Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13294 del 17/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 17/06/2011), n.13294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TREIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la MANITAL Società Consortile per i Servizi Integrati per azioni,

con sede in (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma

alla Via Crescenzio n. 91 presso lo studio dell’avv. LUCISANO Claudio

che la rappresenta e difende insieme con gli avv. Umberto GIARDINI e

Natale MANGANO (del Foro di Torino) in forza della “procura”

rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 32/01/08 depositata il primo dicembre 2008

dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 gennaio 2011

dal Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. D’ASCIA Lorenzo

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e dagli avv.

Claudio LUCISANO e Natale MANGANO, per la società;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla MANITAL Società Consortile per i Servizi Integrati per azioni, l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che con avvisi di accertamento e di contestazione di sanzioni il suo Ufficio, sulla scorta dei “rilievi” operati dalla Guardia di Finanza, aveva recuperato a tassazione “un maggior importo di corrispettivi . . .

non dichiarati” ai (soli) fini dell’IVA (“avendo il Consorzio “provveduto alla definizione automatica … ai fini II. DD. e IRAP prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9”) , essendo stato rilevato che il “Consorzio MANITAL” aveva “di fatto” operato come una impresa commerciale (non avendo utilizzato “le metodologie contabili e fiscali proprie dei consorzi”) in quanto per le “commesse” acquisite ed affidate alle consorziate “fatturava al committente il prezzo integrale pattuito e . . . alle consorziate versava (e si faceva fatturare) una somma inferiore” (“decurtazione imputata alla copertura dei costi di gestione del consorzio”) mentre per le “commesse eseguite direttamente … ometteva di ribaltare formalmente sulle consorziate, in proporzione alla quota consortile di ciascuna, gli utili e i costi” “tale mancato ribaltamento … avveniva attraverso una forma di compensazione reciproca degli utili spettanti alle consorziate, e dei costi a cui le stesse dovevano partecipare” per cui “veniva occultato attraverso lo strumento della compensazione, cosi sfuggendo agli obblighi di fatturazione e autofatturazione e ai conseguenti obblighi impositivi (IVA)” -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 32/01/08 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il primo dicembre 2008) che, previa riunione, aveva respinto gli appelli dell’Ufficio avverso le decisioni (87/16/06 e 88/16/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale aveva accolto i ricorsi della contribuente.

Nel proprio controricorso la società consortile instava per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso il gravame dell’Ufficio ritenendo “regolare” la “seguente … procedura” seguita dal Consorzio MANITAL:

“fatturazione al committente, al termine della commessa stante la sua acquisizione diretta, delle prestazioni effettuate e ricevimento della fattura dei corrispettivi dovuti alla impresa o alle imprese consorziate che avevano eseguito la commessa ovvero che aveva o avevano partecipato all’esecuzione della stessa con la propria struttura aziendale … (naturalmente fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al committente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonchè il funzionamento della organizzazione consortile)”;

– “nei limitati casi . . . di commesse affidate anche a terzi, le imprese consorziate restavano evidentemente estranee ai relativi rapporti economici”.

Lo stesso giudice (“per completezza di trattazione”), a conforto, richiama “il concetto … espresso in sede penale” dal Tribunale di Ivrea secondo cui “sul piano delle commesse ricevute direttamente dal Consorzio, è ben possibile che quest’ultimo contragga con i committenti ad un prezzo diverso al correlativo contratto intercorso con il medesimo Consorzio e la singola impresa consorziata, nel quale il compenso stabilito per quest’ultima può essere inferiore a quello convenuto con la committenza”: “tale differenza rappresenta il vantaggio economico che il Consorzio ritrae per sè dall’affare e concorre, quale componente positivo, a formare il proprio reddito dr impresa e solo tale importo differenziale deve essere assoggettato ad IVA, in applicazione di quanto disposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b) per le prestazioni rese dal mandatario senza rappresentanza”.

2. L’Agenzia – esposto che “il presente giudizio ha ad oggetto un avviso di accertamento e un atto di contestazione (irrogativo della sanzione prevista per i comportamenti rilevati nell’avviso di accertamento medesimo, per il medesimo periodo d’imposta del 2000) con cui l’Amministrazione Finanziaria accerti nei confronti di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese, la mancata fatturazione e autofatturazione di costi e utili ribaltati sulle consorziate non attraverso la loro formale fatturazione ma occultando tale ribaltamento con lo strumento della compensazione” – chiede di cassare la decisione per cinque motivi.

A. Con il primo la ricorrente – premesso che “costi e utili sono connessi a due tipologie di commesse: quelle assegnate dal consorzio alle imprese consorziate e quelle eseguite direttamente dal consorzio con la propria struttura aziendale (o comunque con affidamento a soggetti terzi non consorziati)” – denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 c.c. e segg., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 dell’art. 1241 c.c. e segg. nonchè del principio generale del divieto dell’abuso del diritto desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis” chiedendo (“quesito di diritto”) “se sia errata, per violazione dell’art. 2602 c.c., dell’art. 1241 c.c., dei principi in materia di abuso del diritto, la sentenza del giudice tributario che annulli” gli atti impositivi, “qualora la sentenza neghi, a dispetto della natura mutualistica del consorzio, dell’assenza di un suo scopo di lucro e dalla neutralità dello stesso (non contestati in giudizio), e sulla sola base del fatto che non tutte le consorziate partecipassero alle commesse distribuite dal consorzio e che non vi sia prova della formale ripartizione tra le consorziate dei costi (circostanze queste del tutto irrilevanti rispetto all’obbligo di tutte le consorziate, partecipanti o meno alle commesse, di far fronte ai costi, e rispetto alla circostanza, eccepita dall’Amministrazione, che il consorzio compensasse costi e utili) che il consorzio avesse un obbligo di ribaltare sulle consorziate (con conseguente fatturazione e autofatturazione per ciascuna consorziata) tutti i costi generali di gestione e i costi specifici relativi alle singole commesse, e che la mancata fatturazione di tale ribaltamento, come anche del ribaltamento degli utili (mai distribuiti alle consorziate), postulando un ribaltamento di costi e utili realizzato in maniera occulta con il meccanismo della compensazione, costituisca violazione degli obblighi di fatturazione e autofatturazione, ed evasione delle relative imposte (nella specie IVA, avendo il contribuente definito le altre imposte ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9) realizzato anche attraverso l’abusivo ricorso alla struttura consortile, così applicando il giudice tributario la norma inesistente secondo cui non sono soggette ad obbligo di fatturazione e auto fatturazione gli utili e i costi spettanti pro quota alle imprese partecipanti a un consorzio senza scopo di lucro soggettivo quando essi non siano formalmente ribaltati sulle imprese (e dunque non vi sia prova del ribaltamento) e il consorzio non operi con una ripartizione delle commesse tra tutte le imprese, e non applicando invece la norma, ricavabile dalle disposizioni riportale in rubrica, secondo cui nell’attività di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese, il consorzio, per le commesse eseguite dalle consorziate deve ribaltare integralmente i costi e i ricavi alla consorziata che abbia partecipalo all’esecuzione della commessa, senza applicare alcuna detrazione (che dal punto di vista del committente equivale ad un ricarico) da incamerare in proprio; e per le commesse eseguite in proprio (o attraverso l ‘ affidamento a terzi non consorziati), deve poi ribaltare alle consorziate, che costituendo il fondo consortile partecipano al consorzio, tutti i costi e i proventi, nella misura della quota consortile: e ciò in quanto il ribaltamento dei costi, non formalizzato, non può essere realizzato con una compensazione occulta con gli utili, che dunque sono anch’essi da fatturare”.

B. Nella seconda doglianza l’Agenzia – “con riferimento alle violazioni accertate in relazione alle commesse acquisite dal Consorzio e poi distribuite alle consorziate per la loro esecuzione, rispetto alle quali la sentenza impugnata abbia accertato che la differenza tra il prezzo percepito dal consorzio e quello poi riversato alle consorziate andasse a coprire i costi di gestione e organizzazione della struttura consortile, integrando il vantaggio economico ricavato dal consorzio dall’affare” – denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2602 c.c. e segg., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, commi 1 e 2, e art. 21, comma 1, dell’art. 1241 c.c. e segg., dell’art. 1705 c.c., e segg, nonchè del principio generale del divieto di abuso del diritto desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis”, sintetizzate nel “quesito di diritto”: “se sia errata, per violazione dell’art. 2602 c.c., dell’art. 1241 c.c., dei principi in materia di abuso del diritto, la sentenza del giudice tributario che annulli” gli atti impositivi, qualora la sentenza neghi, a dispetto della natura mutualistica del consorzio, dell’assenza di un suo scopo di lucro e dalla neutralità dello stesso (non contentati in giudizio), e sulla sola base del fatto che non tutte le consorziate partecipassero alle commesse distribuite dal consorzio e che non vi sia prova della formale ripartizione tra le consorziate dei costi (circostanze queste del tutto irrilevanti rispetto all’obbligo di tutte le consorziate, partecipanti o meno alle commesse, di far fronte ai costi, e rispetto alla circostanza, eccepita dall’Amministrazione, che il consorzio compensasse costi e utili) che il consorzio avesse un obbligo di ribaltare sulle consorziate (con conseguente fatturazione e auto fatturazione per ciascuna consorziata) tutti i costi generali di gestione e i costi specifici relativi alle singole commesse eseguite dalle consorziate, e che la mancata fatturazione di tale ribaltamento, come anche del ribaltamento del maggior prezzo percepito dal committente, postulando un ribaltamento di costi e utili realizzato in maniera occulta con il meccanismo della compensazione, costituisca violazione degli obblighi di fatturazione e auto fatturazione, ed evasione delle relative imposte (Iva) realizzato anche attraverso l’abusivo ricorso alla struttura consortile, così applicando il giudice tributario la norma inesistente secondo cui non sono soggette ad obbligo di fatturazione e autofatturazione gli utili e i costi spettanti pro quota alle imprese partecipanti a un consorzio senza scopo di lucro soggettivo quando essi non siano formalmente ribaltati sulle imprese (e dunque non vi sia prova del ribaltamento) e che il consorzio non operi una ripartizione delle commesse tra tutte le imprese, pur decurtando il consorzio, dal prezzo ricavato attraverso la commessa eseguita dalle consorziate e acquisite dal consorzio in veste di mandatario senza rappresentanza, una somma destinata proprio alla copertura dei costi di gestione e amministrazione, e non applicando invece la norma, ricavabile dalle disposizioni riportate in rubrica, secondo cui nell’attività di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentanza, il consorzio, per le commesse eseguite dalle consorziate, deve ribaltare formalmente una (con emissione di fattura e, ove necessario, di auto fattura) e integralmente i costi e i ricavi alla consorziata che abbia partecipato all’esecuzione della commessa, senza applicare alcuna detrazione (che dal punto di vista del committente equivale ad un ricarico) da incamerare in proprio: e ciò in quanto il mancato ribaltamento (formale) dei costi e degli utili non può essere realizzato con una loro compensazione occulta”.

C. Con il terzo motivo la ricorrente – esposto che: (1) “la quantificazione dei costi e degli utili il cui ribaltamento non è stato fatturato si è fondata sui dati contabili aggregati risultanti dalla contabilità del consorzio, mancando nella contabilità del consorzio le fatture e le autofatture, in considerazione del ricorso, ad opera del consorzio medesimo, allo strumento della compensazione”;

(2) “i dati contabili aggregati del Consorzio su cui si è basata la verifica” (“che consentivano di stabilire l’esistenza di operazioni che avrebbero dovuto essere assoggettate ad imposizione e che . . .

non sono state fatturate nè autofatturate”) “non sono mai stati contestati dal consorzio medesimo” – assunto affermarsi “nella sentenza in epigrafe … che la quantificazione delle maggior imposte dovute dal consorzio da parte dell’Amministrazione Finanziaria si sarebbe fondata su dati aggregati presuntivi senza la prova dell’effettiva ripartizione (ribaltamento) dei costi e degli utili tra le varie consorziate”, denunzia “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3)”, conclusa con il “quesito di diritto” “se alla … descritta fattispecie si applichi o meno la norma giuridica, ricavata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, comma 1, nonchè dall’art. 54, comma 5, e dall’art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3), del 26.10.1972, n. 633, secondo cui l’Agenzia delle Entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonchè dalle segnalazioni effettuati dalla Guardia di Finanza risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta nonchè l’imposta o la maggiore imposta non versata ed è onere del contribuente dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle operazioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione, totalmente o per una parte rilevante, le fatture emesse e quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni o annotazioni accertate, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente; e ciò anzichè la diversa ed inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale, anche di fronte all’incompletezza della documentazione fornita agli accertatori dell’Amministrazione (nella specie le fatture e auto fatture non emesse per le operazioni in considerazione), è onere dell’Amministrazione dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati sulla base dei dati e delle notizie analiticamente raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio in base alla verifica fiscale”.

D. Con il quarto motivo l’Agenzia – affermato che “la motivazione si limita a richiamare la realtà dei rapporti tra consorzio e consorziate, ad affermare che non vi sarebbe prova della ripartizione dei costi, tutte circostanze che non possono far venir meno l’assenza di finalità di lucro e l’obbligo di ribaltare utili e costi sui consorziati” – denunzia “insufficiente motivazione” assumendo che “ciò non basta a spiegare le ragioni che hanno condotto la CTR a maturare il convincimento di escludere che il ribaltamento (in ogni caso non vietato dallo Statuto) venisse comunque effettuato in via occulta, attraverso lo strumento della compensazione, non spiegando, la motivazione, le ragioni del convincimento per cui i costi di gestione del consorzio non venissero ribaltati (neanche con lo strumento della compensazione) sulle consorziate (anche quelle che non avevano eseguito alcuna commessa …) mediante l’incameramento degli utili realizzati con per le commesse eseguite direttamente dal consorzio o delle somme percepite come ricarico sul prezzo delle commesse eseguite dalle consorziate, utili a loro volta non ribaltati sulle consorziate, nonostante risultassero pacificamente i seguenti fatti: che lo Statuto consortile prevede che le consorziate partecipano ai costi del consorzio;che il consorzio ha dovuto affrontare dei costi di gestione e organizzazione; che non è stato formalizzato alcun ribaltamento dei costi dal consorzio alle consorziate; che il consorzio ha ottenuto dei ricavi nello svolgimento dell’attività (sia nella qualità di mandatario senza rappresentanza per conto delle consorziate, sia nella gestione ed esecuzione diretta – o comunque attraverso soggetti terzi – di altre commesse che il consorzio non ha formalizzato alcun ribaltamento di tali ricavi sulle consorziate; che lo Statuto consortile (oltre alle norme civili e fiscali che lo regolano) prevede che il consorzio agisce senza scopo di lucro”.

E. Con la quinta (ultima) doglianza l’Agenzia sostiene che la “motivazione” della sentenza impugnata in ordine al “fatto” (“decisivo e controverso del giudizio”) concernente la “omessa fatturazione e autofatturazione di parte delle somme corrisposte dal consorzio alle consorziate per le commesse eseguite da quest’ultime, e dei costi di gestione e organizzazione ribaltati attraverso lo strumento della compensazione con la maggior somma dovuta dal consorzio in relazione a dette commesse” è “contraddittoria” perchè (“sintesi ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.”) “da un lato afferma che l’Ufficio non avrebbe fornito alcuna prova di tale riaddebito, e dall’altro lato, in altro passaggio, afferma espressamente che per dette commesse, il consorzio, agendo come mandatario senza rappresentanza, percepiva dal committente il prezzo della commessa, che ribaltava sulle consorziate che l’avevano eseguito decurtato di una parte, proprio al fine di coprire i costi di gestione propri nonchè il funzionamento della organizzazione consortile”.

3. Il Consorzio – il quale dichiara (a) di essere stato costituito “nel 1993 con oggetto l’attività di manutenzione in global service di complessi immobiliari civili ed industriali”, (b) di operare “a livello nazionale” e (c) di avere “in portafoglio numerose commesse … sulle quali agiscono contemporaneamente più soggetti consorziati, i terzi fornitori e la stessa struttura del Consorzio” (“all’epoca … costituita da circa 400 operai”) – alle pagine 31 e s. del suo controricorso sintetizza così l’attività da esso esercitata:

– “la finalità mutualistica … si concretizza sostanzialmente nell’offerta di opportunità di lavoro per i soggetti consorziati, i quali esplicano l’attività di competenza sulle commesse acquisite dal Consorzio stesso”;

– “il Consorzio, per espressa previsione statutaria, non persegue scopo di lucro”: “considerata la sua natura di Consorzio con attività esterna (art. 2612 c.c. e segg.)”, esso “deve essere annoverato tra quei gruppi con autonomia patrimoniale” costituenti, per l'”ordinamento positivo”, “centri autonomi di rapporti giuridici”, senza che “la natura imprenditoriale dell’attività svolta” si ponga “in contrasto, nè formale nè sostanziale, con la carenza di finalità di lucro”;

– “il Consorzio ha sempre operato … in forza di mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c.), pienamente compatibile con l’organizzazione consortile, realizzata dai soggetti consorziati soprattutto quale strumento di collaborazione generale tra imprese diverse, idoneo a realizzare le più razionali ed opportune sinergie”: le “imprese … consorziate … hanno inteso e intendono soprattutto acquisire opportunità di lavoro”; “è il consorzio che acquisisce e sottoscrive, avvalendosi della sua autonomia patrimoniale, i vari contratti dai committenti; è il Consorzio che, in applicazione dell’apposito regolamento consortile, assegna l’esecuzione delle varie commesse ad una o più delle imprese consorziate; è ancora il Consorzio che emette fattura nei confronti del committente sulla base del valore delle prestazioni, come è il Consorzio che riceve dai … consorziati, esecutori dei lavori, la fattura per le prestazioni eseguite; sul Consorzio (e solo su di esso) gravano le spese generali”; “questa metodologa contabile risulta … conforme alle previsioni della risoluzione ministeriale n. 399932 del 5 gennaio 1985”;

– “analizzando i bilanci del Consorzio, emerge una situazione di sostanziale pareggio”.

4. Il ricorso dell’Agenzia – i cui motivi, per la loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente – deve esser accolto perchè fondato.

A. In via preliminare va ribadito (Cass., trib., 28 ottobre 2009 n. 22790, la quale richiama “Cass. n. 8910/-2007”) che “ilpotere di organizzazione dell’impresa”r siccome “esercizio della libertà d’ iniziativa economica” (art. 41 Cost.) consente (art. 2602 cod. civ. sostituito dalla L. 10 maggio 1976, n. 377, art. 1 per il cui comma 1 “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”; art. 2615 ter cod. civ.:

“le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^ possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”) che “un certo numero di società commerciali possa istituire, per mutuo accordo fra loro, un consorzio, dandogli la forma legale di società di capitali ed assegnandogli il compito di provvedere ad un certo ordine, concordato, di attività e di spese generali, genericamente utili all’intero gruppo ed a ciascuna consorziata, la cui gestione unitaria sia considerata economicamente vantaggiosa sotto gli aspetti dell’efficienza e della convenienza”.

Nella medesima decisione si è, altresì, rettamente statuito (1) che “… in materia tributaria, l’assunzione di obbligazioni consistenti, essenzialmente, nel demandare al consorzio, in esecuzione dei patti consortili, la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (…) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale in ispecie” e (2) che “la parte di spesa affrontata da ciascuna società, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio, non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione d’ inerenza, ai sensi ed ai fini dell’art. 75, comma 5, cit. T. U.I.R., essendo … ogni consorziata tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attività o beni propri (inerenza), da cui siano derivali ricavi od altri proventi che abbiano concorso a formarne il reddito (Cass. n. 10257/2008)”: “in mancanza di tale dimostrazione, la spesa non sarà deducibile”.

Questa Corte – precisato che “la presenza di una società (consortile o meno) costituita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87) non esclude necessariamente la riferibilità alle singole società socie delle attività poste in essere per il suo tramite”-, inoltre, ha chiarito (Cass., trib., 18 giugno 2008 n. 16410) che ” i costi della società consortile … costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio” perchè la “società consortile …, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico nè produce un reddito proprio” : “la società consortile”, infatti, “nei rapporti interni”, “è sempre e soltanto uno strumento operativo” per cui “le sue operazioni”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”.

“Allo stesso modo” (è stato specificato) “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”.

L'”adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti interni” – “che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa soda nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese sode, di fornire … alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori” -, come noto, si ottiene, propriamente, con l'”operazione” detta di “riaddebito (o ribaltamento)”.

B. Dalla possibilità (“possono”) , riconosciuta dal cit. art. 2615 ter cod. civ. (inserito dalla medesima L. n. 377 del 1976, art. 4), per “le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^” (quindi anche per una società di capitali quale il Consorzio MANITAL), di “assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’articolo 2602”, come già messo in luce nella sentenza 27 novembre 2003 n. 18113 (prima sezione), “sono derivate incertezze applicative ogni qual volta si è delineato un contrasto tra regole proprie del fenomeno consortile (ad esempio, in tema di recesso ed esclusione di un consorziato) e la disciplina corrispondente al tipo di società valuto dalle parti; contrasti non facilmente risolubili, soprattutto quando si tratti di società per azioni o a responsabilità limitata, per l’organizzazione ed il funzionamento delle quali è prevista dal codice una disciplina assai puntuale e spesso inderogabile” : in tale decisione sì è affermato il principio secondo cui “se non può escludersi che a determinati affetti l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile, di certo non si può ammettere che ne vengano stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale”.

Siffatta affermazione, tenuto conto della natura pubblicistica (fiscale) dell’oggetto della controversia, va condivisa (e, perciò, ribadita) nei limiti in cui “i connotati … del tipo societario prescelto”, ritenuti “fondamentali”, non finiscano per eliminare od anche solo per eludere, nella sostanza, la “causa consortile” (od “aspetti essenziali del fenomeno consortile”) atteso che il volontario inserimento della “causa consortile” nella struttura societaria adottata, da parte dei consorziati, introduce necessariamente comunque una autolimitazione, almeno interna, delle disposizioni applicabili al “particolare tipo di società” prescelto:

quella “consortile” (nel senso indicato dall’art. 2602 cod. civ.), infatti, costituisce non solo “scopo” (come pure “oggetto”) della convezione negoziale, ma vera e propria “causa” giuridica del “contratto”, ovverosia il “requisito” (richiesto dall’art. 1325 cod. civ.) la cui non rispondenza (originaria o sopravvenuta) alla concreta realtà effettiva può assumere rilievo, in particolare, ai sensi del successivo art. 1344 (“si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”) se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste.

C. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057 – i cui principi sono stati condivisi da questa sezione nelle decisioni 9 dicembre 2009 n. 25726 e 13 gennaio 2011 nn. 686-690, tra le molte -, infatti, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)” hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”, condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva … e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost. “costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost. in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che “in tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” “sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”.

D. Per il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 13, comma 1 (il cui disposto è richiamato, sia pure indirettamente, dal giudice a quo con la dichiarata condivisione del “concetto , . . espresso in sede penale” che si rifà alla norma), ancora, “la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”; il comma 2 dello stesso articolo precisa che “agli effetti dei comma 1 i corrispettivi sono costituiti… b) per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente, di cui all’art. 2, comma 2, n. 3 rispettivamente dai prezzo di vendita pattuito dal commissionano, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto pattuito dal commissionario, aumentato della provvigione; per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, di cui al terzo periodo dell’art. 3, comma 3 rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione”.

L’analisi della norma evidenzia che “per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente” “di cui all’art. 2, comma 2, n. 3” e “per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza” la “provvigione” spettante al mandatario – il quale quando “agisce in nome proprio ma nell’interesse di altro soggetto” (“mandatario senza rappresentanza”) giusta anche l'”art. 6, quarto paragrafo, direttiva CEE 77-388 del 7 maggio 1977″, deve essere considerato (Cass., trib., 27 agosto 2001 n. 11267) quale “operatore in proprio” – costituisce sempre una componente da aggiungere o da sottrarre, a seconda del caso, al “prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario” e/o al “prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario” : discende che per la norma il “prezzo” (“di vendita”; “di acquisto”; “di fornitura del servizio”; “di acquisto del servizio”) eventualmente pattuito dal mandatario con il committente va considerato integralmente come “prezzo” dell’operazione economica, con la necessaria conseguenza logica che nessuna parte di questo può andare mai a beneficio e/o a danno del “mandatario”.

Il rilievo importa l’ulteriore corollario per il quale, come intuitivo, la “provvigione” del mandatario (quando effettivamente dovuta), a fini fiscali, acquista giuridica evidenza solo se ha una sua univoca e chiara rappresentazione, prima contabile e poi fiscale, come tale, nelle scritture del mandatario e del mandante.

Peraltro e comunque di “provvigione” e, correlativamente, di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 può parlarsi solo in ipotesi di avvenuta corresponsione di una “provvigione”: è ben vero, infatti, che per l’art. 1709 cod. civ. “il mandato si presume oneroso”, ma è anche vero (Cass., 2^, 16 aprile 1987 n. 3774) che tale presunzione, siccome iuris tantum (Cass., 2^, 27 maggio 1982 n. 3233), può bene essere vinta dal complessivo comportamento della parti: comunque, attesa la posizione di terzo dell’erario, si deve sempre allegare e provare che vi è stata richiesta ed effettiva corresponsione di una provvigione al Consorzio, almeno da parte della impresa consorziata interessata dall’esecuzione di opere acquisite dallo stesso.

E. I principi richiamati (che vanno ribaditi perchè non contrastati da argomentazioni contrarie) e le osservazioni che precedono rendono evidente – attese (1) la necessità di salvaguardare, per la sua assoluta preminenza, il perseguimento dello scopo mutualistico proprio della pattuita “causa consortile” e (2) l’assenza di qualsivoglia finalità lucrativa propria del Consorzio di cui all’art. 2602 cod. civ..

a) l’erroneità (in diritto, giusta il principio richiamato al punto A secondo cui le “operazioni” della “società consortile”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”, sicchè tale “società”, per sua natura, scopo e funzione, deve indefettibilmente operare, nei rapporti con le imprese consorziate, per “trasparenza”) (a1) della tesi (sostenuta dal Consorzio e recepita dai giudici del merito) della legittimità dell’emissione, da parte della consorziata esecutrice della commessa, di “fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al committente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonchè il funzionamento della organizzazione consortile” e, di implicito (ma necessario converso, essendosi al medesimo punto A ribadito che “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”), (a 2) della (tesi della) insindacabilità della scelta del Presidente del Consorzio di non addebitare costi dell’ente alle imprese consorziate, nonchè (1b) l’illegittimità (con gli afferenti riflessi fiscali per tutte le parti coinvolte ed interessate) dell’omesso integrale ribaltamento economico (1b1) dell’operazione eseguite da una o più imprese consorziate e, parimenti, (b2) dei componenti positivi e negativi (b2a) delle operazioni economiche eseguite in proprio dal Consorzio e (b2b) di quelle affidate all’esecuzione di terzi. Il Consorzio (quale la MANITAL) nato dallo specifico contratto per le finalità (“organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”) previste dall’art. 2602 cod. civ., invero, diversamente da quanto affermato (richiamando il “concetto” che assume espresso “in sede penale”) dalla Commissione Tributaria Regionale, non può e non deve avere (se vuole mantenere la qualità, soprattutto a fini fiscali) nessun “vantaggio economico … per sè” (cfr., supra, ancora sub A: “la società consortile ….

per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico”) perchè tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono (in aderenza alla convenuta finalità negoziale) unicamente, sempre e solo, alle “imprese” consorziate.

F. In linea generale, ancora, va osservato che, a fini fiscali, la misura del ribaltamento, come naturale, deve considerare non solo le peculiarità del tipo societario adottato e, conseguentemente, le afferenti previsioni statutarie, ma anche tenuto conto della indefettibilità della “connotazione di inerenza” richiamata al n. (2) del punto A la sua legittimità fiscale alla luce del principio di “inerenza” alla consorziata della operazione ribaltata, dovendosi, peraltro, ritenere (giusta le osservazioni che precedono) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal Consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate, anche in considerazione del corrispondente obbligo legale di ognuno di sopportare i costi gestionali del Consorzio.

G. La (ormai incontestabile, essendo ritenuta corretta anche dalla contribuente) riconduzione di tutta l’attività economica e giuridica svolta dal Consorzio in esecuzione dello “scopo consortile” ad un rapporto di “mandato senza rappresentanza”, conferito in via generale da ciascuna impresa consorziata, importa – in base al principio (Cass., 1^, 8 maggio 2009 n. 10590, la quale richiama la “giurisprudenza consolidata di legittimità, a far tempo da Cass. 18 aprile 1957 n. 1331; 28 luglio 1958 n. 2724 – cui più recentemente hanno fatto riscontro Cass. 28 luglio 1988 n. 2724; 29 maggio 1993 n. 6024; 28 settembre 1994 n. 7899; 14 ottobre 1995 n. 10.768; 23 giugno 1998 n. 6246; 27 novembre 1999 n. 13.261; 1 aprile 2003 n. 4886; 27 luglio 2004 n. 14.094”) secondo cui nel “nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro, conseguente, di natura obbligatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasferimento di diritti ovvero la insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno, crea a carico di quest’ultimo l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo il diritto” – che la eventuale mancata conoscenza (1) da parte dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori dell’effettivo importo pattuito dal Consorzio con il committente esterno e (2) da parte di tutti i consorziati dell’ammontare complessivo delle commesse eseguite dal Consorzio mediante proprie strutture o con l’affidamento a imprese terze estranee al Consorzio, come (3) delle eventuali diverse e/o maggiori spese generali gestionali (in particolare quanto all’applicazione della norma del “quartultimo comma dell’art. 6 dello statuto consortile” per il quale “le spese generali vengano ripartite in capo ai consorziati solo nel caso in cui il presidente ne decida la ripartizione stessa, previa convocazione dell’assemblea”) , afferisce unicamente all’esatto adempimento del mandato da parte del mandatario (id est, la società consortile) e, quindi, relega la questione ai rapporti “iriterni” tra consorzio ed imprese consorziate perchè queste, tenuto conto della ineludibilità del più volte richiamato principio di “inerenza”, nei confronti del fisco rispondono sempre e comunque di tutta l’attività economica riconducibile a ciascuna.

H. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata perchè affetta dai vizi evidenziati e la causa va rinviata a sezione della Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha pronunciato la decisione annullata affinchè la stessa (1) rinnovi l’esame dell’appello facendo applicazione degli enunciati principi in ordine al obbligo del Consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate -secondo i criteri di leggi (specie quanto all'”inerenza”) o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi (nel senso precisato al punto C.) delle norme fiscali – tutte le operazioni economiche da esso conseguite, che siano realizzate da una o più imprese consorziate oppure con strutture proprie o con impiego di imprese terze, e (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2011

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