Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13304 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 17/06/2011), n.13304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.S.;

– intimato –

sul ricorso 34912-2006 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA CORSO TRIESTE 95

presso lo studio dell’avvocato CIMMINO ANDREA, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incid. –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 92/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 18/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il resistente l’Avvocato CIMMINO ANDREA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso incidentale, il rigetto del principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito di una verifica effettuata il 27.4.99 nei confronti del sig. G.S., titolare di un’impresa di riparazioni di autoveicoli, l’Amministrazione finanziaria procedeva ad un accertamento induttivo sul fatturato e sul reddito del contribuente per l’anno di imposta 1997, secondo la metodologia (c.d.

extracontabile) prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, n. 3), e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d),;

all’esito, emetteva un avviso di accertamento per maggior imposta IVA (prot. n 22356), un avviso di accertamento per maggior imposta IRPEF (prot. n 22358), un avviso di accertamento per maggior imposta sul patrimonio di impresa (prot. n 22359) e un atto di contestazione e irrogazione di sanzioni per la violazione degli obblighi dichiarativi previsti dalla normativa IVA (prot. n 22357).

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, adita dal contribuente, annullava tutti i suddetti atti, ritenendo insussistenti le condizioni per ricorrere al metodo di accertamento applicato dall’Amministrazione, in considerazione della scarsa rilevanza delle irregolarità riscontrate nella contabilità del contribuente (irregolarità di due fatture nell’ambito delle numerosissime che facevano parte della contabilità).

La Commissione Tributaria Regionale di Milano, adita con l’appello dell’Ufficio, affermava che le condizioni per ricorrere al metodo induttivo di accertamento applicato dall’Amministrazione dovevano ritenersi nella specie sussistenti, ma che, in concreto, gli accertamenti presuntivi operati dall’ufficio risultavano insufficientemente dimostrati; pertanto accoglieva S’appello dell’Amministrazione soltanto con riferimento all’imposta sul patrimonio d’impresa, all’IVA – limitatamente all’omessa fatturazione del canone di locazione dell’immobile aziendale – e alla sanzione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale sulla scorta di due motivi, di seguito riassunti.

Col primo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55.

Motivazione omessa o insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia.” – la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato l’accertamento di ricavi da lavoro diretto del titolare dell’impresa, ritenendo non sorretta da adeguato supporto probatorio la presunzione, posta dall’Ufficio a base di tale accertamento, che il G., nella propria officina, lavorasse come meccanico per un tempo pari al 70% delle ore lavorative dei suoi dipendenti. Al riguardo la ricorrente afferma che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe considerato che, essendosi proceduto ad accertamento induttivo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 55, comma 2, n. 3), e D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d), (ritenuto legittimo dalla stessa sentenza impugnata), l’Ufficio nel determinare i ricavi/corrispettivi non doveva procedere con presunzioni gravi precisi e concordanti, bensì presunzioni di tipo induttivo, assai meno rigorose. Svolta tale premessa, la ricorrente rileva che il fatto incerto che G., nella propria officina, lavorasse come meccanico per un tempo pari al 70% delle ore lavorative dei suoi dipendenti doveva ritenersi presuntivamente provato in considerazione delle seguenti risultanze emergenti dagli atti di causa:

– la natura artigianale dell’impresa;

– il modesto numero di dipendenti (due);

– il modesto giro di affari (intorno a L. mezzo miliardo);

– l’ausilio che l’imprenditore riceveva dalla moglie;

– la palese antieconomicità di una situazione in cui il G. si astenesse dal lavoro in officina;

– la esiguità del margine costi/ricavi esposto dal contribuente, a confronto con i dati notori sui margini di guadagno delle autofficine.

Col secondo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52 e segg..

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dei principi generali in materia di giudizio tributario. Motivazione omessa o insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia.” – la ricorrente censura la sentenza impugnata perchè, pur avendo affermato la legittimità della metodologia di accertamento applicata dall’Ufficio, ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento IRPEF nella sua totalità; in tal modo annullando non solo la ripresa a tassazione dei ricavi ascritti alla presunzione di lavoro diretto del titolare (oggetto della statuizione censurata col primo mezzo di ricorso) ma anche tutte le altre riprese a tassazione contemplate nell’impugnato avviso di accertamento, senza tuttavia in alcun modo pronunziarsi sulle stesse.

Il sig. G. si è costituito con controricorso, resistendo al ricorso dell’Agenzia e proponendo a propria volta ricorso incidentale affidato ai tre motivi di seguito riassunti.

Col primo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e dell’at. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Carenza di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).” – il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per aver affermato l’irrilevanza della responsabilità del professionista – autore della mancata registrazione di due fatture – ai fini del giudizio sulla legittimità della sanzione irrogate dall’Amministrazione al contribuente; e per non aver spiegato le ragioni del rigetto, sul punto, del gravame del contribuente.

Col secondo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 461 del 1992, art. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3). Carenza assoluta di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).” – il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per avere, senza motivazione e in violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, ritenuto conglobato nel valore dei cespiti D.L. n. 394 del 1992, ex art. 1 convertito in L. n. 461 del 1992, anche il valore delle spese incrementative capitalizzate, pur non avendo l’Ufficio fornito la prova contraria all’assunto del contribuente che si trattasse di spese di manutenzione, come tali escluse dal computo del valore patrimoniale netto.

Col terzo motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39 e 18 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 53 e 55 (art. 360 c.p.c., n. 3). Carenza assoluta di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).”.

Il ricorrente incidentale si duole della statuizione della sentenza impugnata che, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto legittimo l’accertamento operato dall’Ufficio secondo la metodologia (c.d. extracontabile) prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, n. 3), e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d); il motivo si articola in tre distinte censure, di seguito elencate:

1) Con la prima censura il ricorrente incidentale denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 per essere stato ritenuto legittimo l’accertamento induttivo nonostante che – una volta escluso dall’imponibile il maggior ricavo che, secondo l’Ufficio, sarebbe derivato dalla (indimostrata) attività personale di meccanico del G. – la differenza tra imponibile accertato e imponibile dichiarato risultasse inferiore ad un quarto del dichiarato.

2) Con la seconda censura il ricorrente incidentale denuncia il vizio di omessa motivazione della statuizione con cui la Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione del primo giudice secondo cui le irregolarità contabili riscontrate dagli accertatori (la sostituzione di due fatture regolari della Citroen con due fatture dello studio del professionista che curava la contabilità del contribuente) non erano di gravità tale da giustificare l’adozione del metodo di accertamento adottato dall’Ufficio.

3) Con la terza censura il ricorrente incidentale denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 18 per esser stato ritenuto legittimo l’accertamento induttivo extracontabile nonostante che il contribuente fosse esonerato dalla tenuta delle scritture contabili perchè, al momento dell’accertamento, i suoi ricavi non raggiungevano la soglia quantitativa prevista da tale disposizione;

soglia che, secondo il contro ricorrente, nel caso di specie andava identificata in L. un miliardo, poichè il G. esercitava contemporaneamente attività di prestazione di servizi ed altre attività (compravendita di ricambistica e lubrificanti) e, sempre per il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 18, comma 1, in caso di contemporaneo esercizio di prestazione di servizi e di altre attività, queste ultime, in mancanza di diverse risultanze, dovevano presumersi prevalenti.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 15.3.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente devono riunirsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate (RG 30802/2006) e il ricorso incidentale del sig. G. (RG 34912/2006).

Ancora in via preliminare è necessario rilevare l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale.

Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile per difetto di autosufficienza.

L’Agenzia denuncia infatti la violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la sentenza impugnata – pur avendo affermato la legittimità della metodologia di accertamento applicata dall’Amministrazione – ha annullato interamente l’avviso di accertamento dei redditi del contribuente per il 1997, così omettendo di pronunciarsi su quella parte del thema decidendum costituito dalla ripresa a tassazione di redditi accertati dall’Ufficio come derivanti da causali diverse da quella rappresentata dal lavoro diretto del titolare (l’unica su cui la Commissione Tributaria Regionale si è pronunciata, giudicandone non provata la sussistenza). In particolare, la ricorrente censura l’omessa pronuncia della Commissione Tributaria Regionale sulle riprese a tassazione, contemplate nell’avviso di accertamento annullato, per le seguenti poste e causali, mai contestate, secondo la difesa erariale, dal contribuente:

L. 10.600.000 per ulteriori elementi positivi di reddito non dichiarati;

L. 5.556.000 per minori consumi accertati rispetto a quelli dichiarati;

L. 11.886 per minor costo del lavoro rispetto a quello dichiarato;

L. 8.223 per minor ammortamento spettante;

L. 5.527.000 per costi non di competenza o non documentati.

Il motivo difetta di autosufficienza perchè nel ricorso per cassazione non si da alcun conto del contenuto dell’atto di appello (la difesa erariale menziona tale atto solo a pag. 3, penultimo rigo, del proprio ricorso, con l’espressione: “appellava l’Ufficio”) e tanto meno se ne trascrivono le parti con le quali in tale atto sarebbero state proposte alla Commissione Tributaria Regionale le questioni in relazione alle quali si lamenta l’omissione di pronuncia. Inoltre nel ricorso per cassazione non risulta nemmeno adeguatamente illustrato il contenuto argomentativo della sentenza di primo grado, di cui la ricorrente si limita a riferire: “la C.T.P. di Milano, ritenendo non sussistere le condizioni per procedere ad accertamento induttivo, annullava le rettifiche” (pag. 3, quartultimo rigo, del ricorso), cosicchè, in definitiva, la Corte di cassazione non è messa in grado di apprezzare quale sia stato l’effettivo oggetto dell’appellatum, e, quindi, di verificare la sussistenza della lamentata omissione di pronuncia, da parte della Commissione Tributaria Regionale, su una parte del devolutum. Da ciò, l’inammissibilità del motivo (cfr. Cass, 26234/2005: “il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte. Solo nel caso della deduzione del vizio per omessa pronuncia su una o più domande avanzate in primo grado è, invece, necessario, alfine dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello:’; conformi le sentenze 6361/2007, 21226/2010).

Il primo motivo di ricorso incidentale è pur esso inammissibile per difetto di specificità e riferibilità alla sentenza impugnata.

Dalla relativa esposizione, infatti, si intende soltanto che il contribuente è stato attinto da un provvedimento che gli irrogava una sanzione e che, ad avviso della difesa del ricorrente, il fatto sanzionato sarebbe da ascrivere a responsabilità del professionista e non del contribuente stesso; il quale ultimo, conseguentemente, non potrebbe essere punito per tale fatto, alla luce dei principi fissati dalla L. n. 689 del 1981, art. 3. Nel ricorso però non si specifica quale sia la condotta per la quale è stata irrogata una sanzione al contribuente, quali siano le norme in base alle quali la sanzione è stata irrogata, quale sanzione sia stata irrogata, per quali ragioni il provvedimento sanzionatorio sia stato impugnato dal ricorrente, come tale impugnazione sia stata decisa in primo grado, sotto quali profili sia stata appellata la decisione di primo grado.

In proposito va evidenziato che dalla lettura del dispositivo della sentenza impugnata si rileva che la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio “con riferimento a ….la sanzione per omessa denuncia D.P.R. n. 633, art. 5, comma 6 ” e la motivazione di tale decisione risulta espressa in motivazione nei seguenti termini (righi 9-15 dell’ultima pagina): “il fatto che i libri fossero tenuti presso altro professionista non viene smentito dal contribuente, pur attribuendone l’omessa denuncia all’opera professionale di tale soggetto. Si ritiene quindi di dover confermare la sanzione per tale omissione in capo al contribuente, essendo ininfluenti in questa sede le motivazioni di responsabilità professionale addotte dal contribuente medesimo”. Nel ricorso per cassazione, d’altra parte, la difesa del G. fa riferimento (penultimo e ultimo rigo di pag. 12 e primo e secondo rigo di pag.

13) alla sostituzione di fatture emesse dalla ditta G. con “altrettante fatture emesse dalla Leader Elaborazione Amministrativa dati di rag. M.C., professionista incaricata di tenere la contabilità della contribuente”.

Dal confronto tra il testo della sentenza impugnata e il testo del ricorso per cassazione si rileva dunque che la sentenza ha confermato una sanzione irrogata per omessa denuncia del luogo dove erano tenuti i libri dell’impresa, peraltro con un richiamo normativo errato (il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5 non ha sei commi), presumibilmente da intendersi riferito al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 6, (che sanziona, tra l’altro, la mancata indicazione dei luoghi in cui sono conservati libri, registri, scritture e documenti nelle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35); il ricorso per cassazione, per contro, fa riferimento ad una sostituzione di fatture. Da ciò l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, risultando lo stesso redatto in termini tali da non mettere la Corte di cassazione in condizione di verificare la pertinenza della censura rispetto al decisum (vedi Cass. 3612/2004 “La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4″: conformi, tra le varie, le sentenze nn. 7046/2001 e 17125/20074).

Esauriti i rilievi preliminari di inammissibilità, si deve rilevare che la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la metodologia di accertamento applicata dall’Ufficio (censurata dal contribuente col terzo motivo del ricorso incidentale) precede logicamente le statuizioni della stessa sentenza aventi ad oggetto i diversi concreti esiti dell’accertamento effettuato dall’Amministrazione, relativi alla ripresa a tassazione IRPEF di redditi non dichiarati, alla ripresa a tassazione IVA di ricavi non fatturati e alla ripresa a tassazione con imposta patrimoniale del valore delle spese incrementative capitalizzate (sull’applicazione della metodologia di accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 all’accertamento tributario in materia di imposta sul patrimonio d’impresa di cui al decreto L. n. 394 del 1992, convertito in L. n. 461 del 1992, vedi Cass. 18641/2008: “In tema di imposta sul patrimonio netto delle imprese – istituita con il D.L. 30 settembre 1992, n. 394, convertito in L. 26 novembre 1992, n. 461 – l’Ufficio ha il potere di procedere alla rettifica della relativa dichiarazione anche con accertamento induttivo, stante l’applicabilità alla specie, per il rinvio operato dall’art. 3 del citato D.L., delle disposizioni previste per le imposte sui redditi e dunque anche del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 nè assumendo portata derogatoria o limitativa di tale dettalo normativo il D.M. 7 gennaio 1993, al quale il D.L. n. 394 citato, art. 3, comma 7 demanda solo la determinazione delle “modalità di attuazione delle disposizioni di cui al decreto stesso”, trattandosi di mero provvedimento amministrativo che disciplina il procedimento di liquidazione e accertamento dell’imposta ed al quale è estraneo il potere di prevedere o delimitare le fattispecie impositive.”).

E’ pertanto opportuno esaminare preliminarmente il terzo motivo del ricorso incidentale del contribuente, con cui si censura appunto la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimo il metodo di accertamento applicato dall’Ufficio negli avvisi di cui si controverte.

Il motivo si articola in tre distinte censure, concernenti, come sopra illustrato, la prima, la violazione della disposizione, contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, che limita la possibilità di ricorrere all’accertamento induttivo al caso in cui il reddito accertabile si discosti per almeno un quarto da quello dichiarato; la seconda, l’omessa motivazione sulla sussistenza, nella specie, delle gravi, numerose e ripetute irregolarità delle scritture contabili previsti dalla legge quale presupposto per il ricorso al metodo induttivo di accertamento fiscale applicato dall’Ufficio;

la terza, la violazione della disciplina fissata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 18 sull’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Il motivo è fondato in relazione alla seconda delle tre censure in cui si articola, con conseguente assorbimento delle altre due (prima e terza).

L’Amministrazione finanziaria ha infatti proceduto alla rettifica delle dichiarazioni dei redditi e delle dichiarazioni IVA presentate dal contribuente per l’anno di imposta 1997 applicando il metodo induttivo previsto, con disposizioni dal tenore letterale quasi identico, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), per l’accertamento dei redditi d’impresa e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, n. 3), per l’accertamento dell’imponibile IVA; tali disposizioni consentono di condurre l’accertamento (c.d.

induttivo extracontabile) senza riferimento alla contabilità del contribuente, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio, quando la contabilità del contribuente sia resa inattendibile da gravi, numerose e ripetute omissioni e false o inesatte indicazioni o irregolarità formali. Il contribuente ha contestato la ricorrenza dei presupposti di legge per l’accertamento induttivo extracontabile, negando che la sua contabilità presentasse omissioni e false o inesatte indicazioni o irregolarità formali così gravi, numerose e ripetute da risultare inattendibile e la sua prospettazione è stata accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale. La Commissione Tributaria Regionale, riformando la sentenza di primo grado, ha invece affermato che nella specie sussisterebbero i presupposti di legge per l’accertamento induttivo extracontabile, ma tale affermazione è totalmente priva di motivazione. Il tema della sussistenza di irregolarità nella contabilità del contribuente così gravi, numerose e ripetute da rendere la stessa inattendibile risulta infatti affrontato dalla Commissione Tributaria Regionale con la seguente affermazione: “La Commissione….per quanto attiene la tenuta della contabilità ordinaria conferma la legittimità dell’Ufficio a procedere ad accertamento induttivo” (pag. 4, righi 4 e 5). E’ pertanto del tutto evidente la totale omissione di motivazione sul punto decisivo della controversia concernete la sussistenza dei presupposti di fatto per il legittimo ricorso alla metodo di accertamento extracontabile D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 3, comma 2, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, n. 3). Vedi, sulla portata della motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per accertamento extracontabile, Cass. 16724/2005.

“Ai fini della legittimità del ricorso all’accertamento induttivo in materia di IVA, alla luce del disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2, n. 3, in presenza di violazioni (riguardanti, nella specie, la mancata conservazione delle bolle di accompagnamento, la mancanza di pagine nel registro degli inventori e la omessa redazione dell’inventario delle rimanenze) plurime e ripetute (in quanto riferite a più annualità), che sembrino, pertanto, “ictu oculi” compromettere una trasparente ricostruzione dell’attività commerciale svolta dal contribuente, il giudice del merito è tenuto a spiegare perchè la contabilità possa essere considerata, comunque, attendibile, e perchè, quindi, le violazioni non siano da considerarsi gravi. Il parametro della “gravità”, in tali casi, può infatti essere ricavato soltanto in negativo, nel senso che, normalmente, violazioni numerose e ripetute rendono di per sè inattendibili le scritture contabili, a meno che non si tratti di violazioni di scarso rilievo, configurandosi, quindi la “non gravità” come eccezione, che come tale va dimostrata dal contribuente e deve essere oggetto di motivazione specifica da parte del giudice di merito. “Nella specie la sentenza impugnata non solo ha omesso qualunque valutazione in termini di gravità, numerosità e ripetitività delle irregolarità contabili ascritte al contribuente ma non ha nemmeno indicato quali fossero tali irregolarità, lasciando quindi palesemente priva di motivazione la statuizione di legittimità del ricorso alla metodologia induttiva extracontabile da parte dell’Ufficio e completamente inesplicate le ragioni di dissenso rispetto alla statuizione del giudice di primo grado (vedi Cass. 14038/1999: “Posto che sussiste il vizio di motivazione di una pronuncia allorchè essa riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice del merito alla formazione del proprio convincimento, e, quindi, alla statuizione di diniego o attribuzione di un bene della vita, è sicuramente ravvisabile siffatto vizio – con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – nella pronuncia del giudice di appello nella quale non si rinvengano le ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice.”).

La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento del terzo motivo di ricorso incideniale e la causa va rinviata alla Commissione Tributaria Regionale, che dovrà esaminare se nella specie sussistano o meno i presupposti fissati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3, comma 2, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2, n. 3), per il legittimo ricorso al metodo di accertamento extracontabile e – solo in caso di positiva conclusione di tale esame – dovrà procedere alla conseguente verifica della fondatezza degli esiti a cui V accertamento extracontabile è approdato in relazione alle diverse pretese di ripresa fiscale avanzate dall’Ufficio con riferimento all’IRPEF, all’IVA e all’imposta sul patrimonio di impresa.

Restano assorbiti il primo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale. Spese al merito.

PQM

LA CORTE riuniti i ricorsi principale (RG 30802/2006) e incidentale (RG 34912/2006), dichiara inammissibili il secondo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale.

Accoglie il terzo motivo di ricorso incidentale, con riferimento alla seconda censura ivi contemplata (assorbite la prima e la terza), e cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale di Milano in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Dichiara assorbiti il primo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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