Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13284 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27286/2006 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIVININI

12, presso lo studio dell’avvocato CASSIANO Massimo, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FIORIO VALENTINO,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL

LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo

studio degli avvocati, ROMEO Luciana, LA PECCERELLA LUIGI che lo

rappresentano e difendono, giusta procura speciale Atto Notar CARLO

FEDERICO TUCCARI di ROMA del 18/10/2006, rep. n. 71850;

– controricorrente –

e contro

FIAT AUTO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE N. 21/23,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO e

ROPOLO LUCA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1478/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/10/2005 R.G.N. 491/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato ROMEO LUCIANA per INAIL;

udito l’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO x FIAT auto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 6 ottobre 2005, la Corte d’appello di Torino ha respinto l’appello proposto avverso la sentenza in data 20 settembre 2004, con la quale il Tribunale della medesima città aveva accolto la domanda di B.S. nei confronti di INAIL relativa alla costituzione di una rendita vitalizia per la malattia professionale contratta nello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato intercorso con Fiat auto s.p.a. dal 1961 al 1986, mentre ha respinto la domanda svolta nei confronti di tale società, di risarcimento del danno differenziale conseguente alla indicata malattia, imputabile alla responsabilità per colpa della società.

In proposito, ritenendo che la prescrizione del diritto a tale risarcimento decorra dalla manifestazione della malattia professionale, indipendentemente dalla conoscenza effettiva che il lavoratore abbia della sua origine, la Corte territoriale ha infatti accertato l’intervenuta prescrizione decennale del diritto al risarcimento azionato nei confronti della società.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso B.S., chiedendone la cassazione con due motivi.

Ha resistito alle domande la Fiat auto con rituale controricorso, illustrato poi con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Si è costituito nel presente giudizio anche l’INAIL con controricorso, ribadendo la propria estraneità all’attuale contenzioso, a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia relativa all’accoglimento della domanda svolta nei suoi confronti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso la difesa di B.S. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2697 cod. civ., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Riprendendo una tesi svolta nei gradi di merito, il ricorrente sostiene infatti che la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni conseguenti ad una malattia professionale decorre dal momento in cui il titolare del diritto abbia avuto conoscenza – o comunque la conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza – che la malattia sia imputabile al comportamento doloso o colposo di un terzo, conoscenza o conoscibilità che era onere della società provare.

Tale prova sarebbe mancata nel presente giudizio, nel quale viceversa non difetterebbero elementi indiziari del fatto che il ricorrente non avrebbe conosciuto l’origine professionale della malattia prima della relativa domanda svolta all’INAIL, oltre dieci anni dopo l’insorgere della stessa.

2 – Col secondo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 c.p., art. 589 c.p., u.c. e art. 590 cod. pen. nonchè art. 2947 cod. civ., comma 3 e art. 157 c.p..

In proposito, il ricorrente ribadisce la tesi, già respinta dalla Corte d’appello, secondo cui comunque nel caso in esame la prescrizione sarebbe stata di quindici anni.

Essendo infatti deceduto, per la medesima malattia contratta nelle lavorazioni indicate in giudizio, almeno un altro lavoratore, il complessivo comportamento dei responsabili FIAT integrerebbe gli estremi di un reato continuato di omicidio e questo, in base all’art. 157 c.p. si prescriverebbe in quindici anni, termine applicabile anche alla relativa azione civile di danni, ai sensi dell’art. 2957 c.c., comma 3.

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, confermando la sentenza di primo grado che aveva accolto l’eccezione di prescrizione decennale proposta dalla Fiat sulla base dell’accertamento che la malattia del lavoratore era stata diagnosticata in termini di certezza nel settembre 1990, che la sua origine professionale era desumibile alla stregua delle normali conoscenze dell’epoca e che pertanto da tale data doveva ritenersi decorrere la prescrizione, ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati in materia da questa Corte desumibili dalla disciplina di legge della materia.

Ed invero, secondo la regola generale di cui all’art. 2935 cod. civ., applicabile al caso in esame, “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

In proposito, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 8 luglio 2009 n. 15991, 28 luglio 2004 n. 14249, 23 luglio 2003 n. 11451) “l’impossibilità di far valere il diritto alla quale l’ari. 2935 cod. civ., attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ., prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto nè il dubbio soggettivo sulla esistenza di quest’ultimo”.

Applicando il principio all’ipotesi rappresentata in giudizio dal B., di una malattia causata al dipendente nell’espletamento del lavoro dal comportamento colposo del datore di lavoro, il diritto al conseguente risarcimento del danno può essere fatto valere fin dal momento in cui l’origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle effettive valutazioni soggettive dello stesso (cfr. Cass. 18 settembre 2007 n. 19355, 29 agosto 2003 n. 12666 e, in un ambito diverso, in cui peraltro è egualmente in gioco, ai fini considerati, la possibile conoscenza di circostanze esterne al soggetto, Cass. 29 settembre 2009 n. 20853, che si esprime in termini di “apprezzabile grado di conoscenza oggettiva”).

Valutando che la piena conoscibilità da parte del ricorrente della origine professionale della malattia si sia realizzata oggettivamente dal momento in cui questa era stata con certezza diagnosticata, la sentenza impugnata esprime un giudizio di fatto in applicazione delle regole di legge enunciate, il quale si sottrae pertanto alle censure in esame.

Con riguardo al secondo motivo, va premesso che nel presente processo non è stata mai prospettata dal ricorrente l’ipotesi di un comportamento doloso della datrice di lavoro come causa dell’evento dannoso.

Trattandosi pertanto di una ipotesi di comportamento riconducibile semmai ad una fattispecie di delitto colposo di lesioni, in relazione ad esso non è ipotizzabile la continuazione di cui all’art. 81 cpv.

c.p. con altri delitti (cfr. Cass. pen. 29 novembre 2006 n. 3579).

Ne consegue che non appare sostenibile il ragionamento svolto dal ricorrente col motivo in esame, collegando, ai sensi e per gli effetti dell’art. 81 cpv. c.p., tale comportamento ad un altro riconducibile alla fattispecie del delitto di omicidio colposo che sarebbe stato commesso dalla società nell’adibire altro lavoratore al medesimo ambiente lavorativo nocivo, al fine di sostenere che la prescrizione sarebbe nel caso in esame di quindici anni a norma del combinato disposto dell’art. 157 c.p.c. e art. 2937 cod. civ., comma 3.

Concludendo, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va pertanto respinto.

Nessuna pronuncia è dovuta nei riguardi dell’INAIL, non investito da alcuna domanda in questa sede.

Ragioni di equità e la suggestione probabilmente esercitata dalla diversità di regime giuridico della prescrizione in ipotesi particolari concorrono alla decisione di compensare integralmente tra le parti delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

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