Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13307 del 29/05/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 13307 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MELONI MARINA
SENTENZA
sul ricorso 4795-2012 proposto da:
CAD LA SPEZIA SRL IN LIQUIDAZIONE
in persona del
Liquidatore e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE
14, presso lo studio dell’avvocato BARBANTINI FEDELI
MARIA TERESA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MARINELLI ERNESTO giusta delega a
margine;
–
ricorrente
–
contro
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
Data pubblicazione: 29/05/2013
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
–
controricorrente
–
avverso la sentenza n. 139/2010 della COMM.TRIB.REG.
di GENOVA, depositata il 31/12/2010;
udienza del 25/03/2013 dal Consigliere Dott. MARINA
MELONI;
udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
Svolgimento del processo
A seguito di notifica di avviso di rettifica
Direzione di La Spezia, con il quale era stato
ingiunto il pagamento della somma complessiva di C
3.775,02 per recupero a posteriori del dazio (più
iva) relativo ad un’operazione di importazione di
lampadine
a
basso
consumo
energetico
con
dichiarazione provenienza dalle Filippine,
effettuata nell’agosto 2004, la società CAD LA
SPEZIA SRL (Centro di assistenza doganale)
presentava ricorso alla Commissione Tributaria
provinciale di La Spezia. In particolare la
società,
esercente attività di importazione di
prodotti, contestava la violazione
dell’art. 12
comma 7 della legge 212/2000, l’insussistenza della
responsabilità solidale dello spedizioniere
doganale per il pagamento dei tributi doganali
nonché l’illegittimità dell’atto impositivo per
contrasto con la normativa comunitaria ed asseriva
di non essere tenuta al pagamento dei maggiori
diritti doganali richiesti a seguito
dell’accertamento in ordine alla reale provenienza
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dell’accertamento, emesso dall’Agenzia delle Dogane
della merce, dichiarata di origine filippina, in
quanto, oltre agli altri motivi, sussistevano le
condizioni di cui all’art. 220 Reg.CEE 2913/92.
con sentenza nr.159/01/08 rigettava il ricorso e
confermava l’avviso di accertamento emesso nei
confronti della società.
Su ricorso in appello proposto dalla società
importatrice, la Commissione tributaria regionale
della Liguria, con sentenza nr.139/4/10 depositata
in data 31/12/2010,confermava la sentenza di primo
grado. Avverso la sentenza della Commissione
Tributaria regionale della Liguria ha proposto
ricorso per cassazione Cad La Spezia srl in
liquidazione con quattro motivi ed ha resistito
l’Agenzia delle Dogane con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Commissione tributaria provinciale di La Spezia
La società ricorrente aveva presentato, in qualità
di spedizioniere presso la Dogana di La Spezia in
nome proprio e per conto della società importatrice
Duralamp spa, una dichiarazione per l’importazione
definitiva di merce di provenienza filippina
(lampadine a basso consumo energetico), nonché il
certificato di origine preferenziale FORM A
2
r
rilasciato
dal
competente ente di
stato filippino attestante l’origine della merce ed
il diritto al trattamento daziario beneficiato
previsto a favore dei paesi meno sviluppati ex
art.9 c.1 Reg. CE 2501/2001. Successivamente alla
ordine all’apertura di un’inchiesta relativa ad un
ragionevole dubbio sull’origine cinese di lampadine
oggetto di importazione da vari paesi tra cui le
Filippine, il Nucleo Regionale di Polizia
Tributaria della Toscana aveva avviato un’indagine
nel mese di marzo 2005 e redatto processo verbale
di constatazione dal quale risultava l’origine
cinese dei prodotti importati anziché filippina,
nonchè venivano avviate le procedure di emissione
di diversi avvisi di accertamento suppletivi e di
rettifica per la riscossione dei maggiori diritti
doganali dovuti a seguito della accertata falsità
dei certificati di origine FORM A. Successivamente,
in considerazione delle risultanze delle missioni
pubblicazione di un avviso agli importatori in
OLAF svoltesi in Malesia e nelle Filippine nel
quadro delle indagini sulle frodi all’importazione
di lampadine nell’Unione Europea effettuate
dall’OLAF
dal
al
15/1
definitivamente stabilito,
26/1/07,
veniva
per una serie di
operazioni di importazione, che i certificati di
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e
origine Form A erano
stati
rilasciati
dall’Autorità filippina sulla base di informazioni
scorrette e non veritiere. Nella successione di
eventi sopra delineata si innesta la vicenda in
esame e la notifica di avviso di rettifica
Direzione di La Spezia, con il quale era stato
ingiunto il pagamento della somma complessiva di E
3.775,02 per recupero a posteriori del dazio più
iva relativo ad un’operazione di importazione di
lampadine a basso consumo energetico con
dichiarazione di provenienza dalle Filippine,
effettuata nell’agosto 2004.
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente CAD LA
SPEZIA srl in liquidazione lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. art.201 comma 3 del
REG.CEE n.2913 del 12/10/1992 C.D.C. in relazione
all’art. 360 n.3 cpc in quanto la CTR ha ritenuto
legittima la responsabilità in solido della società
dell’accertamento, emesso dall’Agenzia delle Dogane
ricorrente per il pagamento dei diritti doganali
unitamente alla società importatrice DURALAMP.
Il motivo è infondato e deve essere respinto.
Occorre premettere che i CAD (Centri di Assistenza
Doganali) istituiti con DM Finanze n.549/1992, sono
società costituite tra spedizionieri doganali,
abilitate ad emettere dichiarazioni doganali, in
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u-\
rappresentanza sia
diretta
che
indiretta, previa l’acquisizione ed il controllo
formale
della
documentazione
fornita
dal
proprietario delle merci. Successivamente, in
attuazione della legge 213/2000, con decreto del
autorizzato rie e le modalità di esercizio delle
procedure semplificate di cui all’art. 76 del
Reg.to CEE nr. 2913/92, nonché il rilascio delle
medesime ai CAD.
Nel caso di specie, avendo il CAD La Spezia operato
in procedura domiciliata, ha agito in regime di
rappresentanza indiretta e deve essere considerato
dichiarante ai sensi dell’art. 76 sopra citato:
risponde quindi in solido con l’importatore di
tutte le obbligazioni tributarie che scaturiscono
dalle operazioni doganali.
La spendita da parte del CAD del proprio nome in
qualità di dichiarante ai sensi dell’art. 201 CDC
7/12/2000 sono state disciplinate le procedure
fa sì che la sua responsabilità sia perfettamente
solidale con quella del mandante (importatore
proprietario delle merci) e che tale responsabilità
possa, quindi, essere fatta valere, come nella
normale attività negoziale privatistica, nei
confronti di terzi, fra cui sono comprese,
ovviamente, le Pubbliche Amministrazioni.
5
r-
Infatti
l’art.
201
del
REG.CEE
n.2913
del
12/10/1992 stabilisce la solidarietà passiva dello
spedizioniere doganale o di chiunque presenti la
merce per conto di altri con il soggetto passivo
nell’ambito della rappresentanza indiretta,come
nella fattispecie in esame, diventando lui stesso
dichiarante e dunque responsabile solidale con il
rappresentato nell’obbligazione doganale.
Pertanto appare del tutto giustificato ritenere
nella fattispecie lo spedizioniere doganale
professionale responsabile in solido con il
debitore per il pagamento della pretesa erariale in
quanto “In tema di tributi doganali, lo
spedizioniere che abbia presentato merci in dogana
per conto terzi, ma in nome proprio, beneficiando
dell’ammissione alla procedura semplificata di cui
all’art. 12 della legge n. 374 del 1990, risponde,
dell’obbligazione tributaria, quando agisce
ai sensi dell’artt. 12 cit. e degli artt. 201 e 202
del Regolamento CEE n. 2913/92 (Codice doganale
comunitario), in via solidale con il soggetto per
conto del quale la merce medesima è stata
presentata in dogana, di tutti i dazi, le imposte e
gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in
relazione all’operazione commerciale, compresi gli
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Tt-
interessi
relativi,-
essendo
tale
figura di rappresentante indiretto, anche per la
sua preparazione professionale, in grado di
valutare la veridicità dei documenti trasmessigli,
e dunque -consapevole dell’irregolarità
Comunità (nella specie, dovuta a certificati
d’origine poi accertati come contraffatti).” (Sez.
5, Sentenza n. 9773 del 23/04/2010.)
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
12 comma 7 legge 212/2000 in relazione all’art. 360
n.3 cpc, in quanto non risulta rispettato il
termine di 60 giorni tra la notifica del processo
verbale e l’atto di accertamento.
Il motivo è infondato e deve essere respinto.
Infatti appare del tutto condivisibile l’asserita
inapplicabilità di tale termine al caso in esame da
parte della CTR, in quanto l’art. 12 legge 27
luglio 2000 nr. 212 esplicitamente si riferisce nel
primo comma alle ipotesi di accessi, ispezioni e
verifiche fiscali nei locali destinati
all’esercizio di attività commerciali, industriale
ed agricole e pertanto il comma 7, che prevede il
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dell’introduzione delle merci nel territorio della
termine di 60 giorni,
non può che essere
inteso nel senso che detto termine decorre dalla
data di rilascio di una copia del processo verbale
di chiusura delle operazioni di accesso, ispezione
o verifica di cui al comma 1 dell’art. 12 sopra
In
ogni
caso
è
necessario
precisare
che
l’inosservanza del termine fissato dall’art. 12,
comma 7, della legge n. 212 del 2002 non
costituisce violazione dello Statuto del
contribuente in materia doganale per i motivi già
indicati da questa Corte in Cass. Sez. 5, n. 13890
del 28/05/2008 secondo la quale: “In materia di
accertamento di tributi doganali, non costituisce
violazione dello Statuto dei diritti del
contribuente l’emissione dell’avviso di
accertamento suppletivo prima della scadenza del
termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12,
comma 7, della legge 27 luglio 2002, n. 212 per la
presentazione di osservazioni e richieste dopo il
rilascio del processo verbale di chiusura delle
operazioni da parte dell’organo impositore. Ed
infatti, da un lato la normativa sul riordino degli
istituti doganali di cui al d.lgs. 8 novembre 1990,
8
riportato (Cass 16354/2012).
n.
374
nell’ambito
prevede,
del
procedimento di revisione dell’accertamento, la
possibilità di procedere a verifiche fiscali
richiamando i poteri di accesso, ispezione e
verifica in tema di IVA (art. 52 del d.P.R. 26
l’Amministrazione si avvalga di tale strumento
istruttorio, può scattare a favore del contribuente
sottoposto a dette indagini il meccanismo delle
garanzie previste dalla citata norma. Dall’altro
lato, qualora (come nel caso di specie),
l’Amministrazione non si avvalga di tale mezzo
istruttorio, già il sistema doganale appresta una
serie di garanzie peculiari per il contribuente,
prevedendo la contestazione amministrativa, e la
compilazione di un apposito verbale per raccogliere
le osservazioni ed i motivi di reclamo del
contribuente ai fini dell’eventuale controversia
ottobre 1972, n. 633), per cui, qualora
doganale, quali la possibilità di presentare
osservazioni, di talché il sistema complessivo
previsto dal d.lgs. n. 374 del 1990 è pienamente
rispettoso dei criteri dettati dallo Statuto del
contribuente in virtù del principio di leale
collaborazione tra Amministrazione e
contribuente.”.
9
‘,-1
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
83 Regolamento CE 2454 del 2/7/1993 in relazione
formale attestazione delle autorità filippine di
annullamento dei certificati di origine della merce
e pertanto la validità accertativa dei certificati
Form A rimane impregiudicata sulla base del
disposto dell’art. 83 Reg. 2454/93.
Il motivo è infondato. Infatti il richiamato art.
83 trova applicazione nella fase di rilascio dei
certificati di origine Form A e non nella fase di
controllo a posteriori per cui spetta alle autorità
del paese d’esportazione adottare le misure
necessarie a verificare l’origine dei prodotti e le
dichiarazioni contenute nel certificato, tanto più
che l’autorità doganale, come dà atto la CTR, si è
all’art. 360 n.3 cpc, in quanto non esiste una
attenuta alla procedura prevista dall’art.94 Reg.Ce
2454 del 2/7/1993 chiedendo alla Dogana di Manila
di verificare l’autenticità dei certificati FORMA
ed attendendo quattro mesi dopo la seconda
richiesta rimasta senza esito, prima di provvedere
alla revoca del beneficio.
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vi-
Deve
infine
rigettato
essere
il
quarto motivo di ricorso relativo alla omessa
motivazione sui punti controversi e decisivi in
relazione all’art. 360 1 ° comma nr.5 cpc, in quanto
la CTR ha ignorato le ragioni ed i fatti lamentati
gli elementi di prova addotti dalla ricorrente non
potessero ritenersi idonei e decisivi ai fini
dell’applicabilità dell’esimente della buona fede
ex art. 220 comma 2 lett. b) Reg.CE 2913/1992.
In ordine alla violazione
e falsa applicazione
dell’art. 220 CDC occorre premettere che “in tema
di imposizione fiscale delle importazioni,
l’esenzione prevista dall’art. 220, secondo comma,
lett. b), del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto
Codice doganale comunitario), che preclude la
contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione
doganale in presenza di un errore dell’autorità
nel giudizio di appello e non ha spiegato perché
doganale e della buona fede dell’operatore, intende
tutelare il legittimo affidamento del debitore
circa la fondatezza degli elementi che intervengono
nella decisione di recuperare o meno i dazi. Per
essere applicata, essa richiede un compiuto esame
da parte del giudice sulla ricorrenza della buona
11
r-
fede che deve essere
dimostrata dal
soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione,
attraverso la prova della sussistenza cumulativa di
tutti i presupposti indicati dalla norma perchè
resti impedito il recupero daziario, ed in
competenti; b) un errore di natura tale da non
poter essere riconosciuto dal debitore in buona
fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed
in ogni caso determinato da un comportamento attivo
delle autorità medesime, non rientrandovi quello
indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore;
c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le
disposizioni previste per la sua dichiarazione in
dogana dalla normativa vigente. (Sez. 5, Sentenza n.
15297 del 10/06/2008). A tale proposito la sentenza
della CTR esattamente non ha ravvisato nella
fattispecie un errore commesso in via autonoma
dalle Autorità Doganali locali in quanto, nel caso
particolare: a) un errore imputabile alle autorità
in esame, l’errore è stato indotto dalle inesatte
indicazioni (scoperte in un momento successivo
all’assoggettamento daziario) fornite nei documenti
consegnati alle predette autorità, della cui
regolarità resta comunque responsabile
l’importatore che li ha prodotti, nel caso in cui
12
r
se
ne
accerti
mancata
la
corrispondenza al vero del contenuto.
Osserva altresì il collegio che, in tema di tributi
doganali, le Autorità doganali devono procedere
doganali, a meno che sussistano contemporaneamente
tutte le condizioni poste dall’art. 220, n. 2,
lett. b), del Regolamento CEE n. 2913/1992 del
Consiglio del 12 ottobre 1992, come sopra
richiamate; in particolare, detto errore non può
consistere nella mera ricezione di dichiarazioni
inesatte
dell’esportatore, dato che
l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne
la veridicità, ma richiede un comportamento attivo,
perché il legittimo affidamento del debitore è
protetto solo se le autorità competenti hanno
determinato i presupposti su cui si basa la sua
fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a
alla contabilizzazione a posteriori dei dazi
sopportare le conseguenze pregiudizievoli di
comportamenti scorretti dei fornitori degli
importatori (Cass. 2012/4022). Inoltre l’esenzione
prevista dall’art. 220, secondo comma, lett. b),
del Codice doganale comunitario, che preclude la
contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione
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r-
di — un— errore
doganale in presenza
dell’autorità
dell’operatore,
doganale
e
presuppone
della
la
buona
genuinità
fede
del
certificato di origine, cioè la sua regolarità
formale e sostanziale.
Di conseguenza spetta
dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che
importa e, in ogni caso, il suo stato soggettivo di
buona fede, mediante la prova della sussistenza
cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla
citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe
esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle
irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti
inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza
necessità di alcun procedimento intermedio che
convalidi la non autenticità, provvedendo gli
stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire
tramite le disposte commissioni di inchiesta le
all’importatore che intende usufruire
conclusioni cui debbono attenersi le Autorità
nazionali (Cass. 2009/13680).
Per quanto sopra il ricorso proposto è infondato e
deve essere respinto con condanna alle spese della
società ricorrente.
P.Q.M.
14
,2rk
ENTE D& RTT1ONE
Rigetta– il —-ricorso
proposto
e
condanna Cad La Spezia srl al pagamento delle spese
di giudizio che si liquidano in C 2.000,00 oltre
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della
V sezione civile il 25/3/2013
Il consigliere estensore