Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13297 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17559-2018 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11,

presso lo studio dell’avvocato UGO GIURATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

NEW ENERGY HOLDING SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 120,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO GIUSEPPE CAPARELLO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7653/2017 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VALLE

CRISTIANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rocco M. impugna, con due motivi di ricorso, la sentenza n. 07653 del 04/12/2017 della Corte di Appello di Roma che, riducendo l’importo della condanna in suo favore da Euro settantamila ad Euro ventunomila, ha così riformato la sentenza del Tribunale di Roma nella controversia tra il M. e la New Energy Holding S.r.l.

Resiste con controricorso la New Energy Holding S.r.l.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione alla domanda riconvenzionale articolata dal M. in prime cure e mancata applicazione dei canoni interpretativi di cui all’art. 1362 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi.

Il mezzo è infondato. La Corte territoriale ha correttamente applicato l’art. 112 c.p.c. procedendo all’identificazione della domanda, riconvenzionale, proposta dal M. aderendo al percorso motivazionale del Tribunale, sulla base dei rapporti di credito debito intercorsi tra il M. e la S.p.a. KR Energy e la New Energy Holding e il motivo di ricorso non censura adeguatamente la detta ricostruzione, limitandosi ad affermare che il credito del M. derivava dalla parcella professionale del 07/1172011 e non dalla scrittura del 19/10/2009, concretizzando, in tal modo, non una denuncia ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 bensì un vizio di contraddizione della sentenza, non più utilmente esperibile dal 2012, se non nei limiti segnati dalla giurisprudenza nomofilattica del 2014 (Sez. U n. 08053 del 2014) e non risultando in alcun modo specificato dove sarebbero stati violati, dalla Corte d’Appello di Roma i canoni interpretativi di cui all’art. 1362 c.c..

Il secondo mezzo censura la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione all’art. 324 c.p.c. e art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c.

In particolare il mezzo afferma che il capo della sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto il credito e la sua entità non era stato impugnato e che la Corte territoriale aveva errato nell’applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. laddove aveva ritenuta contestata dalla New Energy Holding S.r.l. la somma richiesta dal M. nella misura di Euro settantamila.

Il mezzo è infondato. La sentenza in scrutinio non ha pronunciato su punto coperto da giudicato in quanto la questione dell’entità del credito era stata attinta dall’impugnazione di merito devolutale.

La domanda sin dal primo grado era stata ricostruita come relativa alla scrittura privata del 19/10/2009 e sul punto vi è una valutazione del giudice di merito, insindacabile in questa sede di legittimità, sul significato da attribuire al comportamento delle parti.

La censura mossa ai sensi dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. è inammissibile in quanto: un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360 c.p.c., n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (giusta Cass. sez. un. 8053 e 8054 del 2014).

Perchè si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo così dedotto è privo di fondamento per ciò solo (Sez. un. 16598 e Cass. n. 11892 del 2016).

Infine, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c. è necessario considerare che, poichè detta norma prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi. Ne consegue, anche sulla base delle affermazioni di Cass. sez. un. nn, 8053 e 8054 del 2014, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile nè nel paradigma del n. 5 nè in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione del n. 4 dell’art. 132 c.p.c. nei termini ora indicati), non trova di per sè alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.

Da ultimo, non è stata gravata da alcuna censura l’affermazione, a pag. 4, VI capoverso, della sentenza d’appello fondata sull’inserimento in bilancio del credito del M. nella misura di soli Euro ventunomila.

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della causa e dell’attività defensionale, sono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 1 luglio 2020

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