Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13280 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 10560 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

A.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato

Francesco Abenavoli (C.F.: BNV FNC 38P25 A544F);

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato

e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

6419/2017, pubblicata in data 11 ottobre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 30 gennaio 2020 dal consigliere Tatangelo Augusto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il medico A.G., deducendo di non avere ricevuto la remunerazione prevista dalle Direttive CEE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 per la frequenza di un corso di specializzazione universitaria, ha agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione delle suddette direttive comunitarie.

La sua domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.

Avverso tale decisione ricorre l’ A., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e/o manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Sia il ricorrente che l’amministrazione controricorrente hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione delle Direttive CEE nn. 75/362, 75/363, 82/76, 93/16, 2005/36 CEE, del Regolamento (UE) n. 213/2011 recante modifica degli allegati II e V della direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonchè del D.Lgs. n. 257 del 1991; art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c. n. 3)”.

Il ricorso è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile.

La decisione impugnata è conforme, in diritto, all’indirizzo di questa Corte (che il ricorso non offre elementi per rimeditare), secondo il quale “non spetta il diritto al risarcimento in favore dei medici specializzandi per inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, a coloro che abbiano frequentato corsi di specializzazione non comuni ad almeno due Stati dell’UE in base agli elenchi di dette direttive e li abbiano conclusi prima dei decreti ministeriali di conformità delle specializzazioni conseguite a quelle elencate, non potendosi ravvisare un illecito comunitario nel mancato ampliamento del novero delle specializzazioni equipollenti, il quale costituiva una facoltà per gli Stati membri e non già un obbligo imposto dalla normativa comunitaria” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 20303 del 26/07/2019, Rv. 654780 – 01).

Nella pronunzia appena richiamata, resa proprio con riguardo ad una ipotesi analoga a quella qui in esame, di scuola di specializzazione in “oncologia” frequentata nel periodo tra il 1982 ed il 1991, è espressamente chiarito, con riguardo alla pretesa rilevanza delle disposizioni normative invocate dal ricorrente (in particolare, con riguardo al D.M. 31 ottobre 1991, emesso sulla base del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, concernente l’elenco delle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia, come modificato dal D.M. 30 ottobre 1993, che peraltro si è limitato a “confermare”, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo appena richiamato, la scuola di specializzazione in oncologia, pur non conforme alle disposizioni della normativa Europea, per esigenze del servizio sanitario nazionale), che è “giuridicamente insostenibile pretendere che il corso di specializzazione frequentato dagli odierni ricorrenti debba ritenersi equipollente a quelli previsti in almeno altri due Stati membri, in virtù di norme che non esistevano all’epoca in cui quel corso venne frequentato”, considerazione che risulta evidentemente valida altresì in relazione alla disciplina Europea, anch’essa sopravvenuta rispetto alla frequenza del corso, che ha incluso la specializzazione in oncologia tra quelle comuni (Regolamento UE n. 213/2011).

D’altra parte, la circostanza che la specializzazione in oncologia, già al tempo della frequenza del corso da parte del ricorrente, non potesse considerarsi equipollente a corsi di specializzazione istituiti in almeno due stati membri, è oggetto di un accertamento di fatto operato dalla corte di appello che, essendo sostenuto da adeguata motivazione (non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico) e risultando conseguente alla valutazione degli elementi istruttori acquisiti in giudizio, non è censurabile nella presente sede.

Sotto quest’ultimo aspetto il ricorso si risolve dunque, nella sostanza, in una contestazione di accertamenti di fatto riservati ai giudici di merito e in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità.

2. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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