Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13293 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 13293 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 16797-2009 proposto da:
ARIES SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato
CARLETTI FIORAVANTE, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ALLEGRO ENRICO giusta delega
2012

in calce;
– ricorrente –

2440

contro

AMMINISTRAZIONE FINANZE DELLO STATO;
– intimato –

Data pubblicazione: 29/05/2013

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
resistente con atto di costituzione

avverso la sentenza n. 35/2008 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 19/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2012 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito per il controricorrente l’Avvocato MELILLO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 35/19/08 depositata il 19-5-2008 la CTR di Milano ha rigettato l’appello proposto dalla
ARIES srl avverso la sentenza della CTP di Milano che aveva respinto il ricorso proposto dalla stessa
società avverso l’avviso di accertamento n. R1K03T100024 2005, con il quale l’Agenzia delle Entrate, a
seguito di rilievi contenuti in due pvc della Guardia di Finanza del 31-5-2001 e 21-12-2001, aveva
recuperato a tassazione per l’anno di imposta 2000 un importo pari ad euro 580.633,78 per maggiore

In particolare:
nel pvc 31-5-2001 erano emerse: una differenza negativa rispetto alle risultanze contabili nei
quantitativi di prodotti in magazzino; una eccedenza di magazzino su taluni prodotti (diversi rispetto a
quelli di cui sopra) rispetto alle risultanze contabili; una contabilizzazione di costi non di competenza,
non inerenti o non sufficientemente documentati; un utilizzo di fatture per operazioni
soggettivamente inesistenti; una cessione di beni senza applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 8 lett. C)
dpr 633/72 sulla base di lettere d’intenti false;
nel pvc 21-12-2001 risultavano esaminati i movimenti sui c/c intestati alla società ed ai soci (o
comunque riconducibili ad essi) e veniva contestato alla società di non avere dimostrato di avere
tenuto conto dei detti movimenti nella determinazione del reddito.
Nello specifico la CTR, per quanto ancora rilevante:
in ordine alle cessioni senza applicazione di IVA, evidenziava che era inconfutabile sia la prova della
falsità delle “dichiarazioni di intento” emesse dalla ditta acquirente sia la prova della consapevolezza
di tale falsità da parte della cedente (in tal senso richiamava le dichiarazioni di tal Poldemengo Attilio e
del dipendente Rigamonti nonchè la constatata cessazione -in data 31.10.98- dell’attività della
sedicente esportatrice abituale ed il suo trasferimento a Milano preso un “mail box”);
in ordine all’esame dei c/c e dei riscontrati versamenti (per lire 100.284.744) e prelevamenti (per lire
189.068.929), evidenziava che, per i primi, la società non era stata in grado di dimostrare di averne
tenuto conto nella determinazione del reddito o che erano irrilevanti a tal fine, mentre, per i secondi, la
società non era stata in grado di indicarne il soggetto beneficiario, sicchè entrambi, non essendo stata
superata la presunzione ex art. 32 dpr 600/1973, dovevano considerarsi ricavi;
in ordine alla presunzione di distribuzione “in nero” ai soci del maggior utile, precisava che l’Ufficio
aveva basato il proprio accertamento su presunzioni gravi, precise e concordanti nonché sulle cessio
senza applicazioni di IVA in consapevole violazione dell’art. 8, lett. c) dpr 633/72, e, co
riconosceva la legittimità di tale presunzione attesa la ristretta base partecipativa della società,

IVA, IRAP, IRPEG, sanzioni ed interessi.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società, affidato a quattro motivi;
l’Agenzia si costituiva al solo fine della partecipazione all’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e secondo motivo di ricorso la società, deducendo ex art. 360, commi 1 e 3 cpc, violazione
39 DPR 600/1973, rilevava che l’accertamento in questione era da ritenersi illegittimo, in quanto non
conforme alle predette disposizioni; in particolare sosteneva che le violazioni accertate non erano tali
da rendere inattendibili le scritture contabili e che mancavano gli elementi indiziari gravi, precisi e
concordanti richiesti dalla norma; nello specifico, riteneva che l’art. 32, commi 1 e 2 (secondo cui i
singoli dati ed elementi risultanti dai c/c dovevano essere posti a base degli accertamenti) doveva
essere inteso nel senso detti dati ed elementi potevano essere valorizzati dall’amministrazione a fini
accertativi e costituire la base per la ricerca in fase istruttoria di altri elementi tali da supportare l’atto
di accertamento; di conseguenza, doveva escludersi qualsiasi automatismo tra il rilevamento di
movimenti non giustificati e la presunzioni di ricavi non contabilizzati, sicchè, in mancanza di
presunzione legale, l’Amministrazione era tenuta a provare ogni suo assunto.
Deduceva, inoltre che il numero dei soci o il legame di parentela tra di essi non poteva di per sè
costituire fatto idoneo per fondare la presunzione di distribuzione ai soci del reddito non
contabilizzato, in quanto in tal caso si doveva ricorrere ad una duplice (e quindi non consentita)
doppia presunzione (la società Aries è a ristretta base azionaria in quanto composta da tre soci, tutti i
movimenti bancari sui c/c dei soci e dei loro familiari sono relativi ad operazioni societarie non
fatturate, distribuzione di tali presunti utili extracontabili ai soci; in altre parole: accertamento di tipo
presuntivo a carico della società, maggior reddito imputato poi ai soci sulla base della ristretta base
azionaria e sulla conseguente presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili).
Affermava, infine, che le presunzioni erano state vinte dalle contestazioni e relative produzioni
effettuate in corso di giudizio.
I detti motivi, da esaminarsi congiuntamente un quanto tra loro strettamente connessi, sono infondati.
Per costante e condiviso principio di questa Corte, invero, in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, in virtù della presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (che, data la
fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod.
civ. per le presunzioni semplici), sia i prelevamenti sia i versamenti operati su conti correnti bancari
vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se ques I mo
non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che

e falsa applicazione di legge e interpretazione delle prove in relazione agli ara. 2697 cc, 2729 cc, 32 e

sono estranei alla produzione del reddito (in particolare: che i versamenti siano registrati in
contabilità ed i prelevamenti siano serviti per pagare determinati e specificamente indicati beneficiari,
anziché costituire acquisizione di utili); in senso conforme, v., tra le tante, Cass. 25502/2011;
16650/2011; 13035/2012 e 13036/2012; v. anche, Corte costituzionale, n. 225 del 2005.
La CTR ha fatto corretto uso di tale principio, avendo, invero, affermato (alla luce della gravità delle
infrazioni evidenziate dai verificatori, tali da configurare presunzioni gravi, precise e concordanti), da
l’inattendibilità della documentazione prodotta a discarico dalla società.
Correttamente, inoltre, la CTR, a prescindere dalla rilevanza di siffatta questione (essendo, invero,
l’accertamento fondato su altri presupposti), ha affermato, comunque, la legittimità della presunzione
di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertatati, atteso il condiviso principio in
precedenza più volte enunciato da questa Corte, secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, quale quella di specie (costituita da
tre soci; fatto pacifico: v., in tal senso, lo stesso ricorso per Cassazione), è legittima la presunzione di
attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del
contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di
distribuzione,per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti; siffatta
presunzione non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito
dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla
ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal
caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (in senso conforme, v. tra le tante, Cass.
18640/2008; 9519/2009).
La censura (sollevata, peraltro, con motivo di ricorso ex art. 360 n. 3 cpc) concernente la valutazione
operata dalla CTR sul mancato superamento della presunzione di cui sopra attraverso le contestazioni
e produzioni avvenute in corso di giudizio impone a questa Corte una nuova e diversa valutazione del
fatto, inammissibile in questa sede, atteso il pacifico principio secondo cui nel giudizio di Cassazione
non è consentito alla parte censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali
contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al
fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal
giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella
sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di
merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e
delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

una parte, la correttezza della procedura di accertamento analitico-induttivo, e, dall’altra,

Con il terzo motivo di ricorso la società deduceva nullità della sentenza per erronea e falsa
applicazione di legge e valutazione delle prove poste a fondamento dell’avviso impugnato nonché
violazione dell’art. 8 comma 2 dpr 633/72; al riguardo rilevava che, in base al dettato di tale norma,
non era imposto al cedente alcun controllo di merito sulla sincerità della dichiarazioni di intenti.
Detto motivo è infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, a parere di questa Corte il cedente, nel ricorrere di
cessionario.
Per condiviso principio di questa Corte, invero, “in tema di Iva, la non imponibilità delle cessioni di
beni asseritamente destinati all’esportazione, subordinata dall’alt. 8, comma 1, lett c) del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633 alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario in ordine alla
destinazione del bene fuori del territorio della Comunità economica europea ed al possesso dei
requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni non sono
stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione è ideologicamente falsa, nel quale caso l’obbligo
del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui
risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che
la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode”

(Cass. 12751/2011).

Con il quarto motivo, deducendo -ex art 360, commi 1 e 3, violazione di legge e falsa applicazione di
legge in relazione all’art. 2909 cc, rilevava che la CTR non aveva considerato che con sentenze della
CTP di Milano, passate in giudicato, aventi ad oggetto accertamenti a carico della Aries per gli anni
d’imposta 1996 e 1997, era stata dichiarata l’impossibilità per la Aries di conoscere dell’eventuale
falsità delle dichiarazioni di intento poste alla base delle fatture in oggetto.
Anche siffatto motivo è infondato.
La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del
contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo
dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che,
estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari
all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente
permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai
diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli, quali, nel caso di specie, la
conoscenza o meno, da parte della ARIES, dell’eventuale falsità delle dichiarazioni di intento poste la
base delle fatture in questione (in senso conforme, v. Cass. 20029/2011).

determinati presupposti, è tenuto ad un controllo sulla dichiarazione di intenti rilasciata dal

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N. !.3

– N. 5

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al
pagamento dei compensi di lite relativi al presente giudizio di legittimità, liquidati come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi di lite relativi al
presente giudizio di legittimità, liquidati in complessivi euro 11.000,00, oltre spese prenotate a debito.

in Roma in ata 11-12-2012 nella Camera di Consiglio della sez. tributaria.

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