Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13283 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27168/2006 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 38, presso lo studio dell’avvocato MANDARA GIUSEPPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PEZZANO Giuseppe, giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.P.R.O.L. – ASSOCIAZIONE PRODUTTORI OLIVICOLI DELLA PROVINCIA DI

FOGGIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo

studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentata e difesa

dall’avvocato FARES MICHELE, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

OLEIFICIO COOPERATIVO SAN TRIFONE S.C.A.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2229/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/10/2005 R.G.N. 1228/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 3 ottobre 2005, in parziale accoglimento delle domande svolte da D. F., respinte dal Tribunale di Foggia, ha condannato l’Oleificio San Trifone soc. coop. a r.l. a pagargli la complessiva somma di Euro 21.483,65, oltre accessori di legge, confermando viceversa la decisione di rigetto delle domande azionate dal D. nei confronti dell’Associazione produttori olivicoli della Provincia di Foggia (APROL).

Col ricorso ex art. 414 c.p.c., il D., deducendo di aver lavorato alle dipendenze della cooperativa Oleificio San Trifone dal 15 marzo al 21 settembre 1993, transitando quindi alle dipendenze della APROL per effetto dell’affitto per un anno dell’azienda olearia dalla prima società alla seconda e ritornando infine alle dipendenze della San Trifone al momento della cessazione dell’affitto e fino al 30 novembre 1994, quando era stato licenziato, aveva chiesto la condanna delle due convenute, in via tra di loro solidale, a pagargli la complessiva somma di Euro 81.092.374 a titolo di differenze retributive e di t.f.r..

Viceversa, la Corte territoriale ha accolto le domande svolte nei confronti della cooperativa in ragione della piena confessione da parte del suo liquidatore dei fatti costitutivi dei diritti verso di essa azionati, mentre ha accertato che l’associazione affittuaria dell’azienda aveva assunto il D. con contratto a termine unicamente per il periodo dal 12 novembre 1993 all’11 maggio 1994, rapporto che era stato poi risolto anticipatamente un mese prima della scadenza ed ha ritenuto altresì non provate le mansioni pretesamente superiori indicate come svolte dall’appellante e gli orari di lavoro da questi esposti.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione D. F., affidandolo a due motivi.

Resiste alle domande la APROL con rituale controricorso.

L’Oleificio cooperativo San Trifone s.c. a r.l., ritualmente intimata, non ha svolto difese in questa sede di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, D.F. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2736 c.c., artt. 233 e 437 c.p.c., nonchè l’omessa motivazione e l’omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia.

La Corte d’appello di Bari avrebbe infatti omesso di esaminare la richiesta dell’appellante di ammissione del giuramento decisorio del liquidatore della cooperativa Oleificio San Trifone sui fatti costitutivi dei diritti azionati dall’originario ricorrente.

Il motivo conclude con la formulazione di un quesito di diritto, non necessario ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e art. 27, comma 2, trattandosi di ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza depositata in data antecedente al 2 marzo 2006.

Il motivo è infondato.

I giudici di merito hanno infatti acquisito certezza dei fatti costitutivi dei diritti azionati dal D. nei confronti della cooperativa per l’ammissione degli stessi da parte del liquidatore di tale società in sede di risposta all’interrogatorio, ritenendo pertanto implicitamente inutile l’ammissione del richiesto giuramento decisorio su tali fatti e condannando conseguentemente l’Oleificio con sentenza sul punto divenuta irrevocabile in quanto non impugnata.

Deriva da tale situazione la mancanza di interesse del ricorrente a contestare tale implicita decisione, non potendo dall’ammissione del richiesto giuramento derivare al ricorrente vantaggi diversi e maggiori rispetto a quelli ottenuti nei confronti dell’Oleificio.

Ma il capitolato del giuramento decisorio di cui era stata richiesta l’ammissione (e riprodotto integralmente nel ricorso) riguarda anche fatti costitutivi dei diritti azionati da D.F. nei confronti della APROL, quali ad esempio il fatto che il rapporto di lavoro di questi fosse proseguito con tale associazione dopo l’affitto dell’azienda olearia della cooperativa o il contenuto delle mansioni svolte dall’appellante anche nei rapporti con l’associazione etc..

In proposito, l’implicita decisione dei giudici dell’appello di non ammettere il giuramento nella parte che interessava la posizione del D. nei confronti dell’associazione si spiega con l’evidente inammissibilità dello stesso.

Il giuramento decisorio deferito dall’appellante al liquidatore della cooperativa in buona parte su mere valutazioni richieste al giurante e comunque non verteva infatti su fatti propri del giurante, ma su fatti altrui, in particolare fatti riguardanti l’APROL. In proposito, costituisce oggetto di un orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr., da ultimo, Cass. 13 gennaio 2009 n. 476 e 15 gennaio 2008 n. 647) la regola secondo la quale una tale forma di giuramento decisorio su fatti altrui che siano comunque caduti sotto la diretta percezione del giurante o da questi appresi è ammissibile a condizione che una tale conoscenza venga specificata nella formula del giuramento.

L’inammissibilità del giuramento decisorio deferito dal D. al liquidatore della soc. coop. Oleificio San Trifone su fatti riguardanti l’Associazione dei produttori olivicoli della provincia di Foggia deriva appunto dal rilievo che nella formula dello stesso manca ogni riferimento ai modi in cui il preteso giurante sarebbe venuto a conoscenza di tali fatti.

2 – Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli arti 2112, 2113 e 2697 c.c., anche in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 2 e art. 88 c.p.c., comma 1, oltre alla violazione e falsa applicazione degli artt. da 12 a 16, 20, 34 e 40 del C.C.N.L. 28.7.1988 (rinnovato il 10 aprile 1992) tra le imprese agricole e gli impiegati da esse dipendenti, anche in relazione all’art. 1352 cod. civ. (presumibilmente 1362). Travisamento dei fatti.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato le prove testimoniali, dalle quali già in primo grado sarebbe risultato che il ricorrente aveva lavorato senza soluzione di continuità prima per la cooperativa e poi, a seguito dell’affitto della relativa azienda, per la APROL. La Corte avrebbe infatti attribuito piena credibilità ai testimoni di parte appellata, viceversa direttamente interessati nell’Associazione quali consulenti o dirigenti e avrebbe ridimensionato la significatività delle testimonianze dei testi indotti dalla parte originariamente ricorrente, nonostante una serie di indizi seri, precisi e concordanti (l’ultimo anzi sarebbe una vera confessione, in quanto il legale rappresentante si era riportato alla memoria difensiva che conteneva precise ammissioni sulla continuazione del rapporto di lavoro a seguito dell’affitto dell’azienda olearia) sostenessero il contrario.

Anche le mansioni superiori e gli orari lavorativi sarebbero stati confermati dai testimoni, trascurati dai giudici.

Infine il Tribunale aveva, secondo il ricorrente, ridotto senza motivazione la lista testimoniale a due testi per parte all’udienza del 3.12.97 e lui aveva chiesto, all’udienza del 3.3.99 la modifica di tale ordinanza per sentire almeno tre testi ulteriori, richiesta ribadita in appello senza che la Corte territoriale si fosse al riguardo pronunciata.

Anche il secondo motivo conclude con la formulazione di un quesito ed. di diritto, non richiesto dal codice di rito.

Anche tale motivo è infondato.

Esso attiene sostanzialmente a censure di errata valutazione delle prove acquisite in giudizio e ad una carente, insufficiente e illogica motivazione della sentenza nella ricostruzione dei fatti rilevanti (il fatto che il rapporto di lavoro subordinato del ricorrente con la APROL fosse iniziato, secondo la Corte territoriale, solo alcuni mesi dopo il trasferimento dell’azienda olearia, mediante affitto, dalla società cooperativa S. Trifone e fosse terminato nell’aprile 1994, prima del ritrasferimento dell’azienda alla cooperativa per effetto della scadenza del contratto di affitto; che le mansioni dall’appellante svolte presso la Associazione fossero state diverse da quelle presso la cooperativa e quindi correttamente inquadrate; che minore fosse stato anche l’orario di lavoro osservato dal D.).

Con riguardo alle censure in esame, occorre preliminarmente ricordare i limiti in cui è esercitabile il controllo di legittimità sui giudizi di fatto del giudice di merito, quali quelli che riguardano la valutazione delle prove e in genere la motivazione in fatto della sentenza.

Trattasi, come è noto, di un controllo che non può spingersi fino alla rielaborazione del giudizio espresso dal giudice, alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perchè ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c..

Tale controllo riguarda infatti unicamente il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, ex ceteris, Cass., nn. 27162/09, 26825/09 e 15604/07).

Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con altri accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.

Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.

Occorre quindi che i “punti” della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ad es. Cass. nn. 24744/06 e 14973/06).

Alla luce di tali principi, le valutazioni che hanno condotto i giudici di merito al finale giudizio espresso nella sentenza di rigetto delle domande svolte dal ricorrente nei confronti dell’Associazione non meritano le censure da questi formulate.

I giudici dell’appello hanno infatti al riguardo analizzato tutte le risultanze istruttorie ritenute rilevanti sul piano del giudizio, valutandone la consistenza e l’attendibilità e fornendo una risposta ragionevole a tutti rilievi effettuati dall’appellante sulle stesse, col ridimensionare altresì la significatività degli indizi posti in evidenza dalla difesa del D. a sostegno della propria tesi e oggi ripresi in questa sede.

In particolare anche quello che la difesa del ricorrente ritiene una vera e propria confessione da parte del legale rappresentante dell’Associazione, laddove questi, riportandosi in sede di risposta all’interrogatorio libero alla propria memoria difensiva, avrebbe ammesso la continuità del rapporto di lavoro del D. dopo l’affitto dell’azienda olearia, è stato esaminato e confutato dalla Corte d’appello, la quale ha fornito della frase in questione una interpretazione assolutamente diversa e confacente al tenore testuale della stessa.

In definitiva, attraverso l’articolata analisi di tutto il materiale istruttorio e la valutazione dello stesso anche alla luce delle deduzioni delle parti, la Corte territoriale ha dato adeguata ragione della complessa ricostruzione dei fatti che ne ha tratto.

Trattasi di un giudizio di fatto, al quale il ricorrente pretenderebbe ora di sovrapporre proprie diverse valutazioni delle medesime risultanze, puntigliosamente rielaborate per chiedere alla Corte di legittimità di pronunciarsi al riguardo con un inammissibile giudizio di merito di terzo grado.

Infine, è infondata anche la censura di mancata pronuncia della Corte territoriale sulla richiesta dell’appellante di estensione della prova testimoniale, ridotta nella relativa lista dal giudice di primo grado, essendosi i giudici dell’appello pronunciati su tale richiesta nell’ultima pagina (pag. 19) della sentenza.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna del ricorrente a rimborsare alla resistente APROL le spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo. Nulla per le spese della cooperativa San Trifone, che non ha svolto difese in questa sede.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla APROL le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 14,00 per spese ed Euro 2.500,00, oltre accessori, per onorari. Nulla per le spese della cooperativa San Trifone.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

 

 

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