Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13298 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 17/06/2011), n.13298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18284/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

EDILFIN SRL in liquidazione in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo

studio dell’avvocato MANCA BITTI DANIELE, rappresentato e difeso

dall’avvocato LAI Giuseppe, giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

R.P., R.L., RU.PA., R.

G., RU.GI., R.F. o M.,

elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA DELL’OROLOGIO 7 int. 4,

presso lo studio dell’avvocato MARCONE NICOLA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LEDDA STEFANO, giusta delega a

margine ;

– resistenti con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 27/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 22/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIDA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della s.r.l. Edilfin (che resiste con controricorso), nonchè di R.G., L., Gi., Pa., P. e M. (quest’ultimo in proprio e n.q. di erede del coniuge P. M., gli altri quali eredi della propria madre, tutti depositanti atto di costituzione) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Sargegna – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento col quale l’Ufficio del registro di Cagliari aveva elevato il valore finale di un immobile venduto dai coniugi R. – P. alla Italfin – riformava le sentenze di primo grado (che avevano rigettato i ricorsi dei venditori e dell’acquirente) rilevando che l’onere della prova circa la pretesa avanzata con l’avviso opposto, gravante sull’Ufficio, non era stato assolto, posto che detta pretesa risultava fondata solo sulla stima UTE, dalla quale però non emergevano elementi ulteriori rispetto a quelli riportati nell’avviso, e, in particolare, che in esso si affermava che la stima era stata effettuata con metodo sintetico comparativo sulla base dei valori medi di mercato in comune commercio per immobili similari e tenendo conto di precedenti trasferimenti immobiliari in analoghe condizioni non anteriori al triennio, senza però chiarire i criteri di valutazione utilizzati nè le modalità di calcolo seguite per la determinazione dei valori nonchè senza indicare e documentare, neppure nella fase contenziosa, gli estremi dei precedenti trasferimenti usati come elementi di raffronto.

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2, 19 e 36, nonchè dei principi generali in tema di contenzioso tributario, oltre che vizi di motivazione, la ricorrente sostiene che i giudici d’appello avrebbero confuso il problema della valutazione della prova con quello dell’onere della prova a carico delle parti ed avrebbero trasformato in un mancanza di prova della pretesa impositiva l’asserita inidoneità della perizia UTE a dimostrare la correttezza della stima eseguita. La ricorrente afferma altresì che i giudici d’appello si sarebbero limitati ad esaminare i soli vizi di legittimità dell’atto impositivo, asseritamente privo di motivazione adeguata, astenendosi dall’esaminare il merito dei rapporto. La ricorrente afferma infine che l’Ufficio non era venuto meno all’onere probatorio che gravava su di lui in quanto aveva fondato l’accertamento sulla stima del proprio ufficio tecnico e che se, valutando la prova offerta, i giudici d’appello non l’avevano ritenuta sufficiente, non potevano limitarsi ad annullare l’atto, ma dovevano accertare nel merito il valore dell’immobile da porre a base della pretesa tributaria.

La censura è infondata.

Giova innanzitutto evidenziare che, dopo aver affrontato, superandolo, il problema della legittimità degli avvisi opposti in relazione alla relativa motivazione, i giudici d’appello nella sentenza impugnata sono passati all’esame del merito ed in proposito hanno affermato che l’onere della prova della fondatezza della pretesa avanzata gravava sull’Ufficio e che tale onere non era stato assolto.

In proposito, occorre evidenziare: che l’onere della prova della fondatezza della maggiore pretesa tributaria avanzata grava effettivamente sull’amministrazione richiedente; che la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale e prodotta dall’amministrazione finanziaria, costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di altro pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto, con la conseguenza che essa può soltanto costituire una fonte di convincimento del giudice (v. Cass. n. 8890 del 2007), il quale è tenuto a verificare se la stima sia o meno idonea a superare le contestazioni dell’interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi, esplicitando le ragioni del proprio convincimento (v.

tra le altre Cass. n. 17702 del 2009); che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (v. tra numerosissime altre Cass. n. 16499 del 2009). Tanto premesso, occorre rilevare che i giudici d’appello, esaminata la documentazione offerta dall’Ufficio (sostanzialmente la stima dell’UTE, riportata nell’avviso opposto), hanno ritenuto che essa non fosse idonea a fornire la prova della fondatezza della pretesa avanzata con gli avvisi opposti perchè non erano stati chiariti i criteri di valutazione utilizzati nè le modalità di calcolo seguite per la determinazione dei valori e non risultavano indicati e documentati, neppure nella fase contenziosa, gli estremi dei precedenti trasferimenti usati come elementi di raffronto, il che significa affermare che l’ufficio non aveva adempiuto al proprio onere probatorio.

Tale giudizio dei giudici di merito è sindacabile in questa sede solo per vizio di motivazione, il quale nella specie risulta solo indicato nell’epigrafe del motivo ma non concretamente articolato con specifico riguardo al giudizio di inadeguatezza della documentazione prodotta dall’ufficio a provare la fondatezza della pretesa avanzata.

E’ infine da evidenziare che i giudici d’appello hanno ritenuto che non era stata fornita la prova della pretesa avanzata, senza però precisare che tale prova poteva ritenersi almeno parzialmente fornita nè tantomeno che la conseguente infondatezza della pretesa poteva ritenersi solo parziale. D’altro canto, le motivazioni addotte per sostenere l’inidoneità della prova offerta (mancato chiarimento dei criteri di valutazione utilizzati e delle modalità di calcolo eseguite nonchè mancata indicazione e documentazione degli estremi dei precedenti trasferimenti usati come elementi di raffronto) non lasciano spazio per ritenere una sia pur parziale valutazione positiva della prova offerta, con la conseguenza che non sussistono i presupposti per una valutazione sostitutiva eventualmente riduttiva della pretesa avanzata.

Col secondo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 e D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31, nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, oltre che vizio di motivazione, la ricorrente rileva che i giudici d’appello avevano sostenuto il mancato deposito degli atti di trasferimento utilizzati come raffronto, senza considerare che tali atti non potevano essere significativi, a causa della diffusa abitudine di dichiarare un valore inferiore a quello di effettiva cessione. La ricorrente inoltre sostiene che i giudici d’appello avrebbero ignorato l’incongruità degli elementi forniti dai contribuenti nonchè i numerosi elementi addotti invece dall’Ufficio e dai suoi organi tecnici a giustificazione del proprio operato, e non avrebbero considerato che l’immobile, per le sue caratteristiche strutturali, le previsioni del P.R.G. e dell’atto di vendita, doveva ritenersi adibito non solo a deposito ma anche ad uso commerciale e che, all’atto della cessione, il suddetto immobile doveva ritenersi in buono stato di manutenzione e conservazione.

Le censure esposte sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Circa la asserita diffusa abitudine di dichiarare nell’atto un valore inferiore a quello di Affettiva cessione (comportante la non significatività degli atti relativi ai precedenti trasferimenti usati come raffronto e giustificante la mancata produzione dei medesimi), è sufficiente evidenziare che dalla sentenza impugnata emerge che nell’avviso di rettifica si afferma che la stima è stata effettuata col “metodo sintetico comparativo sulla base dei valori medi di mercato vigenti per immobili similari e tenendo conto di precedenti trasferimenti immobiliari in analoghe condizioni anteriori di non oltre un triennio” e che se gli atti relativi a tali precedenti trasferimenti non erano significativi, l’ufficio avrebbe dovuto spiegare come e sulla base di quali elementi era stata operata la stima comparativa, eventualmente producendo la documentazione relativa a tali diversi elementi ritenuti “significativi” ai fini del raffronto asseritamente operato.

Circa il mancato rilievo attribuito alle asserite incoerenze negli argomenti addotti a propria difesa dai contribuenti, è sufficiente evidenziare che l’eventuale inconsistenza ovvero incoerenza delle argomentazioni difensive dei contribuenti è irrilevante, posto che grava sull’Ufficio l’onere di provare la fondatezza della pretesa avanzata (non sui contribuenti l’onere di provare la non debenza di quanto richiesto) e che occorre valutare la compiutezza e coerenza delle argomentazioni difensive dei contribuenti solo se dedotte in prova contraria, ossia al fine di vincere una eventuale prova diretta fornita dalla parte sulla quale incombe il relativo onere.

Infine, circa la asserita mancata considerazione dei “numerosi elementi” addotti dall’Ufficio e dai suoi organi tecnici a giustificazione del proprio operato, nonchè del fatto che l’immobile all’atto della cessione doveva ritenersi in buono stato di manutenzione e conservazione ed adibito anche ad uso commerciale, oltre che a deposito, è sufficiente osservare che le censure risultano generiche e prive di autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il contenuto di eventuali documenti dai quali in ipotesi emergano le circostanze asseritamente non valutate dai giudici d’appello.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Alla luce dello sviluppo processuale della vicenda si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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