Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13287 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 01/07/2020), n.13287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30604-2018 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRENTA 2-A,

presso lo studio dell’avvocato STOPPANI ISABELLA MARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIOLI FRANCO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato MAZZA GIANFRANCO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato URSINO ANNA MARIA ROSARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 675/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIGNA

MARIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di un incendio verificatosi nel 1977 nel fienile di una cascina sita in Paderno Ponchielli, di proprietà di R.S. e R.F., domato con l’intervento dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri, le pubbliche Autorità, ritenuto necessario spostare il fieno, chiesero l’intervento di trattori con rimorchi; C.P., amico dei proprietari della cascina, mise a disposizione il proprio trattore, guidato dal suo dipendente G.L.; quest’ultimo, però, nell’eseguire l’intervento, urtò un muro del fienile, provocando il crollo dello stesso e la morte (tra gli altri) di C.E., di professione portalettere, che si trovava nell’occasione a ridosso del muro.

In relazione a tale fatto furono iniziati procedimento penale, conclusosi con l’affermazione della responsabilità di G.L., nonchè tre procedimenti civili, poi riuniti; in particolare, per quanto ancora rileva, Poste Italiane SpA, avendo pagato, quale assicuratore ex lege dei propri dipendenti (e quindi anche di C.E.), agli eredi della vittima la somma di lire 53.673.365 (pari alla capitalizzazione della rendita agli stessi spettante), agì in rivalsa ex art. 1916 c.c. nei confronti di C.P. e G.L., quali terzi responsabili del danno.

Con sentenza 30-3-2006 il Tribunale civile di Brescia, accertata la responsabilità al 50% di G.L. e C.P. (nonchè quella al 20% della stessa vittima ed al 30% dei fratelli R.), accolse la domanda di rivalsa e condannò P.A. e G.M., quali eredi del G. (nel frattempo deceduto), e C.P., in solido tra loro, a pagare a Poste Italiane SpA la somma di Euro 27.720,78 (pari a lire 53.673.365).

Con sentenza 27-1-2012 la Corte d’Appello di Brescia confermò la decisione in primo grado; in particolare; la Corte evidenziò che la responsabilità del G. era ormai passata in giudicato, mentre quella del C. discendeva dall’art. 2049 c.c., essendo il datore di lavoro responsabile del fatto illecito commesso dai suoi dipendenti.

Con sentenza 16861/2016 la Corte di Cassazione, in parziale accoglimento del ricorso proposto da P.A. e G.M. (quali eredi di G.L.) e da C.P., ha cassato, in relazione ai motivi accolti, l’impugnata sentenza, rinviando, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione; nello specifico la Corte di legittimità, dopo avere ribadito i propri principi in ordine alla responsabilità ex art. 2049 c.c. (e, in particolare che essa postula l’esistenza di un nesso di “occasionalità necessaria” tra l’illecito e il rapporto di lavoro, nel senso che le mansioni affidate al dipendente devono avere reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno al terzo), ha rilevato che nella specie la Corte di merito, nell’affermare la responsabilità solidale del C., si era limitata a sostenere apoditticamente che la stessa “deriva oggettivamente dall’art. 2049 c.c. nella sua qualità di datore di lavoro del responsabile materiale del fatto”, ritenendo “irrilevante la circostanza che l’intervento della sua impresa per trasportare altrove il fieno contenuto nell’edificio incendiato fosse stato richiesto dalle pubbliche autorità”; al riguardo ha quindi precisato che siffatta motivazione era estremamente insufficiente e incongrua ed evidenziava il non sufficiente esame di alcuni punti decisivi della controversia prospettati dai ricorrenti; in particolare la circostanza che la richiesta di trasportare altrove il fieno fosse stata fatta dalle pubbliche autorità presenti ed il fatto che l’attività svolta nell’occorso dal G. esulasse dal normale rapporto di lavoro.

Con sentenza 675/2018 del 13-4-2018 la Corte d’Appello di Brescia, in sede di giudizio di rinvio, ha condannato C.P. a corrispondere a Poste Italiane SpA la somma di Euro 27.720,78, oltre rivalutazione ed interessi nella misura indicata nella sentenza di primo grado; in particolare la Corte d’Appello, sempre per quanto ancora rileva, ha confermato la responsabilità ex art. 2049 c.c. di C.P. per il fatto illecito commesso dal suo dipendente G.L.; nello specifico ha ritenuto che, come desumibile dal rapporto giudiziario 26-7-1977 dei c.c. di Casalbuttano e come ammesso dalla stessa difesa del C., quest’ultimo, amico dei proprietari della cascina, non era stato destinatario di alcun ordine da parte delle autorità presenti sul posto (che avevano rivolto l’ordine ai proprietari della cascina), ed aveva deciso di sua iniziativa (non coartata dall’Autorità e scevra da qualsiasi interferenza o condizionamento di quest’ultima) di collaborare nelle operazioni di sgombero delle macerie, mettendo a disposizione un trattore ed un conducente, pacificamente suo dipendente; ciò posto, ha quindi concluso che tra le mansioni affidate al suo dipendente G.L. e l’evento dannoso in questione ricorresse un rapporto di occasionalità necessaria, atteso che le incombenze assegnate (la guida del trattore) avevano reso possibile (o comunque agevolato) il comportamento produttivo del danno al terzo.

Avverso detta sentenza C.P. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.

Poste Italiane SpA resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e falsa applicazione degli artt. 2049 e 2909 c.c. in relazione agli artt. 384 e 394 c.p.c., si duole che la Corte territoriale, in sede di rinvio, abbia male interpretato la sentenza di legittimitàt e non si sia uniformata al principio di diritto nella stessa contenuto (e cioè, a suo dire, “l’inapplicabilità dell’art. 2049 c.c. al caso di specie”), al quale doveva invece uniformarsi; in particolare lamenta che la Corte territoriale, stravolgendo quanto affermato in sede di legittimità, abbia ritenuto che l’ordine di sgombero sia stato rivolto solo alla proprietà R. e che il C. si sia offerto volontario; in tal modo la Corte territoriale, non considerando l’unicità del fatto, ha scisso e separato due circostanze fattuali che dovevano invece considerarsi la medesima cosa; sostiene, in ogni modo, che i compiti di sgombero esulavano da un normale rapporto di lavoro ed evidenzia che la S.C. (ed ancor prima la Corte territoriale) aveva affermato, con efficacia di giudicato, che vi era stato un ordine, rivolto genericamente ai presenti, per rendersi disponibili con un trattore.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5- omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte territoriale in sede di rinvio non abbia considerato se il G. ed il C. avessero ricevuto un ordine per l’attività di sgombero e se il G. avesse operato nell’ambito di un rapporto di lavoro con il C..

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando -ex art. 350 n. 3 c.p.c.- violazione e falsa applicazione degli artt. 2045 e 2049 c.c., art. 54 c.p. e artt. 113,115 e 116 c.p.c., si duole che la Corte non abbia considerato che il G. ed il C. avevano agito per stato di necessità e su ordine o consenso implicito delle Autorità intervenute, al fine di scongiurare gravi danni alle persone per il pericolo di crollo; in particolare sostiene che il G. non stava svolgendo alcuna attività lavorativa e stava perseguendo attività estranee al rapporto lavorativo, mentre il C., spontaneamente o meno, aveva solo scelto di collaborare con l’Autorità in adempimento di un dovere civico.

I primi due motivi, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte territoriale in sede di rinvio si è adeguata al “dictum” della sentenza della S. C. 16861/2016; quest’ultima, invero, non aveva stabilito che l’art. 2049 c.c. non fosse applicabile al caso di specie, ma, dopo avere ribadito, in diritto i principi della giurisprudenza di legittimità in ordine all’art. 2049 c.c. (e, in particolare, la necessaria sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rapporto di lavoro), aveva solo evidenziato una insufficiente motivazione; in particolare, infatti, a giudizio della S.C., la sentenza 27 gennaio 2012 della Corte d’Appello di Brescia si era limitata a sostenere apoditticamente che la responsabilità del C., datore di lavoro del responsabile materiale del fatto, derivasse oggettivamente dall’art. 2049 c.c., senza invece sufficientemente esaminare sia il fatto che la richiesta di trasportare altrove il fieno fosse stata fatta dalle pubbliche autorità presenti sia il fatto che l’attività svolta nell’occorso dal G. esulasse dal normale rapporto di lavoro.

La Corte territoriale, in ossequio al dictum di cui sopra, ha integrato la motivazione, prendendo espressamente in considerazione le dette circostanze;

al riguardo, in esito a valutazione delle risultanze istruttorie (di per sè insindacabile in sede di legittimità), ha concluso, da un lato, ritenendo non essere mai intervenuto un ordine diretto dalla Pubblica Autorità specificamente al C., e, dall’altro, affermando essere stato quest’ultimo (come da egli stesso allegato) a decidere di mettere a disposizione un trattore ed un conducente (il G., pacificamente suo dipendente), con conseguente sussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra l’attività posta in essere dal G. ed il rapporto di lavoro tra il G. ed il C.; al riguardo va solo evidenziato non essere implausibile, atteso appunto il rapporto di lavoro dipendente tra il G. ed il C., che sia stato quest’ultimo, proprio nell’ambito del detto rapporto, a chiedere al G. di condurre il trattore, e che comunque in tal caso non vengono meno le responsabilità del C. per fatto illecito del proprio dipendente.

Il terzo motivo è inammissibile, sia per le considerazioni di cui sopra sia perchè si risolve, sub specie di violazione di legge, in una censura in fatto (come tale inammissibile in sede di legittimità) sulla ricostruzione operata dalla Corte territoriale in sede di rinvio.

In ogni modo, in particolare, non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso, regime.

Nè sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo (e non è il caso di specie) denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli.

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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