Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13288 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. III, 18/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 18/05/2021), n.13288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 36392/19 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliato a Cosenza, v. Giuseppe

Campagna n. 18, presso l’avvocato Silvana Guglielmo, che lo difende

in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 23.10.2019 n.

2023;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 gennaio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.V., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto, dopo essere stato assunto da una compagnia petrolifera, era rimasto ferito in seguito a un attacco ai pozzi gestiti dalla suddetta compagnia da parte della etnia (OMISSIS), da tempo in lotta con le popolazioni finitime per il controllo dei pozzi di petrolio. Decise allora di trasferirsi nel Nord del paese, nel quale tuttavia trovò l’ancor più grave rischio di attacchi terroristici da parte del gruppo fondamentalista (OMISSIS). Espatriò allora verso la Libia, dove subì – secondo quanto riferito nel ricorso – non meglio precisate “violenze” da parte di non meglio precisati “(OMISSIS)”, e decise allora di emigrare in Italia.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.V. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che la rigettò con ordinanza 13.4.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza 23.10.2019 n. 2023.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto “non risulta neppure allegata una situazione di emergenza tale da non offrire alcuna garanzia di vita”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.V. con ricorso fondato su sei motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

Sostiene – questo il nucleo della censura – che la Corte d’appello sarebbe incorsa in un error in procedendo, per non avere disposto l’audizione del richiedente, nonostante non fosse disponibile la videoregistrazione del colloquio dinanzi la commissione territoriale.

1.1. Il motivo è inammissibile per la novità della questione.

A pagina 5, primo capoverso, terzo rigo, del ricorso il ricorrente sostiene che doveva essere disposta la sua audizione “dinanzi al giudice almeno di primo grado”.

Tuttavia nè dal ricorso, nè dalla sentenza impugnata, risulta che tale questione sia stata proposta come motivo di impugnazione in grado di appello. Ciò rende inammissibile il motivo di ricorso, alla luce del principio secondo cui il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Sez. 1 -, Sentenza n. 25312 del 11/11/2020, Rv. 659577 – 01).

1.2. In ogni caso – lo si rileva ad abundantiam – il motivo sarebbe altresì inammissibile alla luce del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1 -, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982-01).

E nel caso di specie, in violazione dei suddetti oneri, il ricorso non contiene alcuna delle indicazioni appena elencate.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la “mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2”.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello “avrebbe dovuto, con l’utilizzo dei poteri officiosi ad essa attribuiti, meglio indagare sulle questioni che riguardano il paese di provenienza, sull’effettiva possibilità che il ricorrente potesse avere di essere tutelato nel suo paese, considerato che è ricercato dalla polizia ed è perseguito (sic) dagli appartenenti ad altra etnia, nonchè dagli usurai e dalla banca”.

2.1. Il motivo, alla luce del suo contenuto effettivo, va qualificato ex officio come denuncia della violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Esso è infondato, dal momento che la Corte d’appello, avendo ritenuto inattendibile il richiedente, non era tenuta alla suddetta indagine officiosa, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

3. Col terzo motivo il ricorrente censura il giudizio di inattendibilità del suo racconto formulato dalla Corte d’appello.

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto inattendibile il ricorrente senza interrogarlo nuovamente, e comunque sulla base d’una motivazione generica.

Il motivo è inammissibile perchè:

-) censura un apprezzamento di fatto;

-) non indica quali fatti, se interrogato, avrebbe potuto fornire a chiarimento;

-) non indica quali parametri del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, n. 5, sarebbero stati violati;

-) censura nel merito la valutazione di inattendibilità compiuta dalla Corte d’appello.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte del giudice di merito, del dovere di cooperazione istruttoria, con riferimento all’accertamento della sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nella regione di provenienza del richiedente, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

4.1. Il motivo è fondato.

La Corte d’appello, decidendo nel 2019, ha escluso la sussistenza nella regione di provenienza dell’odierno ricorrente di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (p. 6, sesto capoverso, della sentenza impugnata).

La Corte d’appello ha indicato in motivazione di avere ricavato tali conclusioni dalle seguenti fonti di informazione:

a) “le pubblicazioni dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati” (senza indicare quali, di che epoca e con quali contenuti);

b) un rapporto “Amnesty International” del 2015;

c) i “siti (web) ufficiali del Ministero degli affari esteri e dell’ECOI”;

d) “l’organismo Fund for Peace”;

e) un rapporto di Human Rights Watch del 2015;

f) l’Atlante Geopolitico Treccani;

g) il sito web “(OMISSIS)”.

4.2. Ciò posto, rileva questa Corte che D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, stabilisce che ciascuna domanda di protezione sia esaminata “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti (…) elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.

Due, quindi, sono i requisiti richiesti dalla legge: il primo è che le informazioni siano aggiornate; il secondo che provengano dalla Commissione Nazionale, o comunque siano state ricavate da quattro fonti ben precise: l’ONU, l’EASO, il Ministero degli affari esteri, gli enti di tutela dei diritti umani (ma solo se operanti a livello internazionale).

Nel caso di specie tale regola non è stata rispettata dalla Corte d’appello.

Delle fonti di informazione da questa utilizzate, infatti, alcune non rientrano tra quelle elencate dalla legge e non possono ritenersi attendibili (“(OMISSIS)”); altre sono attendibili, ma la sentenza impugnata non ne indica la data, il che impedisce di valutarne la pertinenza; due delle fonti indicate dalla Corte d’appello, infine, sono attendibili e la sentenza ne indica la data, ma proprio questa indicazione svela che una di esse è risalente di oltre due anni rispetto alla sentenza (il rapporto EASO di cui a p. 5 della sentenza, risalente al 2017); e l’altra di addirittura quattro (il rapporto Amnesty international, risalente al 2015).

4.3. La sentenza va dunque su questo punto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, la quale tornerà ad esaminare la domanda di protezione internazionale per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), utilizzando al fine di tale accertamento fonti di informazione che abbiano i requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

5. Il quinto motivo di ricorso, col quale il ricorrente lamenta l’erroneità del giudizio con cui la Corte d’appello ha escluso la sussistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, resta assorbito dall’accoglimento del motivo che precede.

6. Col sesto motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deduce, tra altre e non pertinenti osservazioni, che la Corte d’appello ha rigettato la sua domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari senza compiere alcun bilanciamento tra le condizioni di vita cui il ricorrente si troverebbe esposto in caso di rientro nel paese di origine, rispetto a quanto perderebbe lasciando l’Italia.

6.1. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del Paese di provenienza del richiedente.

Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel Paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.

6.2. Da ciò discendono due corollari.

Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dal richiedente protezione impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.

E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.

6.3. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertato d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente: a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente.

6.4. Nel caso di specie la Corte d’appello non si è attenuta a questi principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

In primo luogo, infatti, il giudice di merito ha rigettato la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari “anche alla luce della non completa credibilità delle sue dichiarazioni” (p. 7, penultimo capoverso, della sentenza impugnata).

In secondo luogo la Corte d’appello, pur avendo compiuto una disamina della situazione sociale, politica ed economica della Nigeria, l’ha fatto da un lato utilizzando fonti non aggiornate, come già rilevato; e dall’altro lato trascurando di accertare se i diritti inviolabili della persona siano o non siano, nel paese di provenienza del richiedente, gravemente compromessi in modo intollerabile.

6.5. La sentenza va dunque anche su questo punto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in differente composizione, la quale – nel caso di rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari indagando ex officio sulla esistenza o meno, in Nigeria, di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, ed avvalendosi a tal fine di fonti attendibili ed aggiornate.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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