Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13297 del 28/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 28/06/2016, (ud. 15/02/2016, dep. 28/06/2016), n.13297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9685/2009 proposto da:

ISI MOBILI SRL IN FALLIMENTO, in persona del Curatore fallimentare

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE PARSOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

D’AYALA VALVA, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/2008 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 25/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 18 del 25 febbraio 2008, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio riformava parzialmente la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente ISI MOBILI s.r.l., in fallimento, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate di Tivoli aveva provveduto a rettificare la dichiarazione dei redditi presentata ai fini lrpeg, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2003 per maggiori redditi emersi da una verifica fiscale compiuta dalla G.d.F. di Tivoli, compendiati in un processo verbale di constatazione notificato alla parte in data 13 dicembre 2004.

Riteneva il giudice di appello:

a) che la prossimità della data fissata per la vendita all’incanto dell’unico bene acquisito al fallimento della società e l’incertezza sui tempi di ripartizione dell’attivo giustificasse la notifica dell’avviso di accertamento senza il rispetto del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7;

b) che la società contribuente non aveva vinto la presunzione dei maggiori ricavi emersi dalle scritture extracontabili rinvenute in sede di verifica fiscale;

c) che laddove l’Ufficio fosse incorso nell’errore di computare tra i ricavi anche l’Iva, avrebbe dovuto procedere a scorporarla rideterminando le imposte effettivamente dovute, così come avrebbe dovuto procedere all’abbattimento percentuale dei maggiori costi presumibili, correlati ai maggiori ricavi presunti;

d) che, infine, andava applicato il cumulo giuridico pluriennale in relazione alle sanzioni applicate.

2. Avverso detta sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di 15 motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un primo motivo, dedotto nel primo paragrafo dell’esposizione “in diritto” del ricorso, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c. (parte 1, pag. 42-

54).

Sostiene che il giudice di merito aveva pronunciato una sentenza il cui contenuto aveva mutuato integralmente da altre tre sentenze emesse lo stesso giorno dal medesimo Collegio giudicante con riferimento ad altri avvisi di accertamento, relativi a diverse annualità di imposte, impugnati da essa ricorrente, senza alcun adattamento al diverso caso concreto sottoposto al giudizio della predetta CTR, come doveva desumersi dal fatto che, diversamente che negli altri tre giudizi, aveva eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento perchè emesso dall’Agenzia fiscale a seguito di accertamento d’ufficio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41, disposto sull’erroneo presupposto che la società aveva omesso la presentazione della dichiarazione Modello Unico 2004, per l’anno di imposta 2003, ai fini IRPEG ed IRAP, mentre invece era ancora pendente il termine di 90 giorni di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2.

Il motivo è inammissibile ed infondato.

E’ inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto la ricorrente non ha trascritto il contenuto delle altre sentenze cui ha fatto riferimento, così impedendo a questa Corte di effettuare il necessario vaglio di fondatezza della censura. Invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a pone il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015).

E’ inammissibile anche per difetto di interesse della ricorrente a sollevare la questione, posto che all’epoca del giudizio i termini per presentare la dichiarazione (D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 7), anche integrativa (art. 2, comma 8 bis, D.P.R. citato) –

quest’ultima da presentarsi prima della notifica dell’avviso di accertamento (cfr. Cass. n. 5398 del 2012) – erano abbondantemente decorsi e la contribuente non ha neanche dedotto – e tanto meno provato – di aver provveduto all’incombente.

Il motivo è pure infondato in quanto nella specie non è ravvisabile l’ipotesi, pure prospettata nel motivo in esame, di sentenza stesa su modulo predisposto in maniera identica per tutti i giudizi promossi avverso gli avvisi di accertamento relativi alle diverse annualità oggetto di verifica, senza alcun adattamento al caso concreto, posto che i motivi di appello erano sostanzialmente identici e identicamente sono stati decisi. Significativa, in tal senso, è la richiesta avanzata al giudice di appello dalla stessa ricorrente, oltre che dall’Amministrazione finanziaria, (v. pag. 46 del ricorso), di procedere alla riunione dei ricorsi.

A diversa conclusione non può prevenirsi, ad avviso di questa Corte, valorizzando la circostanza che nel giudizio di merito la ricorrente aveva sollevato l’eccezione, che il giudice aveva pretermesso, di illegittimità dell’accertamento perchè compiuto d’ufficio dall’Agenzia delle entrate, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41, sull’erroneo presupposto dell’omessa presentazione della dichiarazione Modello Unico 2004, per l’anno di imposta 2003, essendo all’epoca ancora pendente il termine per presentarla, D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2.

Invero, il silenzio serbato dalla CTR su tale eccezione deve essere interpretato come implicito suo rigetto, stante l’incompatibilità logica con la ritenuta legittimità dell’accertamento, che il giudice di merito ha confermato seppur parzialmente. Peraltro la ricorrente era anche priva di interesse a sollevare la questione, posto che all’epoca del giudizio i termini per presentare la dichiarazione (D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 7), anche integrativa (art. 2, comma 8 bis, D.P.R. citato) – quest’ultima anche prima della notifica dell’avviso di accertamento (cfr. Cass. n. 5398 del 2012) –

erano abbondantemente decorsi e la contribuente non ha neanche dedotto – e tanto meno provato – di aver provveduto all’incombente.

2. Con il primo e secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro intrinseca connessione, la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, anche in combinato disposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 42, per avere la CTR ritenuto valido l’avviso d’accertamento ancorchè notificato prima dello scadere del termine di sessanta giorni previsto dallo Statuto del contribuente, senza che nel medesimo atto fossero esplicitati i motivi dell’urgenza e nonostante l’insussistenza di questi. La ricorrente sostiene, con riferimento al primo motivo, che la mancata specificazione, nel corpo dell’atto impositivo, dei motivi dell’urgenza, comporta la nullità di tale atto e, con riferimento al secondo motivo, che quelle addotte dall’Ufficio nelle controdeduzioni depositate in primo grado – con riferimento alla necessità, a fronte dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della società, di emettere immediatamente l’atto impositivo per procurarsi il titolo necessario per partecipare alla liquidazione dell’attivo fallimentare, costituito dal ricavato dalla vendita, già fissata, dell’unico cespite immobiliare acquisito alla massa fallimentare – non integrano un caso di particolare urgenza.

2.1 I motivi sono entrambi infondati (parte 3 pag. 54-62).

3. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che “la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nel prevedere che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvi i casi di particolare e motivata urgenza impone un termine per l’esercizio dell’azione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza nell’emissione, anticipata, dell’atto impositivo” (cfr. Cass. n. 11944 del 2012, cui hanno fatto seguito Cass. S.U., n. 18184 del 2013; Sez. 5, n. 24316 del 2014).

Quindi, in presenza di casi di urgenza, l’effetto derogatorio opera a prescindere dalla sua esternazione all’interno dell’atto impositivo, che non è richiesto nè dallo Statuto dei diritti del contribuente (posto che della L. n. 212 del 2000, art. 7, prescrive che l’atto deve contenere soltanto i “presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione”), nè da altre specifiche disposizioni (quali del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56) che disciplinano il contenuto degli atti impositivi e non i tempi della loro emanazione.

Ovviamente, in presenza di contestazione da parte del contribuente, è onere dell’Ufficio allegare e provare la sussistenza in concreto delle ragioni dell’urgenza, in particolare che “l’inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine” (Cass. n. 24316/14 citata), come si verifica nell’ipotesi in cui il contribuente versi in grave stato di insolvenza (cfr. Cass. n. 9424 del 2014). Deve, quindi, ritenersi ampiamente giustificata l’emissione “ante tempus” dell’avviso di accertamento nel caso, come quello in esame, di società contribuente sottoposta a procedura fallimentare, discendendo l’urgenza dalla necessità dell’Erario di procurarsi tempestivamente il titolo (rappresentato dal predetto atto impositivo) utile per insinuarsi, peraltro già tardivamente (ai sensi della L. n. 267 del 1942, art. 101), nel passivo fallimentare, non potendosi condividere il giudizio di prognosi postuma formulato dalla ricorrente sulla base delle tempistiche della procedura liquidatoria successive all’emissione dell’atto impositivo.

4. Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR omesso la trascrizione nel corpo della sentenza di alcune delle domande e dei motivi di gravame proposti con l’atto di appello, diversi dal primo, secondo ed ultimo motivo, a dire della ricorrente non assorbiti dalla decisione sui motivi esaminati, tanto da dar luogo ad omessa pronuncia da parte del giudice di merito. (pag. 62 -64).

In particolare, si tratta dei motivi di appello proposti con riferimento a:

– la “infondatezza dell’atto relativamente ai criteri utilizzati per il recupero dei ricavi ed il disconoscimento dei costi”, perchè “l’Ufficio, allorchè riferisce di operazioni insistenti, non indica un solo tipo di fattura (attiva e/o passiva) affetta da falsità, ma si limita ad enunciare una generica cifra globale” (pag. 24 del ricorso);

– la nullità derivata dell’avviso di accertamento, a seguito della nullità del p.v.c. del 20.12.2004, che poteva fare fede solo dei fatti e degli atti riscontrati e rinvenuti in occasione della verifica fiscale e non anche di atti e fatti accertati in altro ambito, la cui documentazione non veniva allegata al verbale (pag.

25) – l’illegittimità delle risultanze evidenziate nel processo verbale di constatazione, in particolare avendo effettuato “una serie di rilievi riguardanti errori logici di ricostruzione degli imponibili, effettuati nel processo verbale di constatazione e riportati nell’avviso di accertamento” (pag. 25).

4.1. A mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2, 3 e 4 – la cui formulazione è analoga a quella dell’art. 132 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4 – la sentenza della Commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, “le richieste delle parti”, “la concisa esposizione dello svolgimento del processo” e la “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”. L’art. 118 disp. att. c.p.c. – sicuramente applicabile anche al nuovo rito tributario in forza del generalissimo rinvio materiale operato dall’art. 1, comma 2, del predetto Decreto delegato alle norme del codice di rito civile “compatibili” – stabilisce, tra l’altro (comma 1), che “la motivazione della sentenza di cui all’art. 132, n. 4 del codice consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione”. (arg. da Cass. 13990 del 2003).

Questa Corte ha più volte ribadito (cfr., ex multis, Cass. n. 14199 del 2004, n. 12991 del 2006, n. 4208 del 2007 e più recentemente n. 12864 del 2015) che la mancata trascrizione delle “conclusioni” delle parti – ma lo stesso è a dirsi per la trascrizione o sintetica illustrazione o indicazione nel corpo della sentenza delle domande proposte dalle parti, che comunque integrano la “esposizione dei fatti rilevanti della causa” ex art. 118 disp. att. c.p.c. – non costituisce di per sè motivo di nullità della sentenza, occorrendo a tale fine che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso cioè di avere determinato o la mancata pronuncia sulle domande od eccezioni oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati, così che, se dalla motivazione della sentenza risulta che le conclusioni delle parti siano state effettivamente esaminate, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale irrilevante ai fini della validità della sentenza.

4.2. Nel caso di specie, in relazione ai tre motivi di appello che la ricorrente lamenta non essere stati indicati nella sentenza impugnata e neanche esaminati dal giudice di seconde cure, questa Corte osserva:

– quanto al motivo formulato con riferimento ai criteri utilizzati per il recupero dei ricavi ed il disconoscimento dei costi, che deve escludersi che la CTR ne abbia omesso l’esame perchè la sentenza impugnata sul punto richiama il contenuto dell’avviso di accertamento che definisce “ampiamente motivato” in relazione ai dati emersi dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fiscale, dai quali scaturiva, – stando al contenuto dell’atto impositivo, trascritto alle pagine da 2 a 5 del ricorso – la pretesa fiscale;

– quanto alla nullità dell’avviso di accertamento per derivazione dalla nullità del p.v.c. del 20.12.2004, la ritenuta fondatezza (seppur parziale) dell’avviso di accertamento costituisce implicito rigetto del predetto motivo;

– quanto agli “errori logici di ricostruzione degli imponibili, effettuati nel processo verbale di constatazione e riportati nell’avviso di accertamento”, la CTR ha assunto specifica decisione allorquando ha rilevato la necessità di ricalcolare i ricavi previo scorporo dell’IVA erroneamente computata.

4.3. Conclusivamente il motivo in esame, anche alla stregua del principio più volte ribadito da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. n. 452 del 2015) che “Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda”, va rigettato perchè infondato.

5. Con il quarto e quinto motivo, strettamente connessi per la identità della violazione dedotta e, quindi, da esaminarsi congiuntamente, la società ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, eccepisce la nullità della sentenza “per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e, comunque, per omessa pronuncia” del giudici di merito in relazione alle seguenti eccezioni:

a) di nullità dell’avviso di accertamento per violazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e alla L. n. 212 del 2000, art. 7, in particolare per l’omessa allegazione o riproduzione nel predetto atto impositivo del p.v.c. redatto dalla G.d.F., nonchè degli atti in esso richiamati, tra cui la documentazione, anche extracontabile (quali i contratti di vendita asseritamente non contabilizzati, nonchè le segnalazioni e gli esiti di indagini penali), non conosciuta da essa contribuente e neanche dai giudici di primo grado, con conseguente impossibilità per i giudici di merito di esaminarne il contenuto ai fini della verifica della fondatezza dell’accertamento impugnato;

b) di inadempimento dell’Agenzia fiscale all’onere della prova dei presupposti dell’imposizione, per avere questa omesso di depositare la documentazione menzionata nell’avviso di accertamento e ritenuta decisiva dal giudice territoriale, con conseguente violazione dell’art. 2697 c.c., dalla ricorrente pure dedotta (pag. 64 – 74).

5.1. Le censure sono infondate poichè, affermando che l’avviso di accertamento, che si fondava “precipuamente sull’esame delle scritture extracontabili rinven(u)te in sede di verifica fiscale”, era “ampiamente motivato” in ordine ai “maggiori ricavi non contabilizzati” emersi da quella documentazione, ed affermando, altresì che l’accertamento era fondato su dati presuntivi “gravi, precisi e concordanti” forniti, appunto, dall’Ufficio erariale, che la contribuente non era riuscita a vincere, la CTR ha chiaramente mostrato di aver voluto rigettare le eccezioni di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame, stante l’evidente incompatibilità logica di quelle affermazioni con il contenuto delle eccezioni di parte.

E’ nota la giurisprudenza di questa Corte, applicabile alla pronuncia in esame, secondo cui non basta ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un’espressa statuizione da parte del giudice, ma occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, onde “non ricorre il vizio di omessa pronuncia nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 5838 del 2016; n. 15679 e n. 15566 del 2015; n. 5351 del 2007); il che si verifica, “quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. n. 5838 del 2016; n. 18329 e n. 16309 del 2015; n. 21312 del 2013).

6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine all’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati, ed in particolare alle ragioni per le quali essi sarebbero desumibili da “non meglio precisate scritture extracontabili”, nonchè in ordine all’esistenza di detta documentazione e degli elementi indiziari da essa ricavabili. Sostiene la società ricorrente che il giudice di appello: a) non individua la documentazione extracontabile; b) non accenna ai contenuti di detta documentazione, pur in presenza di specifica contestazione circa la loro idoneità a dimostrare il conseguimento di maggiori ricavi non contabilizzati; c) non esamina nè il processo verbale di constatazione nè la predetta documentazione perchè entrambi mai prodotti in giudizio (pag. 74 –

84).

6.1. Il motivo è infondato e va rigettato.

6.2. La CTR nella sentenza qui impugnata svolge un’argomentazione che, seppur succintamente espressa nel corpo motivazionale, è comunque idonea a dare conto del percorso logico seguito, che muove dal dato (oggettivo) del rinvenimento di scritture extracontabili nel corso della verifica fiscale, per giungere a quello (soggettivo) della idoneità degli elementi ricavabili da quelle scritture – su cui si era “ampiamente” diffusa l’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo – a dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati. Seguendo le linee tracciate dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di estrinsecazione della motivazione giudiziale (ex multis, Cass. n. 1236 del 2006 e n. 9301 del 2003), deve osservarsi che nel caso di specie la motivazione della sentenza, con riferimento alla censura in esame, ha per oggetto l’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati e per contenuto di specie statico l’esistenza di scritture extracontabili, mentre sul contenuto dinamico, cioè sul percorso logico seguito per giungere al contenuto di specie statico, la Commissione tributaria regionale, dopo aver dato atto che l’accertamento “si fonda precipuamente sull’esame delle scritture extracontabili”, richiama il contenuto dell’atto impositivo, che ritiene sul punto “ampiamente motivato”. Si spiega in tal modo per quali fasi formative della conoscenza il giudice di appello è approdato al giudizio finale formulato, seppur attraverso un rinvio al contenuto motivazionale dell’atto impositivo.

E’ sufficiente esaminare il contenuto dell’avviso di accertamento, trascritto dalla ricorrente nello svolgimento in fatto del ricorso (pag. 2), in cui sono elencati gli atti extracontabili esaminati (contratti di vendite, elenchi mensili delle vendite e prospetti di prima nota cassa), e sono poi esplicitate le modalità con cui la G.d.F. è pervenuta alla determinazione dei maggiori ricavi (con modalità condivisa dall’Amministrazione finanziaria), per rendere giustizia anche dell’affermazione di parte ricorrente circa la necessità che la CTR individuasse nella motivazione della sentenza impugnata tipo e contenuto di quelle scritture.

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce la violazione da parte del giudice di appello delle norme disciplinanti l’onere della prova (D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 36, nonchè artt. 2697, 2702, 2712 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) laddove, pur ritenendo decisiva e basando la propria decisione su documentazione solo richiamata nell’avviso di accertamento impugnato, non prende atto della sua mancata produzione in giudizio da parte dell’Agenzia che vi era onerata, e nemmeno ne ordina il deposito (pag. 84 – 88).

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 36, artt. 2697, 2702, 2712 e 2729 c.c., la nullità della sentenza impugnata in quanto fondata sulle prospettazioni che l’Agenzia delle entrate fa con riferimento a documentazione mai prodotta in giudizio, che starebbe ad attestare l’esistenza dei maggiori ricavi recuperati a tassazione con l’avviso di accertamento impugnato. (pag. 88 – 91).

8.1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono al medesimo profilo di censura (assenza di prova degli elementi posti a base dell’avviso di accertamento impugnato, perchè fondato su documentazione mai prodotta in giudizio, nè acquisita d’ufficio), sono infondati.

8.2. Occorre preliminarmente rilevare che l’avviso di accertamento risulta essere emesso sulla base di un processo verbale di constatazione regolarmente portato a conoscenza della società contribuente, in cui si fa riferimento a documentazione extracontabile rinvenuta nella sede della società e sottoposta a sequestro. Lo stesso avviso di accertamento fa espresso riferimento a quella documentazione, la indica sinteticamente (specificando che si tratta di contratti di vendita, elenchi mensili delle vendite, prospetti di prima nota cassa) ed espone le ragioni della pretesa tributaria da essa desunta.

Quando l’avviso di accertamento è compiutamente (o, come nella specie, “ampiamente”) motivato, addirittura mediante il richiamo dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio direttamente o per mezzo della polizia tributaria, il giudice tributario di merito non può sottrarsi dalla valutazione della sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, sia singolarmente che nel loro complesso, e quando egli ritenga, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, deve ritenere provata la domanda dell’amministrazione, senza necessità di acquisizione al processo della documentazione utilizzata a fini accertativi e menzionata nell’atto impositivo, che l’Amministrazione finanziaria neanche è tenuta a produrre, spostandosi sul contribuente l’onere di contrastare quella presunzione provando documentalmente, nei modi indicati dalla legge, l’infondatezza di quella pretesa (in termini, Cass. n. 4306 del 2010; sez. 6-5, ord. n. 15191 del 2014).

Pertanto, alla luce del criterio che, in presenza di siffatti elementi presuntivi offerti dall’Ufficio, pone l’onere della loro contestazione e della conseguente prova a carico dell’imprenditore, spetta a quest’ultimo – che nella specie non vi ha provveduto –

prospettare insufficienze od inesattezze nella valutazione della documentazione extracontabile acquisita, che si riflettano sull’efficacia probatoria dei fatti costitutivi della pretesa. Nè la ricorrente può dolersi del mancato esercizio ex officio da parte del giudice tributario dei poteri istruttori di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in particolare di ordinare l’esibizione dei documenti in possesso di una parte, ai sensi dell’art. 210 c.p.c. (sul punto, Cass. 13152 del 2014), stante l’insussistenza, da un lato, del presupposto del possesso di quella documentazione da parte dell’Ufficio – essendo incontestata la circostanza del suo sequestro ad opera della G.d.F. operante come polizia giudiziaria (così nell’avviso di accertamento, a pag. 2 del ricorso) proprio nei confronti della società ricorrente, che quindi non può negare la conoscenza del suo contenuto -, e dall’altro dell’impossibilità o di un concreto impedimento per la società contribuente all’acquisizione di quei documenti (cfr. Cass. n. 26392 del 2010 e n. 14244 del 2015), ai fini della sua produzione in giudizio ove ritenuta necessaria.

9. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo mezzo, la ricorrente, nel dolersi del fatto che il giudice di appello aveva rimesso all’Ufficio l’onere di verificare se fosse incorso nell’errore di ricomprendere l’IVA tra i maggiori ricavi accertati ed in tal caso di scomputarli, nonchè di procedere “all’abbattimento percentuale dei maggiori costi presumibili, correlati ai maggiori ricavi presunti” ed all’applicazione, in materia di sanzioni amministrative, del cumulo giuridico anche pluriennale, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 5 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza impugnata perchè priva di contenuto precettivo certo, attuale e concreto (nono motivo), perchè omette di pronunciarsi sulle domande proposte con riferimento alle questioni sopra indicate (decimo ed undicesimo motivo), nonchè di provvedere, con valutazione di merito sostitutiva dell’atto impositivo, in presenza (come nella specie) di infondatezza parziale della pretesa fiscale, alla rideterminazione in diminuzione dei maggiori ricavi accertati con conseguente riduzione delle imposte nonchè delle sanzioni applicate (dodicesimo motivo)(pag. 91 – 108).

10. Omissione, quest’ultima, che la ricorrente deduce ancora nel tredicesimo e quattordicesimo motivo, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 35 e 36 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5 (tredicesimo motivo) anche in relazione all’art. 278 c.p.c. (quattordicesimo motivo), stante l’inammissibilità nel processo tributario di sentenze di condanna generica, avente natura di sentenza non definitiva, che invece aveva quella qui impugnata per avere riconosciuto la (parziale) fondatezza delle domande avanzate da essa contribuente, ma omesso di accertare e determinare il quantum debeatur. (pag. 108 –

116).

11. Con il quindicesimo motivo, infine, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 74 T.U.I.R. (D.P.R. n. 917 del 1986), art. 109 c.d. nuovo T.U.I.R. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, laddove il giudice di appello ha disconosciuto il diritto alla deduzione di tutti i costi contabilizzati e perfino dichiarati ai fini IVA, consentendo all’Ufficio di procedere soltanto “all’abbattimento percentuale dei maggiori costi presumibili, correlati ai maggiori ricavi presunti”. (pag. 116 – 120).

12. Il nono, tredicesimo e quattordicesimo motivo sono fondati e vanno accolti, restando assorbiti gli altri.

12.1 Correttamente la ricorrente con il nono motivo censura la sentenza impugnata laddove il giudice di appello rimette all’Ufficio l’onere, una volta verificato di essere “incorso nel grossolano materiale errore di computare anche l’Iva tra i maggiori ricavi” accertati, di “procedere a al ricalcolo dei ricavi medesimi scorporando dagli stessi l’Iva erroneamente calcolata e rideterminare conseguentemente le imposte effettivamente dovute”, nonchè di “procedere all’abbattimento percentuale dei maggiori costi presumibili, correlati ai maggiori ricavi presunti” e di rideterminare le sanzioni irrogate mediante applicazione del regime del cumulo giuridico anche pluriennale (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 5 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5).

Rimettendo alla parte pubblica tali attività, la CTR è venuta meno all’obbligo di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta e delle sanzioni dovute dalla contribuente, “che è oggetto dei poteri del giudice tributario oltre che suo preciso dovere istituzionale” (cfr. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 26157 del 2013). E’ doveroso il richiamo all’insegnamento di questa Corte più volte ribadito in fattispecie consimili (cfr., ex multis, Cass. Sez. 5, cent. n. 15825 del 2006; n. 13034 e n. 11935 del 2012; n. 6918 del 2013; n. 24611, n. 25317 e n. 26532 del 2014) secondo cui “Dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di impugnazione-

annullamento, ma tra i processi di impugnazione-merito, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte”.

La conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto trarre dalla possibile erronea inclusione dell’IVA tra i maggiori ricavi accertati e dalla necessità di abbattere i “maggiori presumibili costi, correlati ai maggiori ricavi presunti” e di applicare regimi sanzionatori più favorevoli, non è dunque il parziale accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente, bensì la determinazione dell’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute.

12.2. La statuizione nella specie adottata dalla CTR si risolve sostanzialmente in una pronuncia parziale, sull’an della pretesa tributaria ma non sul quantum, in violazione del divieto posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, di pronuncia da parte delle commissioni tributarie di sentenza di condanna generica, avente natura di sentenza non definitiva, come correttamente denunciato dalla ricorrente nel tredicesimo e quattordicesimo motivo.

Configura invero ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione per cui nel contenzioso tributario “del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 35, comma 3, ultimo periodo, che esclude l’ammissibilità di sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande, costituisce una norma a carattere eccezionale che introduce una deroga rispetto al regime previsto per il processo civile dall’art. 279 c.p.c.: tale deroga è giustificata dall’esigenza di evitare gl’inconvenienti cui il frazionamento del giudizio dà generalmente luogo anche nel processo civile, avuto specifico riguardo alla struttura del processo tributario ed al sistema della riscossione frazionata dei tributi, con i quali l’istituto della sentenza non definitiva, ed a maggior ragione quello dell’impugnazione differita che solitamente vi si accompagna, verrebbero inevitabilmente a configgere” (Cass. n. 7909 del 2007; conf. n. 2254 del 2011). 13. Come sopra anticipato, l’accoglimento dei motivi nono, tredicesimo e quattordicesimo comporta l’assorbimento dei motivi dieci, undici, dodici e quindici, con i quali la contribuente ha censurato la sentenza di merito laddove omette di pronunciarsi sulle domande proposte con riferimento alle questioni indicate nel nono motivo (decimo ed undicesimo motivo), nonchè di provvedere alla rideterminazione delle imposte dovute dalla società contribuente laddove venisse constatata un’effettiva diminuzione dei maggiori ricavi accertati ed alla riduzione delle sanzioni applicate (dodicesimo motivo) ed, infine, ha disconosciuto il diritto alla deduzione di tutti i costi contabilizzati e perfino dichiarati ai fini IVA, consentendo all’Ufficio di procedere soltanto “all’abbattimento percentuale dei maggiori costi presumibili, correlati ai maggiori ricavi presunti” (quindicesimo motivo). 14. Spetterà al giudice del rinvio, da individuarsi nella CTR laziale, in diversa composizione, effettuare quegli accertamenti omessi nella sentenza impugnata, in particolare provvedendo a: a) verificare se effettivamente l’Amministrazione finanziaria ha computato l’IVA tra i maggiori ricavi accertati a carico della società contribuente per l’anno d’imposta in verifica, provvedendo nel caso a scorporarne l’importo, rideterminando la relativa imposta dovuta; b) accertare il diritto alla deduzione dei costi sostenuti dalla contribuente in relazione ai maggiori ricavi accertati, purchè risulti provata dalla medesima su cui grava il relativo onere stante il criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare ed il criterio di vicinanza della prova (Cass. n. 2935 del 2015; n. 13943 del 2011; n. 4554 del 2010) – l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza di quei costi; c) rideterminare l’entità delle sanzioni a carico della contribuente tenendo conto degli effetti dello ius superveniens (D.Lgs. n. 158 del 2015). 14. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il nono, tredicesimo e quattordicesimo motivo, assorbiti il decimo, undicesimo, dodicesimo e quindicesimo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta civile, il 15 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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