Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13308 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 18/05/2021), n.13308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9799/2013 proposto da:

BEAL S.R.L. (incorporante la CEA COMPLESSO EUROPA APPARTOTEL S.R.L.),

in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa

dall’Avv. Francesco D’Ayala Valva, elettivamente domiciliata presso

il suo studio in Roma, viale Parioli n. 43.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. DELLA LIGURIA n. 38/6/12,

depositata il 21 agosto 2012;

udita la relazione della causa svolta in data 28/10/2020 dal

Consigliere PIERPAOLO GORI;

udita per l’Avvocatura dello Stato l’Avv. Maria Francesca Severi;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso per la sua confezione e, in subordine, per il rigetto;

udito per la difesa l’Avv. Francesco D’Ayala Valva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

– Con sentenza n. 38/6/12, depositata il 21 agosto 2012 la Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, implicitamente rigettando l’appello incidentale della Beal S.r.l., incorporante la Cea Complesso Europa Appartotel S.r.l., società esercente l’attività alberghiera, proposto avverso la sentenza n. 109/10/09 della Commissione tributaria provinciale di Genova la quale aveva accolto il ricorso della contribuente e compensato le spese di lite, in relazione ad un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA 2003 con cui erano stati recuperati ad imposta ricavi non dichiarati, alla luce della manifesta antieconomicità aziendale e in applicazione di studio di settore.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società per dieci motivi, che illustra con memoria, cui l’Agenzia delle Entrate replica con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte osserva che, anche alla luce della discussione della difesa, in disparte dalla tecnica redazionale del ricorso su cui si appuntano le conclusioni del sostituto Procuratore Generale che in effetti consente con grande difficoltà la lettura dell’atto per il continuo e caotico alternare nel testo dell’uso di stampatello, grassetto, sottolineato e corsivo, in assenza di interlinea e con l’uso frequente di periodi lunghissimi senza soluzione di continuità, è possibile enucleare le singole censure, le quali vengono sintetizzate e scrutinate come segue.

Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – viene dedotta la nullità della sentenza, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in quanto priva di un elemento contenutistico essenziale, tra l’altro in relazione di efficienza causale con l’esito del giudizio di appello, ed in specie, in quanto priva di sufficiente esposizione sommaria dei fatti di causa rilevanti per la decisione poichè non solo mancante di resoconto delle puntuali contestazioni della società in ordine all’applicabilità dello studio o standard di settore, alla sussistenza di specifiche e contingenti ragioni che comunque giustificavano lo scostamento e l’apparente anomalo andamento economico dei periodi di imposta chiusi in perdita (incluso quello oggetto di ripresa) ed alla insussistenza ed insignificanza della contestata antieconomicità come delle pregresse mancanze fiscali per l’anno 1999 che la CTR ha considerato ulteriori e decisivi elementi utili a confermare l’avviso di accertamento impugnato come se fossero incontroversi, ma anche in quanto la sentenza nel resoconto in fatto e in diritto ometterebbe di rappresentare i contenuti decisivi delle controdeduzioni depositate dall’Agenzia in primo grado, laddove l’Ufficio aveva ammesso di non aver compiuto la necessaria verifica dell’applicabilità dello standard prescelto, ma di aver solo ricercato un accordo transattivo e di aver considerato il mero scostamento, a priori, presunzione legale relativa o presunzione qualificata sufficiente ad emettere l’accertamento senza necessità di preventiva verifica o conforto alcuno dell’astratta ipotesi probabilistica nel contesto del contraddittorio amministrativo, tenuto conto che già per questa ammissione e precisazione, non più modificabile dall’Agenzia, il giudice d’appello avrebbe dovuto concludere per la violazione della relativa disciplina e per l’annullamento dell’atto impositivo e che, prima ancora, la sentenza mancherebbe di dare conto di contenuti essenziali per stabilire i limiti del dedotto e del deducibile in grado di appello, come la coerenza ad essi dell’appello dell’Agenzia e della stessa decisione di appello.

Il motivo è infondato. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 prescrive che la sentenza contenga, fra l’altro, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” e “la sufficiente esposizione dei motivi in fatto e diritto”. Inoltre, l’art. 118 disp. att. c.p.c., applicabile al rito tributario per il rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. cit., prevede l’esposizione in sentenza dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e la motivazione in diritto, i quali devono rendere possibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo. Tali elementi sono rinvenibili nella sentenza impugnata e non è necessaria l’analitica riproduzione di tutti i fatti processuali e di tutte le deduzioni di parte, ma appunto una concisa e sufficiente esposizione purchè funzionale alla corretta ricognizione della materia del contendere, come evincibile nelle pagine 2-5 della sentenza impugnata a partire dallo “svolgimento del processo”.

Con il secondo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – viene lamentata la violazione o falsa applicazione della disciplina dell’accertamento e dell’avviso di accertamento in base agli studi di settore di cui alla L. n. 427 del 1993, art. 62 sexies, della L. n. 146 del 1998, art. 10, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 per radicale contraddizione con quanto statuito dalla Corte di Cassazione SS.UU. n. 26635 del 2009 (in memoria si fa riferimento anche a Cass. nn. 16545 del 2019 e 27617 del 2018) quanto ai requisiti contenutistici essenziali dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore in relazione al caso concreto, allo standard prescelto e alla specifica azienda accertata, come pure in -ordine alle ragioni per le quali l’Ufficio aveva disatteso le contestazioni della contribuente, ritenendo l’avviso valido e motivato pur non avendo questo riprodotto o almeno dato conto sinteticamente delle posizioni delle parti in sede di contraddittorio e delle ragioni per cui non aveva accolto la prospettazione della società.

Con il terzo motivo, ulteriormente illustrato in memoria unitamente ai due successivi motivi, la ricorrente – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – deduce l’insufficienza della motivazione in ordine al “motivo” dell’avviso di accertamento impugnato, decisivo e controverso, considerato che la CTR allude alla circostanza che non sarebbero i soli elementi contenuti nella motivazione dell’avviso di accertamento, rilevanti o pertinenti rispetto a detta questione, ma senza precisazione in alcun modo del loro contenuto.

Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – viene lamentata la violazione o falsa applicazione della disciplina dell’avviso di accertamento in base agli studi di settore di cui alla L. n. 427 del 1993, art. 62 sexies, della L. n. 146 del 1998, art. 10, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e delle norme sull’onere della prova della maggior pretesa tributaria, sulla natura della presunzione fondata sulle risultanze degli studi di settore e dei principi che governano le presunzioni semplici di cui agli artt. 2697,2727 e 2728 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1 e l’atto pubblico, come l’onere della prova contraria a carico del contribuente, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 del divieto di mutatio libelli e dei limiti del dedotto e deducibile in grado di appello – con particolare riferimento alla mancata declaratoria di nullità o al mancato annullamento dell’avviso di accertamento nonostante l’Agenzia avesse riconosciuto l’erronea accezione delle risultanze dello studio di settore come autosufficiente e idonea a far sorgere a priori tale presunzione legale, come se a nulla rilevasse il contraddittorio preventivo amministrativo in ordine ad esse e all’applicabilità dello standard prescelto, contestate dalla contribuente, e fosse inteso dall’Agenzia unicamente per tentare un accodo con la contribuente ed ottenere così l’adesione all’accertamento, considerando sufficienti elementi non strutturali come l’antieconomicità ed una pregressa contestazione fiscale del 1999, oltre ai dati attinti dal modello presentato per lo studio di settore.

Con il quinto motivo la società – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – lamenta l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine al contraddittorio preventivo amministrativo, dal momento che la CTR afferma che dall’atto risulta l’analisi di altri elementi individuati in quelli attinti dal modello presentato ai fini dello studio di settore, ma poi si contraddice riferendo dapprima che gli stessi sarebbero stati riprodotti nelle controdeduzioni dell’Agenzia e poi affermando che la motivazione dell’atto di accertamento avrebbe contenuto solo la menzione dell’avvio del contraddittorio e del mancato raggiungimento di un accordo, considerando che sulla presunta correttezza del contraddittorio e sulla presenza di imprecisate altre ragioni il giudice del merito ha ritenuto corretto il procedimento seguito dall’Agenzia e legittimo l’atto impositivo.

Con il sesto motivo la contribuente – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – lamenta la violazione o falsa applicazione della disciplina dell’accertamento basato sugli studi di settore della L. n. 427 del 1993, ex art. 62 sexies, della L. n. 146 del 1998, art. 10 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e delle norme sull’onere della prova della maggior pretesa tributaria, sulla natura della presunzione fondata sulle risultanze degli studi di settore e dei principi che governano le presunzioni semplici di cui agli artt. 2697,2727 e 2728 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, nella parte in cui la CTR giudica dell’onere della prova a carico dell’Agenzia e da questa allegata solo nella sede contenziosa, circa l’applicabilità dello studio di settore nel caso specifico ed il riscontro probatorio sulla validità dell’accertamento.

Con il settimo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la contribuente lamenta l’insufficienza della motivazione in ordine al fatto decisivo e controverso dell’adempimento dell’Agenzia all’onere di provare l’applicabilità dello studio di settore nel caso specifico, riscontro probatorio sulla validità dell’accertamento. Il motivo viene rielaborato in memoria, anche con richiamo di giurisprudenza non pertinente, relativa all’omesso esame e non all’insufficienza motivazionale.

I motivi che precedono possono essere esaminati congiuntamente, in quanto afferenti alla medesima ratio decidendi, e non sono inammissibili in parte qua come eccepito in controricorso, in quanto l’erronea ricognizione della fattispecie concreta può in astratto ricadere nella censura di violazione di legge (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 23851 del 25/09/2019), ma sono infondati. Infatti, quanto al secondo motivo, la CTR ha compiuto un espresso accertamento in fatto in relazione alle circostanze oggetto del motivo, gli elementi ulteriori rispetto allo scostamento tra dichiarazione e risultanze dell’applicazione dello studio di settore, verificati nel contraddittorio della parte, i quali sono “i principali dati afferenti l’attività alberghiera” risultanti dal modello compilato dalla contribuente per lo studio stesso, presentato per il 2004, tra cui un “risultato di gestione del 2004 (è) inverosimilmente negativo, culminando con una perdita di Euro 322.716,00. Tale perdita non è un fatto episodico, ma la costanza negli ultimi cinque periodi di imposta palesando quindi un’abituale antieconomicità del comportamento imprenditoriale (…)” (cfr. sentenza impugnata, nell’esposizione in fatto a p.2 e nella motivazione in diritto a p.5).

Inoltre, quanto al terzo motivo, sesto e settimo motivo, va riaffermato anche nella fattispecie che “La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa”. (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019, Rv. 655077 – 01). Nondimeno, nel caso di specie, l’accertamento non è fondato solo sullo scostamento tra dichiarazione e studio di settore applicato, peraltro non di modesta entità e idoneo comunque, per il principio giurisprudenziale sopra richiamato, a generare presunzioni gravi precise e concordanti, dal momento che i parametri applicati rappresentando la risultante dell’estrapolazione di una pluralità di dati, i quali rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, sulla base di presunzioni semplici (Cass. 20 febbraio 2015 n. 3415; Cass. 13 luglio 2016 n. 14288). Infatti, nella fattispecie non si verte su di un caso di accertamento da studio di settore “puro”, bensì “misto” ossia nel quale lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori che basano la pretesa creditoria fiscale, invero nemmeno quella principale, essendolo piuttosto decisiva la palese “antieconomicità” della gestione aziendale, particolare grave in quanto pacificamente protratta per numerosi anni di imposta anteriori a quello per cui è causa.

Circa la quarta doglianza, va anche aggiunto a quanto sopra che l’esito dell’accertamento con adesione, negativo, comporta necessariamente la considerazione di non decisività delle giustificazioni già addotte dalla contribuente in fase amministrativa, e dunque non vi è mutatio libelli e contraddizione alcuna con la successiva difesa giudiziale della pretesa impositiva da parte dell’Agenzia, alla luce di una pluralità di elementi già emersi in sede amministrativa nel quale è pacificamente intervenuto il contraddittorio con la società. Si tratta non solo dello scostamento tra dichiarazione e risultanze ma anche di una incontestata pluriennale antieconomicità, dettagliato a pag.5 della sentenza impugnata ove, tra l’altro, si legge: “la società ha dichiarato perdite dal 1999 al 2003”; l’intero arco temporale è immediatamente precedente a quello oggetto di ripresa.

In relazione alla quinta censura, nessuna confessione dell’Agenzia a sè sfavorevole o contraddittorietà è desumibile dalla lettura della sentenza impugnata, in particolare dei passaggi argomentativi evidenziati dalla contribuente, in quanto complementari, riferibili da un lato all’applicabilità dello studio di settore e, dall’altro, alla sussistenza di gravi incongruenze tra dichiarazione e caratteristiche, collocazione e condizioni di esercizio dell’attività commerciale, tutti elementi desunti dai dati forniti dalla stessa società all’Agenzia; la CTR inoltre accerta che nella motivazione dell’avviso, tra l’altro ma non esclusivamente – è fatto riferimento all’instaurazione del contraddittorio e all’eventuale definizione con adesione con esito negativo.

Con l’ottavo motivo di ricorso, la contribuente censura ai fini del-l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) nella parte in cui il giudice d’appello qualifica e giudica le giustificazioni addotte dalla società e i dati economici inerenti la gestione dell’albergo sostenuti dalla società, dal momento che ivi non solo conferma di aver erroneamente ritenuto che fosse la contribuente a dover allegare e documentare le ragioni per le quali si dovesse escludere l’applicazione dello studio di settore al caso di specie, piuttosto che l’Agenzia a dovere dimostrare le ragioni di tale applicabilità, ma anche in quanto la CTR non avrebbe rilevato che i dati economici inerenti la gestione dell’albergo non dovevano nè potevano essere poste in correlazione con l’applicabilità dello studio, bensì con la sussistenza di giustificazioni dello scostamento dalle relative risultanze, anche allorquando lo studio fosse stato ritenuto applicabile, e con la sussistenza dell’antieconomicità della gestione aziendale.

Con il nono motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la contribuente lamenta l’omessa o l’insufficienza della motivazione in ordine ai passaggi argomentativi della CTR in cui lo studio di settore è applicato al caso concreto, ossia alle ragioni per cui il giudice d’appello ha ritenuto le giustificazioni fornite dalla contribuente non idonee ad escludere l’applicabilità dello studio di settore.

I motivi, ulteriormente rielaborati in memoria, sono connessi, vanno trattati congiuntamente e sono inammissibili. Sotto un primo profilo con riferimento alla parte in cui è dedotta la nullità della sentenza per asserita violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento all’applicabilità degli studi di settore “Va difatti ribadito il consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione. A tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (tra varie, Cass. 8 agosto 2006, n. 17947 e 21 febbraio 2014, n. 4205)” (Cass. Sez. Un, Sentenza n. 27435 del 2017). Nel caso di specie l’Agenzia ha male censurato la ricognizione della materia giustiziabile operata dalla motivazione dalla CTR nei passaggi richiamati nei due motivi in esame, dal momento che avrebbe dovuto contrastarla deducendo il vizio motivazionale – e ciò esclude la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 prospettata con l’ottavo motivo – e unicamente sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, non specificamente evidenziati nel nono motivo.

– Inoltre i motivi sono inammissibili anche in quanto vi è stata una pronuncia espressa della CTR sufficientemente precisa sul contenuto delle giustificazioni offerte dalla contribuente, come si legge a pag. 5 della sentenza: “Le giustificazioni addotte dalla società si riferiscono ai motivi che hanno indotto il mantenimento dell’attività di gestione dell’albergo, anche se in perdita, onde non deprezzarlo (…) alle dimissioni del direttore (…) e alla riapertura di un altro albergo (…) ma non sono ritenute tali da poter escludere l’applicazione dello studio di settore (…)”, ritenute secondo un iter logico argomentativo adeguato non dirimenti alla luce dell’incontestata pluriennale grave antieconomicità della gestione aziendale dal 1999 al 2003.

– Con il decimo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – la contribuente lamenta l’omessa o l’insufficienza della motivazione quanto all’implicito rigetto della domanda subordinata, formulata dalla contribuente in entrambi i gradi di giudizio di merito, di rideterminazione in diminuzione della pretesa accertata e, prima ancora, della misura dello scostamento in relazione al parametro di riferimento offerto dall’Agenzia.

Il motivo non può trovare ingresso. Va ribadito ò che “Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con Inter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto” (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020, Rv. 658279 01). Nel caso di specie, come peraltro riconosce la stessa contribuente nel corpo del motivo, si configura certamente una decisionè implicita della CTR che ha affrontato il merito delle doglianze dell’appellante e ha confermato integralmente la legittimità delle riprese, sia sull’an che sul quantum debeatur.

– In conclusione, il ricorso va rigettato e segue la liquidazione delle spese di lite come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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