Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13281 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30206/2006 proposto da:

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLAUDIO

MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PETRONE

(STUDIO LEGALE CONSOLO), rappresentato e difeso dall’avvocato SCARPA

Giuseppe, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ALCATEL ITALIA S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 32310/2006 proposto da:

ALCATEL ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66,

presso lo studio dell’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che la rappresenta

e difende, giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLAUDIO

MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PETRONE

(STUDIO LEGALE CONSOLO), rappresentato e difeso dall’avvocato SCARPA

GIUSEPPE, giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 878/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 20/06/2006 R.G.N. 815/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;

udito l’Avvocato RUGGIERI GIANFRANCO per delega SCARPA GIUSEPPE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e incidentale.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione accoglie in parte l’appello di Alcatel Italia SpA contro la decisione del Tribunale di Salerno – giudice del lavoro, n. 4427 del 2004, che aveva condannato la Società al risarcimento del danno da dequalificazione cagionato al lavoratore dipendente A.C. e ordinato la sua reintegrazione nelle mansioni di programmatore analista ((OMISSIS) livello del c.c.n.l. metalmeccanici).

2. L’appello è giudicato privo di fondamento in ordine alla questione della sussistenza del demansionamento e dell’ordine ad Alcatel di assegnazione a mansioni confacenti alla qualifica:

risultava comprovato che, a partire dal settembre 1998 (al termine del periodo di sospensione per collocamento in cassa integrazione guadagni), l’ A. era stato assegnato al reparto “Magazzino” con compiti inerenti alla registrazione del carico e scarico delle merci (svolti in precedenza da lavoratore di (OMISSIS) livello) ed estranei alla professionalità posseduta; l’illegittimità di tale assegnazione comportava che il rapporto di lavoro dell’ A. non poteva considerarsi compreso tra quelli trasferiti all’ALS (Advanced Logistic Services) SpA, cessionario del ramo di azienda “logistica”, ramo non comprendente reparti nei quali potesse essere utilizzata la professionalità del dipendente.

3. L’appello è, invece, accolto in ordine alla condanna al risarcimento del danno, perchè l’ A. non aveva allegato specifici pregiudizi subiti, se non il generico riferimento alle ripercussioni negative sulla carriera e alla lesione della professionalità.

4. Vi è ricorso principale di A.C. articolato in due motivi; vi è ricorso incidentale di Alcatel SpA, resistente con controricorso, per due motivi; al ricorso incidentale resiste A. C. con controricorso. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza.

2. Il ricorso principale è ammissibile perchè la nullità della notificazione (eccepita dalla controricorrente perchè sarebbe stata effettuata, in violazione dell’art. 170 c.p.c., comma 1, alla parte e non al procuratore) è rimasta in ogni caso sanata con effetto ex tunc dal tempestivo deposito del controricorso (vedi Cass., sez. un., 14 giugno 2004, n. 5785; Cass. 11 maggio 2004, n. 8893).

3. Ugualmente ammissibile, in relazione all’art. 366 c.p.c., n. 3, è il ricorso incidentale perchè, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso al ricorso incidentale, contiene una sufficiente esposizione del “fatto” sostanziale e processuale, idonea a precisare il significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata (vedi Cass. 5 maggio 2009, n. 10288).

4. Ulteriore rilievo preliminare è che non sussiste, avuto riguardo all’oggetto della controversia, violazione dell’art. 102 c.p.c. (questione rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità: vedi Cass. 13 aprile 2007, n. 8825), perchè nel caso in cui un lavoratore, agendo in giudizio, affermi l’esistenza del rapporto lavorativo con un datore di lavoro (nella specie, la società cedente il ramo d’azienda) e neghi il rapporto con altro datore (nella specie, la società cessionaria), non sussiste il litisconsorzio necessario, in quanto il lavoratore non deduce in giudizio un rapporto plurisoggettivo, nè alcuna situazione di contitolarità, ma tende a conseguire un’utilità rivolgendosi ad una sola persona, ossia l’asserito vero datore di lavoro; in tal caso, l’accertamento negativo dell’altro rapporto avviene senza efficacia di giudicato (vedi Cass. 8 giugno 2009, n. 13171; 30 marzo 1984, n. 2139).

5. Il primo motivo del ricorso incidentale pone una questione logicamente pregiudiziale rispetto a quelle poste dal ricorso principale e va, di conseguenza, esaminato per primo.

Con questo motivo sono denunciati in sostanza violazione dell’art. 2103 c.c., e vizi della motivazione in relazione all’accertamento della destinazione dell’ A. all’espletamento di mansioni inferiori rispetto a quelle proprie della qualifica. Si deduce che l’ A., assegnato già dal 14.10.1996 al “Centro Magazzino”, aveva svolto mansioni inerenti a lavoro informatico quale responsabile del servizio spedizioni e riparazioni, ritenute dalla sentenza impugnata inferiori rispetto alla qualifica posseduta senza alcuna motivazione e verifica di quali fossero i compiti propri del (OMISSIS) livello professionale ai sensi del contratto collettivo di categoria. Di conseguenza, nessuna valida motivazione sorreggeva la statuizione di condanna all’adibizione a mansioni confacenti alla qualifica, risultando ingiustificato l’accertamento che la cessione del ramo di azienda non aveva comportato il trasferimento del rapporto di lavoro al cessionario.

5.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza accerta che l’ A., laureato in informatica ed assunto come analista-programmatore di (OMISSIS) livello secondo la classificazione del c.c.n.l. metalmeccanici, presso il magazzino venne adibito a mansioni di tipo amministrativo consistenti nell’inserimento nel sistema informatico dei dati relativi al carico e allo scarico delle merci. In precedenza, invece, presso l’ufficio elaborazione dati e poi presso l’ufficio acquisti, aveva curato lo sviluppo di programmi per la gestione degli acquisti dei materiali, si era occupato degli aspetti informatici relativi alla pianificazione e alla produzione.

5.2. Il suddetto accertamento di fatto del giudice di merito comporta l’applicazione di questi principi: la norma inderogabile di cui all’art. 2103 c.c., è intesa a salvaguardare il diritto del lavoratore alla utilizzazione, al perfezionamento ed all’accrescimento del proprio corredo di nozioni di esperienza e di perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto e ad impedire conseguentemente che le nuove mansioni determinino una perdita delle potenzialità professionali acquisite o affinate sino a quel momento, o che, per altro verso, comportino una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore, dovendosi avere riguardo non solo alla natura intrinseca delle attività esplicate dal lavoratore ma anche al grado di autonomia e discrezionalità nel loro esercizio, nonchè alla posizione del dipendente nel contesto dell’organizzazione aziendale del lavoro; in siffatta ottica, una violazione della lettera e della ratto dell’art. 2103 c.c., può quindi ipotizzarsi, in considerazione degli interessi sostanziali tutelati dal legislatore, anche allorquando si sia in presenza di una modifica qualitativa delle mansioni assegnate al lavoratore; detta modifica può infatti determinare in concreto un progressivo depauperamento del bagaglio culturale del dipendente e una perdita di quelle conoscenze ed esperienze richieste dal tipo di lavoro svolto, che finiscono per tradursi, in ultima analisi, in un graduale appannamento della propria professionalità ed in una sua più difficile futura utilizzazione; la giurisprudenza della Corte, perciò, si esprime univocamente, con riguardo allo ius variandi del datore di lavoro, nel senso che il divieto di modificazione in peius opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori sicchè nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali (vedi Cass., Sez. un., 24 novembre 2006, n. 25033; Cass. 10 dicembre 2009, n. 25897).

5.3. Pertanto, il riferito accertamento di fatto sorregge adeguatamente la statuizione relativa all’obbligo del datore di lavoro di assegnare mansioni corrispondenti alle ultime svolte, siccome, indipendentemente dalla formale equivalenza con quelle assegnate presso il “Magazzino”, sussisteva sicuramente la lesione dei precedenti livelli di professionalità; evidentemente, l’illecito contrattuale imputato al datore di lavoro e la constatata inesistenza di posizioni lavorative adeguate presso il “Magazzino”, non consentivano di ritenere il dipendente trasferito ai settore “logistica” e quindi compreso il rapporto di lavoro tra quelli ceduti ex lege, ai sensi dell’art. 2112 c.c., all’acquirente del ramo di azienda.

6. Il ricorso principale, con i due motivi in cui si articola, domanda la cassazione della statuizione di rigetto della domanda rivolta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla dequalificazione.

Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 414 e 115 c.p.c., perchè il pregiudizio subito per effetto del demansionamento era stato specificamente allegato dall’ A., con riferimento all’incidenza negativa sulla carriera (risultava ricostruita l’intera storia lavorativa presso l’impresa cedente ed allegato il danno derivante dal passaggio al nuovo datore di lavoro), alla lesione della specifica competenza tecnico professionale e al mancato impiego del patrimonio acquisito nelle pregresse fasi lavorative, come specificato in particolare all’udienza del 24.1.2001.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 115, 2697, 421 e 116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., unitamente a vizio della motivazione, perchè gli elementi indiziari, utili ai fini della prova presuntiva del danno, erano stati tutti acquisiti al processo in special modo a mezzo della prova per testi.

6.1. I due motivi del ricorso principale, esaminati unitariamente per la connessione tra le argomentazioni, non sono fondati.

6.2. Il principio di diritto applicabile è, anche ad avviso del ricorrente principale, il seguente: “In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravita, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572).

6.3. Le prospettazioni contenute nei due motivi di ricorso solo formalmente dichiarano di volersi uniformare al detto principio di diritto, in realtà lo contraddicono laddove individuano nelle stesse allegazioni e prove concernenti il fatto del demansionamento gli elementi indiziari utili per ritenere presuntivamente dimostrato anche il danno. In questo modo, infatti, si ritorna in sostanza alla concezione del danno in re ipsa, ormai definitivamente abbandonata dalla giurisprudenza della Corte.

In realtà, le specifiche allegazioni e gli elementi di prova idonei a comprovare di aver sofferto un pregiudizio risarcibile in conseguenza dell’inadempimento imputabile al datore di lavoro devono cadere su circostanze diverse ed ulteriori rispetto alla fattispecie di dequalificazione. Più precisamente, con riferimento alle argomentazioni dei motivi di ricorso, non basta affermare che nel campo dell’informatica, in continua evoluzione, il mancato esercizio dei compiti qualificati inerenti al settore produce pregiudizio alla professionalità, ma occorre precisare fatti e circostanze da cui si possa almeno presumere che in concreto vi sia stata perdita di cognizioni acquisite nel precedente incarico, ovvero impossibilità di un necessario costante aggiornamento di cognizioni e conoscenze.

Così pure, devono essere precisate le ragionevoli aspettative di progressione professionale pregiudicate dal datore di lavoro, siccome, in ordine al pregiudizio della carriera, onere di chi invoca la tutela risarcitoria è la precisazione di quali opportunità e ragionevoli prospettive di progressione, in relazione alla situazione concreta e alle caratteristiche dell’organizzazione imprenditoriale, siano state pregiudicate. Anche gli effetti negativi prodotti nelle abitudini di vita del soggetto devono essere specificamente individuati con riferimento ad eventi precisi. Soltanto l’indicazione di fatti concreti, infatti, consente di risalire coerentemente al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno.

Siccome queste precisazioni sono rimaste estranee al contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, come sostanzialmente si finisce per riconoscere nell’illustrazione dei motivi di ricorso, si deve concludere che la sentenza impugnata ha rigettato la pretesa risarcitoria uniformandosi correttamente al principio di diritto sopra richiamato.

7. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 112 e 336 c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione delle somme versate all’ A. in esecuzione della sentenza di primo grado.

7.1. Il motivo è inammissibile perchè omette di censurare la ragione per la quale la Corte di appello di Salerno ha ritenuto di non poter accogliere la domanda e cioè la mancanza della prova dell’avvenuto pagamento.

8. Conclusivamente, vanno rigettati il ricorso principale e il ricorso incidentale. L’esito del giudizio giustifica la compensazione per l’intero delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa per l’intero le spese e gli onorari del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

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