Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13286 del 28/06/2016

Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 21/04/2016, dep. 28/06/2016), n.13286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3431-2014 proposto da:

G.A.O., (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA VECCHIA 732/D, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO BRACCO, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO SANTINI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., C.F., B.I., A.

A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1523/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato ENRICO BRACCO per delega non scritta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Avendo G.A.O. citato davanti al Tribunale di Bassano del Grappa i propri colleghi di lavoro – dipendenti dell’Ospedale Civile di (OMISSIS) – M.G., C. F., B.I. e A.A.M. perchè fossero condannati a risarcirgli i danni morali a lui derivati da una missiva diffamatoria da loro inviata al Direttore del Servizio Farmaceutico e al Direttore Medico del suddetto ospedale, ed essendosi questi costituiti resistendo, con sentenza del 9 giugno 2009 l’adito Tribunale respingeva la domanda attorea.

Proponeva il G. contro tale sentenza appello, che la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 29 maggio-24 giugno 2013, rigettava.

2. Ha presentato ricorso il G., sulla base di tre motivi, tutti e tre denuncianti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, motivazione inidonea a esternare il percorso logico seguito dal giudice: il primo quanto all’affermazione che la lettera non aveva contenuto diffamatorio, il secondo quanto all’accertamento che le dichiarazioni del dottor Bo. – responsabile del Servizio Farmaceutico Ospedaliero – non erano strumentali ovvero dirette a sminuire la portata diffamatoria della missiva, e il terzo per l’affermazione che quest’ultima costituiva soltanto una comunicazione interna.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Come si è già visto nella sintesi sopra tracciata, tutti i motivi presentano la stessa conformazione quanto alla rubrica, denunciando, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, una motivazione inidonea a consentire di comprendere l’iter logico seguito dal giudicante – in riferimento a tre diversi, per quanto connessi, accertamenti – in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 att. c.p.c. Si tratta, evidentemente, di un tentativo di eludere l’assoggettamento del ricorso al testo vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la sentenza impugnata risale al 2013, e dunque è stata pronunciata nel vigore della riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134 -, per ritornare al previgente dettato che consentiva una valutazione più ampia dell’adempimento, da parte del giudice di merito, del suo obbligo motivazionale (cfr. tra gli arresti massimati sul ridotto ambito del vizio motivazionale attualmente vigente – sulla scorta di S.U. 7 aprile 2014 n.8053 -, S.U. 7 aprile 2014 n.8054, Cass sez 6-3, ord. 8 ottobre 2014 n.21257, Cass. sez. 6-3, ord. 27 novembre 2014 n. 25216 e Cass. sez. 6-3, ord. 6 luglio 2015 n.13928).

Inoltre, in tutti i tre motivi, il ricorrente non si limita a denunciare vizi motivazionali, e neppure nella forma previgente, ma, come ora si verrà a evidenziare, propone censure direttamente fattuali, perseguendo dal giudice di legittimità una revisione degli accertamenti di merito e dunque inammissibilmente travalicando i confini della sua cognizione.

3.2 Il primo motivo, allora, lamenta che non si comprenderebbe come il giudice di merito sia giunto ad affermare che la lettera del 30 maggio 2003 – cioè la missiva che il G. aveva addotto essere diffamatoria, ponendola quindi a base della sua domanda di risarcimento diffamatoria non sarebbe stata. Propone, pertanto, il motivo una valutazione alternativa sul piano fattuale, adducendo che non si sarebbero tenuti in conto alcuni elementi così da giungere “a conclusioni del tutto opposte a quelle emergenti”. Il che, ovviamente, non può definirsi un difetto di incomprensibilità dell’iter logico del giudice, bensì la denuncia di una pretesa inadeguata valutazione del compendio probatorio.

Il motivo, poi, prosegue – sempre su un piano direttamente fattuale –

adducendo che il limite di continenza del diritto di critica sarebbe stato superato con un’aggressione verbale al G. attuata nella lettera, e indicando a sostegno di tale asserzione, come prova del superamento suddetto, dichiarazioni del dottor Bo., responsabile del Servizio Farmaceutico Ospedaliero nell’ospedale in cui lavoravano l’attuale ricorrente e i pretesi diffamatori. E riconsidera la censura in esame il contenuto della lettera del 30 maggio 2003 per dimostrarne la natura diffamatoria, e per concludere che non si comprende “in base a quale regola logica la Corte arrivi a negare la portata diffamatoria della missiva”.

Tutto ciò, chiaramente non significa individuare carenze logiche o argomenti razionalmente insostenibili nella motivazione (a prescindere dal dettato qui applicabile dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè il testo vigente, come più sopra si è evidenziato), bensì conduce a manifestare una non condivisione dell’accertamento di per sè, sulla base di una diversa lettura degli elementi probatori, ovvero a chiedere al giudice di legittimità di effettuare una propria valutazione degli elementi probatori, attività che invece è istituzionalmente riservata al giudice di merito (cfr. da ultimo, p. es., Cass. sez. 6 – 5, ord. 8 gennaio 2015 n. 101, Cass. sez.6-5, ord. 26 gennaio 2015 n. 1414; Cass. sez.2, 17 novembre 2005 n. 23286).

Il primo motivo, pertanto, non ha consistenza.

3.3 Il secondo motivo, nella sua impostazione, non si differenzia in misura apprezzabile dal precedente.

Al giudice d’appello si addebita anzitutto l’avere scambiato la lettera del 30 maggio 2003 – cioè quella che secondo il ricorrente sarebbe la missiva diffamatoria – con la lettera del 25 novembre 2005 inviata dagli appellati al Direttore del Servizio Farmacia e al Direttore medico dell’Ospedale Civile di Bassano del Grappa:

quest’ultima lettera, adduce il ricorrente, in realtà non esiste, dal momento che la lettera del 25 novembre 2005 è stata inviata dal dottor Bo. al ricorrente stesso e il contenuto di essa smentisce le accuse mossegli dai suoi colleghi sulle sue modalità di svolgimento dei compiti lavorativi.

E’ vero che (nella seconda pagina della motivazione) la corte territoriale ha fatto riferimento, come missiva asseritamente diffamatoria inviata dagli appellati al Direttore del Servizio Farmaceutico e al Direttore Medico dell’ospedale, a una lettera del 25 novembre 2005: in questo passo, peraltro, è incorsa in un evidente mero errore materiale, poichè nella pagina precedente aveva richiamato proprio il “contenuto diffamatorio della missiva 30.5.2003 indirizzata dai convenuti al Direttore del Servizio farmaceutico e al Direttore Medico dell’Ospedale Civile di (OMISSIS) presso il quale tutte le parti prestavano servizio nel 2003”. E tale errore materiale, d’altronde, non apporta conseguenza alcuna nel successivo sviluppo degli argomenti motivazionali.

Nella sua seconda parte, il motivo torna a impetrare dal giudice di legittimità una revisione dell’accertamento di merito, imputando alla corte territoriale un malgoverno degli esiti probatori. In particolare, la corte avrebbe travisato quelli che senza specificità sono indicati come i “documenti allegati”, per quanto il preteso travisamento venga subito dopo identificato nella omissione della loro valutazione (che, ovviamente, è cosa diversa dal fraintendimento proprio del travisare). La corte avrebbe effettuato una palese strumentalizzazione della dichiarazione resa dal Bonn il 21 dicembre 2007 durante il giudizio di primo grado per “attutire la portata denigratoria” dell’esposto dei colleghi del G. nel Servizio Farmacia dell’ospedale, “con ciò confermandone la gravità e l’intenzionalità denigratoria”.

Si tratta di un’evidente non condivisione fattuale di un elemento probatorio: si addebita al giudice d’appello di averlo stimato contrario all’intento di denigrazione lamentato dal G. come presente nella lettera dei suoi colleghi del 30 maggio 2003, e si oppone che, invece, il significato di tale elemento era l’esatto opposto, cioè corroborava il suddetto intento denigratorio e pure la sua gravità.

Anche questo motivo, dunque, non ha pregio.

3.4 Il terzo motivo, infine, censura la valutazione espressa dal giudice d’appello in ordine alla lettera del 30 maggio 2003, nel senso che questa fosse una mera comunicazione interna che rappresentava in modo pacato la difficoltà della situazione nel servizio farmaceutico dell’ospedale, argomentando anche in questo caso il ricorrente sulla base degli elementi probatori che il giudice non avrebbe ben considerato.

In quanto inequivocamente diretto ad ottenere un terzo grado di merito mediante una revisione fattuale da parte del giudice di legittimità, il motivo risulta inammissibile.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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