedotto anche quale vizio motivazionale.

Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza. E’ innanzitutto inammissibile ove deduce un vizio di omessa motivazione circa l’art. 12 cit. genericamente e senza nemmeno individuazione del pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, oltre che per difetto di autosufficienza perchè, non circostanzia adeguatamente e analiticamente le violazioni reiterate che ritiene rilevanti.

In ogni caso, in punto di motivazione il vizio è anche destituito di fondamento, in quanto si ribadisce in generale che “In tema di motivazione della cartella di pagamento, l’atto con cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, va motivato debitamente, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, mentre quello con cui si proceda, in sede di controllo cartolare D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poichè il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25329 del 28/11/2014, Rv. 633304 – 01). Questo secondo è il caso di specie, in cui pacificamente si verte su di un controllo automatizzato sulla base della dichiarazione delle imposte presentata dallo stesso contribuente e dunque da lui conosciuta, nè lo stesso evidenzia particolari aspetti di incertezza in relazione a tale circostanza di fatto.

Con l’undicesimo e dodicesimo motivo (decimo e undicesimo nella numerazione in ricorso) – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente lamenta, rispettivamente, la violazione e mancata applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 da parte del giudice d’appello per aver il giudice di primo grado condannato la parte al pagamento delle spese di giudizio senza distinguere tra diritti ed onorari, censura proposta anche per omessa pronuncia per mancata menzione della notula spese, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis della tabella A parte II nn. 12, 19, 20 del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, in ordine alla determinazione della misura delle spese da parte della CTP, motivi già posti alla base dell’appello e non accolti dalla CTR.

I motivi sono inammissibili, oltre che destituiti di fondamento, in quanto la CTR ha espressamente pronunciato sul capo dell’appello in cui il contribuente censurava “l’omessa precisazione in punto di condanna alle spese di giudizio della distinzione tra quanto dovuto per diritti e quanto dovuto per onorari” (cfr. p.4 sentenza), compiendo un accertamento in fatto di conformità della decisione di primo grado alle tabelle applicabili, accertamento peraltro non specificamente censurato con la riproduzione per autosufficienza della notula spese posta all’attenzione del giudice di prime cure e della misura dei diritti e degli onorari a dire del contribuente applicabili e non rispettate.

– In conclusione, il ricorso va rigettato e segue la liquidazione delle spese di lite come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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