Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13287 del 28/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 28/06/2016), n.13287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22573-2014 proposto da:

G.F., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA RADICOFANI 140, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA

LOVELLO, rappresentati e difesi dall’avvocato ENRICO SANTILLI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7464/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

27/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato ENRICO SANTILLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 16 aprile 2012 G.F. e L. R. proponevano opposizione all’esecuzione n. 859/2011 R.G.E. pendente presso il Tribunale di Roma, chiedendo la dichiarazione, ai sensi degli artt. 497 – 562 e 630 c.p.c., della inefficacia dei pignoramenti immobiliari che erano stati loro notificati (il 18 maggio 2011 al G. e il 13 maggio 2011 al L.) nonchè la conseguente dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva.

Adducevano di non essere debitori solidali rispetto al titolo esecutivo rappresentato da una sentenza della Corte dei Conti che li aveva condannati a pagare per responsabilità erariale la somma di Euro 1.497.725 oltre accessori, da dividere a metà per ciascuno – e di non avere beni in comproprietà. Dato atto che con separati atti di pignoramento erano stati pignorati immobili di loro proprietà, affermavano che, però, a seguito di questo era stata poi effettuata un’unica iscrizione a ruolo e presentata un’unica istanza di vendita.

Per l’inesistenza di separate iscrizioni a ruolo e di separate istanze di vendita i pignoramenti sarebbero pertanto divenuti inefficaci e la procedura esecutiva avrebbe dovuto essere dichiarata estinta.

Si costituiva l’opposto Ministero dell’Interno, resistendo.

Con sentenza del 27 marzo 2014 pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’opposizione, qualificandola come opposizione agli atti esecutivi tardivamente proposta ex art. 617 c.p.c..

2. Hanno presentato ricorso il G. e il L., sulla base di due motivi.

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c. in riferimento all’art. 557 c.p.c., art. 36 att. c.p.c., artt. 492, 562 e 630 c.p.c., per mancato deposito di istanza di vendita e di documentazione ipocatastale e cessazione di efficacia del pignoramento ex artt. 562 e 630 c.p.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia; il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c. in riferimento all’art. 569 c.p.c., comma 2, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Il Ministero dell’Interno si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

Il primo motivo si fonda sull’asserto che nell’atto di opposizione gli attuali ricorrenti non abbiano agito ex art. 617 c.p.c. – come ritenuto dal Tribunale nella sentenza impugnata bensì per evidenziare l’inidoneità dell’unica istanza di vendita a dare impulso alla successiva fase esecutiva. Poichè erano stati effettuati due pignoramenti immobiliari, avrebbero dovuto essere iscritti al ruolo due procedimenti, e quindi avrebbero dovuto essere presentate due istanze di vendita, con distinti depositi della relativa documentazione ipocatastale. Ciò non essendo avvenuto, sarebbe stato violato il termine perentorio di cui all’art. 497 c.p.c. Inoltre, l’eccezione di estinzione così proposta dagli attuali ricorrenti non sarebbe stata di natura tale da doversi proporre ex art. 617 c.p.c., dovendosi invece proporla come istanza di dichiarazione di estinzione nella prima difesa successiva al fatto estintivo, vale a dire all’udienza per la fissazione della vendita.

Nel caso di specie, sarebbe stata chiesta soltanto, d’altronde, una pronuncia di estinzione ex artt. 562 e 630 c.p.c.: ma il Tribunale, non considerando l’istanza di estinzione, avrebbe fornito una motivazione inesistente su un fatto decisivo della controversia.

Nel motivo vengono richiamate varie norme. Anzitutto si invoca l’art. 497 c.p.c. – per cui il pignoramento perde efficacia quando da esso decorrono novanta giorni senza che sia chiesta l’assegnazione o la vendita – che è norma di disciplina generale in ordine alle procedure esecutive. Inoltre, dalla normativa specifica dell’espropriazione immobiliare (art. 555 c.p.c. e ss.), i ricorrenti estraggono all’art. 557 c.p.c. e art. 36 disp. att. c.p.c. – che regolano la formazione del fascicolo dell’esecuzione – e l’art. 562 c.p.c. – che stabilisce la cancellazione della trascrizione se il pignoramento diventa inefficace per il decorso del termine di cui all’art. 497 c.p.c. -. A proposito poi dell’estinzione del processo esecutivo (art. 629 c.p.c. e ss.) viene richiamato l’art. 630 c.p.c. che stabilisce che tale processo si estingue quando le parti non lo proseguono o non lo riassumono nel termine perentorio dettato dalla legge o fissato dal giudice. E in realtà, nessuna di queste norme inficia il ragionamento del giudice di merito per quanto riguarda l’insussistenza dei presupposti di dichiarazione di estinzione del processo esecutivo, sulla quale il Tribunale fornisce una motivazione tutt’altro che inesistente, pur nella sua concisione conforme al tipo di pronuncia correttamente adottato (la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c.).

La sentenza impugnata, invero, si fonda su due rationes decidendi.

Dopo avere qualificato l’azione degli attuali ricorrenti una tardiva opposizione agli atti esecutivi, considera pure, comunque, la questione dell’estinzione – cui appunto i ricorrenti, come sopra si è visto, in luogo dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. argomentano per ricondurre la loro iniziativa oppositiva -, affermando che “infondata è anche l’eccezione di estinzione” perchè i suddetti la voglion “ricondurre non alla mancanza dell’istanza di vendita o della documentazione ipocatastale per ciascun debitore, come impulso processuale, ma alla semplice, quanto irrilevante, compresenza delle stesse in un unico documento”. Così, sinteticamente ma condivisibilmente, il Tribunale nega che l’unicità dell’istanza provochi la cessazione dell’impulso processuale e quindi l’estinzione del processo per inattività di parte.

In effetti, il motivo si nutre di un evidente formalismo – la cui natura, non si può non notare per inciso, è strettamente prossima all’abuso del processo -, che mira ad equiparare quella che correttamente il Tribunale definisce compresenza delle istanze di vendita relative agli attuali ricorrenti alla mancanza di ogni istanza di vendita nei loro confronti: e analogo, formalistico ragionamento viene intessuto per l’iscrizione a ruolo di un’unica procedura. Nessuna norma del codice di rito, e tantomeno quelle invocate dal motivo, vieta la riunione in un’unica procedura delle conseguenze di due distinti pignoramenti provenienti dallo stesso titolo esecutivo, ovvero impone – in contrasto tra l’altro con il generale principio dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo intesa nel senso della sua ottimale semplificazione – la rovina, per dir così, di tutta l’esecuzione semplicemente perchè, visto che l’esecuzione stessa deriva da un unico titolo esecutivo nei confronti di debitori diversi, atti di impulso come l’istanza di vendita vengono accorpati in un unico atto (e, a priori, si effettua un’unica iscrizione a ruolo). Come se – si ripete – il principio generale della possibilità di riunire più procedimenti per economia processuale non fosse applicabile alla procedura esecutiva, e anzi in questa un accorpamento abbia un effetto esiziale, nonostante che, si ripete ancora, non vi sia norma che ciò stabilisca introducendo nel sistema una drastica eccezione al suddetto principio.

E infatti, pure la giurisprudenza richiamata nel motivo (Cass. 16 giugno 2003 n. 9624 e Cass. 6 agosto 2010 n. 18366) non concerne un siffatto – logico e agevolativo – accorpamento, bensì le ipotesi di assenza o di tardività dell’istanza di vendita: ipotesi di natura radicalmente diversa.

Poichè, poi, la sentenza si regge autonomamente, e come si è appena visto fondatamente, su una ratio decidendi ulteriore rispetto a quella – di tardività dell’opposizione – che il giudice di merito ha fondato sull’art. 617 c.p.c., quel che il motivo adduce riguardo all’opposizione agli atti esecutivi (e in particolare sulla non proponibilità mediante tale strumento della eccezione di estinzione della procedura esecutiva) non ha alcun rilievo.

In conclusione, il motivo è infondato.

3.2 Il secondo motivo, dato atto di tener fermo il primo, adduce che l’opposizione non sarebbe stata comunque riconducibile all’art. 617 c.p.c.. All’udienza dell’8 novembre 2011, riguardante le opposizioni a precetto presentate dagli attuali ricorrenti, sarebbero stat chiamati subprocedimenti da considerare separati dal processo esecutivo immobiliare, per c non vi era attività da cui far derivare la conoscenza legale del vizio endoprocedimenta intervenuto dopo la notifica del precetto e del pignoramento, all’interno del fascicolo di esecuzione. Pertanto i ricorrenti non avrebbero conosciuto tale vizio entro l’udienza di cui all’art. 569 c.p.c., comma 2, per cui, se avessero effettivamente proposto opposizione ex art. 617 c.p.c., questa sarebbe stata tempestiva. Ma sulla tempestività nella sentenza impugnata non vi sarebbe motivazione, perchè il giudizio di inammissibilità sarebbe stato ancorato dal Tribunale ai termini decadenziali decorrenti dalla notifica del precetto e/o del pignoramento, laddove il dies a quo avrebbe dovuto essere la maturazione del termine ex art. 497 c.p.c. per il deposito di istanza di vendita.

Per quanto si è osservato nel primo motivo, non si comprende quale interesse dei ricorrenti sorregga effettivamente questo secondo, il quale non soltanto riguarda una sola delle due rationes decidendi dell’impugnata sentenza, ma proprio, in conclamata contraddittorietà difensiva, quella ratio decidendi che gli stessi ricorrenti – i quali, si noti, nell’incipit di questo motivo subito puntualizzano che mantengono fermo il motivo precedente – ritengono del tutto infondata. Risulta pertanto una censura inammissibile.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 18.000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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