Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13280 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA U.S.L. N. (OMISSIS) DI MESSINA, in persona del

legale

rappresentante pro tempore, gia’ elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DI VILLA GRAZIOLI 13, presso lo studio dell’avvocato ACCARDO

ANDREA, rappresentata e difesa dall’avvocato MERLO ARTURO, giusta

delega a margine del ricorso e da ultimo domiciliata d’ufficio presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

Contro

U.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO

142/C, presso lo studio dell’avvocato PRUDENTE SIMONA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ALOISI FRANCESCO, giusta delega a margine del

controricorso;

avverso la sentenza n. 1133/2005 della CORTE DI APPELLO DI MESSINA,

depositata il 25/11/2005 R.G.N. 1096/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2010 dal Consigliere Dott. PICONE Pasquale;

udito l’avvocato ALOISI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso, rigetto del primo.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello dell’Azienda unita’ sanitaria locale n. (OMISSIS) di Messina e conferma la decisione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto – giudice del lavoro – n. 119/2004, con la quale l’Ausl era stata condannata al pagamento, in favore del dott. U.S., di somme dovute a titolo di “compenso aggiuntivo” in relazione ai due rapporti di convenzione di medicina generale con l’Azienda, l’uno relativo all’assistenza primaria, l’altro di continuita’ assistenziale (ex guardia medica) e poi, dal 1997, di medicina dei servizi.

2. La Corte di appello di Messina respinge, in primo luogo, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Asl con riferimento ai crediti maturati nel periodo 1.1.1995 – 9.7.1995, con la motivazione che le gestioni liquidatorie delle soppresse Usl rispondevano soltanto dei debiti maturati fino al 31 dicembre 1994, sicche’ l’Azienda convenuta doveva rispondere dei debiti inerenti al periodo successivo.

3. Nel merito, ritiene che si era in presenza di due diversi rapporti di lavoro e percio’ la voce retributiva denominata “compenso aggiuntivo” doveva essere corrisposta per ciascuna delle convenzioni secondo le (diverse) discipline dettate per ciascuna dal D.P.R. n. 484 del 1996, non sussistendo divieti di cumulo e dovendosi escludere l’estensione a tale istituto retributivo della regolamentazione del diverso, e sostituito dall’1.1.1995, istituto della “quote di carovita”.

4. Il ricorso dell’Ausl n. (OMISSIS) di Messina si articola in due motivi, resiste con controricorso U.S., che deposita altresi’ memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il controricorrente eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso sotto un duplice profilo:

a) invalidita’ della procura perche’ priva del requisito della specialita’; generico anche il contenuto della delibera n. 1622 del 25.5.06 relativa al conferimento della stessa procura;

b) violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. per mancanza del quesito di diritto.

1.1. La deduzione relativa alla prima ragione di inammissibilita’ non ha fondamento.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 come modificato dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, art. 4, lett. d, accentra tutti i poteri di gestione, nonche’ la rappresentanza, al direttore generale; ne deriva che, quale organo monocratico che espleta le sue funzioni in assenza di organi deliberativi, il direttore generale puo’, con un unico atto, deliberare di promuovere un giudizio (o di resistervi) e rilasciare la relativa procura ad litem, sicche’ nessuna autonomia riveste la formale delibera che precede il rilascio della procura (vedi Cass. 30 marzo 2004, n. 6343). Trova poi applicazione il principio secondo cui la procura apposta in calce o a margine del ricorso per Cassazione e’ per sua natura speciale, senza che occorra per la validita’ dell’atto uno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale si rivolge, siccome la specialita’ e’ deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con l’atto sul quale e’ apposta (orientamento consolidato: vedi, tra le numerose decisioni, Cass. 3 luglio 2009, n. 15692; 9 maggio 2007 n. 10539; 31 marzo 2007 n. 8060).

1.2. E’ del pari infondata la seconda ragione di inammissibilita’.

Non e’ applicabile alla controversia (ricorso contro sentenza pubblicata prima del 2 marzo 2006) l’art. 366 bis c.p.c., primo periodo dell’unico comma (articolo inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), per i giudizi instaurati dopo la data della in vigore della legge – art. 58, comma 1), che recita:

“Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L.R. Sicilia n. 30 del 1993, art. 55, e delle L. n. 724 del 1994, art. 6, e L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14, in relazione al D. del presidente della regione 7 luglio 1995, n. 189.

Si sostiene che, nella Regione Sicilia, le Aziende sanitarie locali sono state istituite soltanto con il decreto del presidente della giunta a far data dal 10 luglio 1995, con la conseguenza che solo a partire da tale data l’Azienda e’ succeduta nei rapporti di convenzione dedotti in causa; percio’ i crediti relativi al periodo 1.1.1995 – 9.7.1995 dovevano essere azionati dei confronti della gestione liquidatoria della soppressa USL n. (OMISSIS) di Messina.

2.1. Il motivo non e’ fondato.

La L.R. Sicilia 3 novembre n. 1993, n. 30 – norme in tema di programmazione sanitaria e di riorganizzazione territoriale delle unita’ sanitarie locali – all’art. 6, ha istituito, tra le altre, l’azienda unita’ sanitaria locale n. (OMISSIS) – Messina, mentre con l’art. 55 ha dettato le disposizioni per l’attivazione di ciascuna delle aziende unita’ sanitarie locali.

Ma l’epoca in cui il procedimento di attivazione si e’ completato e la nuova azienda ha iniziato a funzionare non rileva ai fini della legittimazione passiva dell’Ausl per i crediti maturati dai medici convenzionati nel periodo successivo al 31 dicembre 1994. Infatti, il comma 10 dello stesso articolo di legge recita: “Alle aziende unita’ sanitarie locali e alle aziende ospedaliere e’ trasferita la titolarita’ dei rapporti giuridici, relativi a contratti e convenzioni stipulati dalle soppresse unita’ sanitarie locali, che risultino in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, salve le eventuali modifiche”. Questa disposizione non contraddice il quadro normativo della legislazione statale in base al quale le nuove Asl (o Ausl) non sono succedute alle soppresse Usl in universum ius, ma in singoli rapporti obbligatori specificati dalla disciplina legislativa: in base alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 1 le regioni non possono far gravare sulle aziende unita’ sanitarie locali di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, direttamente o indirettamente, i debiti ed i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unita’ sanitarie locali, ed e’ all’uopo prevista l’istituzione di gestioni stralcio; la L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14, ha poi trasformato le “gestioni a stralcio” in “gestioni liquidatorie” e precisato che la liquidazione e’ relativa alle situazioni debitorie delle unita’ sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sussistenti al 31 dicembre 1994.

2.2. Con riferimento alla controversia in oggetto, si deve percio’ concludere nel senso che le nuove aziende sono succedute a titolo particolare nelle convenzioni con i medici secondo il disposto della L.R. n. 30 del 1993, art. 55, comma 10 (in linea con la legislazione statale: L. n. 412 del 1992, art. 4, comma 2; D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 8 nel testo integrato dal D.Lgs. n. 517 del 1993, art. 9), ma non nei rapporti obbligatori, pur inerenti alle stesse convenzioni, perfezionatisi fino al 31 dicembre 1994; rispondono, invece, di tutte le obbligazioni inerenti al contratto nel quale sono subentrate che siano insorte nel periodo successivo, indipendentemente dall’epoca di completamento del procedimento organizzativo relativo alla loro istituzione e dall’inizio dell’effettiva gestione dei rapporti convenzionali (vedi Cass. 2 novembre 2001, n. 14010; 9 novembre 2000, n. 14544; Cass., sez. un., 18 dicembre 1998, n. 12712).

Per queste considerazioni non e’ possibile dare continuita’ al diverso principio di diritto espresso da Cass. 29 luglio 2002, n. 1197, che ha dato rilievo, al fine di escludere la legittimazione passiva delle nuove aziende siciliane per le obbligazioni inerenti al periodo fino al 10 luglio 1995, alla data di inizio del loro funzionamento.

3. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 484 del 1996, artt. 25,45, 58 e 14 nonche’ degli art. 1362, 1363 c.c. Si afferma che l’Azienda aveva rispettato le disposizioni in tema di “compenso aggiuntivo”, corrispondendo un unico compenso calcolato sommando gli importi corrispondenti a due diversi incarichi nei limiti del massimale costituito dal tetto di 1.500 scelte per i medici convenzionati di medicina generale, atteso che, in caso di pluralita’ di incarichi, non era consentito, ai sensi dell’art. 25 del decreto, il superamento del massimale previsto per l’assistenza primaria (1500 assistiti, pari a 40 ore settimanali).

3.1. Si premette all’esame del motivo la considerazione che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio ha ad oggetto una prestazione d’opera professionale autonoma, ancorche’ svolta nell’ambito di una relazione c.d. di “parasubordinazione”. Ai sensi della Legge di Riforma Sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 (richiamato dalla legislazione successiva: D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 1), e’ riservata esclusivamente alla contrattazione collettiva, mediante accordi resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica, la disciplina uniforme del trattamento economico e normativo del personale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. Le clausole dei predetti accordi, siccome acquistano efficacia soltanto con l’inserimento nel decreto presidenziale, hanno natura giuridica regolamentare, con la conseguenza che l’interpretazione data dal giudice del merito agli anzidetto accordi puo’ essere denunciata in sede di legittimita’, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, norme che la Corte regolatrice puo’ sottoporre a diretto esame esegetico, in base ai criteri fissati dall’art. 12 disp. att. c.c. per l’interpretazione delle leggi (Cass. S.u. 20 dicembre 1993, n. 12595, e le successive decisioni conformi).

3.2. Alla stregua di tale premessa il motivo di ricorso deve essere accolto, ancorche’ sulla base di una ricostruzione dei dati normativi non del tutto coincidente con le prospettazioni formulate dalla ricorrente.

3.3. Non e’ direttamente pertinente alla questione controversa la disciplina dettata dal D.P.R. n. 484 del 1996, art. 25 – Massimale di scelte e sue limitazioni – nella parte in cui stabilisce, al comma 4, che “nei confronti del medico che, oltre ad essere inserito negli elenchi, svolga altre attivita’ orarie compatibili con tale iscrizione, il massimale di scelta e’ ridotto in misura proporzionale al numero delle ore settimanali che il medesimo dedica alle suddette altre attivita’”, e, al comma 5, che “ai fini del calcolo del massimale individuale per i medici soggetti a limitazioni per attivita’ a rapporto orario compatibili si ritiene convenzionalmente che il massimale corrisponda ad un impegno settimanale equivalente a 1.500 scelte per 40 ore settimanali”.

La norma, infatti, non concerne la questione della cumulabilita’ degli emolumenti corrisposti a titolo di “compenso aggiuntivo”, ma l’oggetto dell’incarico, cioe’ il numero degli assistiti consentiti, ovvero il numero massimo delle ore di prestazione. Il superamento del tetto massimo consentito in caso di svolgimento di altre attivita’ orarie compatibili incide ovviamente sulla totalita’ dei compensi spettanti al medico convenzionato dell’assistenza primaria, escludendo il diritto in relazione agli assistititi e ore eccedenti (vedi Cass. 23 gennaio 2002, n. 735; 7 aprile 2001, n. 5220).

La soluzione della controversia dipende, invece, dall’interpretazione delle norme che disciplinano specificamente l’emolumento denominato “compenso aggiuntivo”.

3.4. Ai medici convenzionati con la medicina generale spettava il compenso costituito dalle “quote di carovita” e modellato sull’istituto, proprio del lavoro dipendente pubblico, dell’indennita’ integrativa speciale (D.P.R. 28 settembre 1990, n. 314, art. 41). Soppresso, a decorrere dal 1 gennaio 1991, il sistema automatico di adeguamento della retribuzione dei dipendenti pubblici e privati al costo della vita (L. 13 luglio 1990, n. 191, art. 1) ed emanato il D.Lgs. n. 502 del 1992 (il cui art. 8, comma 1, ha dettato i principi cui gli accordi sindacali dovevano attenersi per essere resi esecutivi dai decreti), il riassetto del sistema dei compensi spettanti ai medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale e’ stato attuato, con decorrenza 1 gennaio 1995, dal D.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, recante “Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale”. In particolare, l’istituto delle quote di carovita e’ stato sostituito dal “compenso aggiuntivo”, componente dei compensi fissi. Per i medici dell’assistenza primaria l’art. 45 prevede la corresponsione di un “compenso aggiuntivo” con l’attribuzione di quote mensili determinate con i criteri di cui al punto F del D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41 e nella misura corrisposta al 30 aprile 1992 – con gli incrementi percentuali previsti con determinate decorrenze – moltiplicato per il numero delle scelte in carico al singolo medico per ciascun mese, con il tetto massimo di 1.500 scelte o della minore quota individuale.

Analogamente, per i medici addetti al servizio di “continuita’ assistenziale” (gia’ di “guardia medica”) e di emergenza territoriale – per i quali i compensi sono fissati per ogni ora di attivita’ svolta – l’art. 58, comma 4, stabilisce che il compenso aggiuntivo e’ corrisposto con i criteri di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. d), e determinato nella misura corrisposta al 30 aprile 1992. Non diversamente e’ disposto dal regolamento per i medici addetti alle attivita’ della medicina dei servizi (art. 14 dell’allegato norma finale n. 2, che rinvia ai criteri di cui al D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, comma 1, lett. b) (b2 e b3), che sono gli stessi di quelli di cui al punto F del D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41).

La configurazione dell’istituto retributivo di cui trattasi e’ rimasta la stessa nelle disposizioni dettate dal successivo D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270. La necessita’ di una disciplina economica distinta trova ragione nel fatto che i compensi dei medici dell’assistenza primaria vengono determinati in base al numero degli assistiti, mentre sono calcolati in base alle ore prestate per i medici convenzionati che assicurano il servizio per il numero di ore stabilito.

3.5. La sostituzione dell’istituto “caro-vita” con quello del “compenso aggiuntivo”, attratto nel novero dei compensi fissi dell’attivita’ professionale e reso indipendente dalla variazione degli indici del costo della vita, ha fatto sorgere questioni interpretative che hanno originato numerose questioni.

Cio’ perche’, ai fini della disciplina del compenso aggiuntivo, le norme attributive del diritto a tale compenso rinviano, per le parti non direttamente regolate, ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. d), (ovvero ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, comma 1, lett. b ) – b2 e b3 -, per la medicina dei servizi).

Tra questi criteri (comma 1, lett. d, alinea d3, secondo periodo, dell’art. 17. cit; D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, comma 1, lett. b, alinea b3, secondo periodo) figura l’esclusione del diritto per i medici che comunque ed a qualsiasi titolo usufruiscono di meccanismi automatici di adeguamento dei compensi al costo della vita (oltre ad una previsione specifica per i titolari di trattamento di pensione).

3.6. La giurisprudenza della Corte ha, con assoluta prevalenza, disatteso la tesi secondo cui il richiamo ai “criteri” di regolazione dell’indennita’ di caro-vita non vale a rendere operanti le limitazioni ivi previste per il nuovo istituto del compenso aggiuntivo, siccome il richiamo si dovrebbe intendere come circoscritto ai criteri di determinazione del quantum del compenso, stante la totale disomogeneita’ di natura tra quote di carovita e compenso aggiuntivo (tesi fatta propria da circolari ministeriali, nonche’ condivisa dal parere del Consiglio di Stato, adunanza della Sezione prima, 12 dicembre 2001).

Si e’ osservato, infatti, che la formulazione letterale delle norme, nella parte in cui rinviano ai “criteri” di determinazione delle quote di carovita, senza alcuna limitazione, non consente la proposta lettura riduttiva, secondo la quale i “criteri” richiamati sarebbero solo quelli relativi al calcolo, o determinazione (determinazione in realta’ operata direttamente dalla normativa istitutiva del nuovo istituto) restando estranei al richiamo le condizioni di attribuzione del compenso. I criteri in questione, infatti, non possono che essere tutti quelli precisati, pena il totale svuotamento del significato normativo del rinvio.

L’arbitrarieta’ della lettura riduttiva sottrae ogni fondamento logico al rilievo che le parti stipulanti l’accordo non avevano ritenuto di dettare una disciplina in materia di cumulo di indennita’ analoghe, atteso che la norma ha reso chiaramente applicabile nella sua interezza il regime giuridico gia’ vigente per l’istituto delle quote di carovita, regime perfettamente compatibile con il nuovo meccanismo di incrementi, alle scadenze contrattuali, del compenso (ancorche’ non piu’ collegati all’aumento del costo della vita), restando escluso ogni profilo di carenza di regolamentazione. Una specifica disciplina, del resto, sarebbe stata del tutto superflua per il compenso aggiuntivo, atteso il rinvio che le parti hanno ritenuto di operare al regime giuridico gia’ in atto per le quote di carovita. Ne’ l’interpretazione riduttiva, giudicata priva di riscontri sul piano della formulazione letterale delle norme disciplinanti il compenso aggiuntivo, potrebbe risultare suffragata da esigenze di coerenza sistematica, collegate alla natura dell’istituto del compenso aggiuntivo ed alla conformita’ al quadro normativo in cui si inserisce, considerata la natura autonoma del rapporto di lavoro (cui non e’ applicabile l’art. 36 Cost.) e che, ricondotta l’erogazione in oggetto alla categoria dei compensi fissi, ben poteva stabilirsi una limitazione, confermando, per coloro che comunque ed a qualsiasi titolo usufruiscono di meccanismi automatici di adeguamento dei compensi, la disciplina gia’ operante per il soppresso istituto delle quote di carovita. Nessuna norma o principio, infatti, impedisce di determinare il compenso per un lavoratore autonomo attribuendo rilevanza a fatti e circostanze anche inerenti a profili puramente soggettivi ed estranee allo specifico rapporto (vedi, tra le numerose decisioni, Cass. 12 gennaio 2009, n. 397; 22 febbraio 2008, n. 4682; 3 luglio 2007, n. 15005; 19 aprile 2007, n. 9342; 8 maggio 2006, n. 10467, 13 novembre 2006, n. 24164;

con specifico riferimento alla questione del superamento dell’importo massimo spettante al sanitario con unica convenzione: Cass. 19 giugno 2008, n. 16681). E’ rimasto cosi’ isolato il precedente costituito da Cass. 28 febbraio 2006, n. 4412, esplicitamente non condiviso dalle decisioni successive perche’ interamente argomentato sulla diversita’ di natura tra quote di carovita e compenso aggiuntivo, diversita’ certamente indiscutibile ma priva di significato per escludere che le limitazioni e condizioni gia’ previste per la prima indennita’ non possano operare per la seconda indennita’, stante il chiaro significato del rinvio alla disciplina gia’ vigente per la prima.

Del resto, il contrasto di giurisprudenza deve considerarsi definitivamente superato con la sentenza delle Sezioni unite della Corte 18 dicembre 2009, n. 26633, che, decidendo specificamente in ordine al misura del compenso parametrata ad un massimale orario (104 o 156), indipendentemente dal numero effettivo di ore di prestazione dei medici incaricati di continuita’ assistenziale, hanno confermato l’interpretazione prevalente relativa al significato del rinvio ai “criteri”, tra i quali anche quello dell’esclusione del cumulo con altre indennita’ di analoga derivazione dal sistema di indicizzazione al costo della vita.

3.7. L’intervento delle Sezioni unite della Corte, quindi, chiarisce definitivamente che, ai fini della disciplina del nuovo istituto del compenso aggiuntivo, le fonti rinviano a quella gia’ operante per la (sostituita) indennita’ di carovita, ma, evidentemente, il rinvio viene operato per le parti non direttamente regolate dalla norma istitutiva del compenso aggiuntivo.

Orbene, la disposizione fondamentale concernente il nuovo istituto del compenso aggiuntivo e’ quella relativa alla sua attrazione nel novero dei compensi fissi, con soppressione dell’istituto dell’indennita’ di caro-vita, ancorata agli indici di variazione del costo della vita. Ed infatti, l’importo raggiunto da questa indennita’ viene “congelato” nella misura corrisposta alla data del 30 aprile 1992 e, quale “compenso aggiuntivo”, assoggettato ad incrementi periodici che nulla hanno a che fare con la variazione degli indici del costo della vita (aumenti percentuali con le decorrenze nel triennio stabilite dagli accordi collettivi recepiti in D.P.R.). Risultano, pertanto, compiutamente regolati, i profili concernenti la natura del compenso, il sistema e la decorrenza degli incrementi, cosicche’ il rinvio ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. D, non puo’ avere ad oggetto la cadenza semestrale dell’adeguamento (alinea D1), ne’ la base di calcolo per l’applicazione dei criteri di cui alla L. n. 38 del 1986 e al D.P.R. n. 13 del 1986 (alinea D/2), ne’ le altre disposizioni incompatibili (alinea D/3, primo periodo). Ma, per altro verso, certamente il rinvio ai “criteri” di cui alla lett. d) dell’art. 17 non puo’ essere svuotato di effettiva portata normativa e va necessariamente inteso come richiamante gli altri profili della disciplina gia’ dettata per l’indennita’ di caro-vita che devono trovare applicazione per il nuovo istituto del compenso aggiuntivo.

Tra questi, il tetto massimo delle ore e l’esclusione del cumulo con altre indennita’ di analoga derivazione dal sistema di indicizzazione al costo della vita, che si risolvono in limiti all’obbligazione retribuiva delle aziende, limiti che si e’ ritenuto di conservare anche per il compenso aggiuntivo. Del resto, appare plausibile, alla stregua di una lettura sistematica della disciplina, che con l’operazione di sostituzione dell’una all’altra indennita’ si sia inteso mantenere gli oneri per le aziende nei limiti gia’ fissati per la precedente indennita’ o comunque contenerli mediante l’operato rinvio.

3.8. In conclusione, il rinvio a criteri di cui al D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41, lett. F) (ovvero del D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, lett. b) comporta che si applichi al compenso aggiuntivo anche il diniego di cumulo di piu’ trattamenti gia’ previsto per il carovita nel caso di titolarita’ di piu’ incarichi compatibili o di pensione e convenzione. Ne consegue che l’importo del compenso aggiuntivo deve essere lo stesso per i medici che raggiungono il massimale di assistiti con un unico rapporto e per quelli che lo raggiungono sommando due rapporti consentiti, sicche’ l’Ausl n. (OMISSIS) di Messina ha esattamente adempiuto l’obbligazione relativa al compenso aggiuntivo derivante dai due rapporti di convenzione.

3.9. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “Il compenso aggiuntivo per i medici convenzionati con il S.s.n. per la medicina generale, secondo la disciplina dettata dal D.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, art. 45, lett. c, non puo’ superare l’importo massimo spettante al sanitario con unica convenzione, stante il divieto di cumulo dei compensi nel caso di titolarita’ di altri rapporti convenzionali, atteso che si applica senza limitazioni, in forza del richiamo fatto al D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41, lett. f, il regime giuridico gia’ vigente per l’istituto delle quote di carovita, regime perfettamente compatibile con il nuovo compenso”.

4. L’accoglimento del secondo motivo del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata e la decisione nel merito della causa, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c., comma 1) per itenere infondata la pretesa creditoria azionata, con il rigetto della domanda proposta da Sebastiano U. contro l’Ausl n. (OMISSIS) di Messina.

5. Sussistono giusti motivi di compensazione per l’intero delle spese dei giudizi di merito e di cassazione, considerata l’infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva opposta dall’Ausl e, soprattutto, il recente intervento delle Sezioni unite della Corte sulla materia controversa a risoluzione di questione di massima di particolare importanza e sulla quale si erano registrati interventi giurisprudenziali difformi.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda proposta da U.S. contro l’Ausl n. (OMISSIS) di Messina; compensa per l’intero le spese dei giudizi di merito e di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

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