Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1328 del 26/01/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 1328 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 16668-2013 proposto da:
BOSCHI TULLIA C.F.BSCTLL56R67M113X, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocatoMAURO VECCHIETTI, giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
3196

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

Data pubblicazione: 26/01/2015

- controricorrente avverso la sentenza

n.

27/2013 della CORTE D’APPELLO

di TRENTO, depositata il 27/03/2013 r.g.n. 67/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO

udito

l’Avvocato DI

PIERRO NICOLA per delega

VECCHIETTI MAURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

NOBILE;

R.G. 16668/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il ricorso introduttivo Tullia Boschi, funzionario giudiziario di terza

oa

area, adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Trento, esponendo:

della legge n. 133 del 2008, avendo maturato i necessari requisiti contributivi
già nel mese di ottobre antecedente e che, tuttavia, nonostante- il parere
favorevole espresso in data 15-1-2010 dalla Presidenza della Corte d’Appello
di Trento, il Ministero della Giustizia, con provvedimento in data 17-5-2010,
aveva rigettato la domanda; di avere quindi reiterato detta istanza, come era sua
facoltà, in data 3-1-2011, ottenendo anche in tal caso il parere favorevole da
parte del Presidente della Corte d’Appello;
che il Ministero aveva nuovamente respinto la sua domanda con
provvedimento in data 1-6-2011;
che tale diniego era ingiustificato non essendo comunque ravvisabile la
necessità del Ministero di mantenere in servizio la dipendente, come
dimostrato, del resto, dalla sua applicazione tra il 2006 ed il 2010 presso altri
uffici (Tribunale di Rovereto e Procura della Repubblica);
che pertanto andava accertato il suo diritto all’esonero dal servizio a
decorrere dal 1-12-2011.
Il giudice adito, con sentenza n. 153 del 2012, annullava il provvedimento
ministeriale del 1-6-2011 ed accertava il conseguente diritto della Boschi ad
essere esonerata dal servizio a decorrere dal 1-12-2011.
Il Ministero della Giustizia proponeva appello avverso la detta sentenza,
chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.
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di avere inoltrato il 14-1-2010 domanda di esonero dal servizio ex art. 72

La appellata si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello, con sentenza depositata il 27-3-2013, in riforma della
pronuncia di primo grado, respingeva la domanda della Boschi.
In sintesi la Corte territoriale, accogliendo le censure del Ministero

stato abrogato dall’art. 24, comma 14, del d.l. n. 201 del 6-12-2011, conv. nella
legge n. 214 del 22-11-2011, il quale aveva espressamente previsto, in via di
deroga, l’applicabilità dell’esonero ai lavoratori che alla data del 4-12-2011
avevano vista accolta la propria domanda, affermava che erroneamente il
primo giudice aveva ritenuto applicabile la detta salvaguardia al caso in esame,
avendo la Boschi già nell’ottobre 2011 proposto ricorso giurisdizionale volto a
far dichiarare l’illegittimità del diniego oppostole dall’Amministrazione.
In specie la Corte di merito rilevava che la novella del 2011 ha voluto
salvaguardare solamente i lavoratori in favore dei quali era stato già
effettivamente e formalmente concesso l’esonero dal servizio alla data del 412-2011, prevedendo la immediata e definitiva operatività dell’abrogazione
dell’Istituto per tutte le altre situazioni. Del resto la semplice proposizione della
domanda di annullamento dell’atto amministrativo non comportava di per sé
alcun effetto caducatorio del provvedimento impugnato, sicché alla scadenza
fissata dal legislatore la semplice pendenza della lite non aveva impedito la
sopravvenuta inefficacia della domanda di concessione del beneficio voluta dal
legislatore.
Peraltro “sotto altro autonomo, diverso, ma di per sé sufficiente motivo”
(e quindi con autonoma ratio decidendi) la pronuncia di primo grado, secondo
la Corte di merito, era errata anche perché il primo giudice non aveva
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appellante, premesso che l’esonero dal servizio invocato dalla ricorrente era

considerato che la dipendente vantava “soltanto un interesse protetto affinché il
Ministero rispettasse le regole procedimentali nella valutazione della stessa”,
tanto più che la valutazione discrezionale delle esigenze dell’Amministrazione
non poteva prescindere nel caso concreto dalla necessità di dare la priorità al

appartenente a qualifiche per le quali era prevista una riduzione di organico,
circostanze pur sempre richiamate dal provvedimento impugnato.
D’altra parte il parere favorevole all’esonero espresso dal Presidente della
Corte d’Appello non aveva di certo carattere vincolante e tanto meno poteva
autorizzare il giudice a sostituirsi all’Amministrazione nella valutazione della
situazione in esame, mentre, invece, il permanere della dipendente negli uffici
del distretto dimostrava, semmai, in effetti la inopportunità del richiesto
esonero.
Per la cassazione di tale sentenza la Boschi ha proposto ricorso con un
unico complesso motivo.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Infine la Boschi ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico complesso motivo la ricorrente, denunciando violazione
dell’art. 24 c. 14 d.l. 201/2011 (conv. in 1. 214/2011) in relazione all’art. 15
delle Preleggi, nonché vizio di motivazione, premesso che l’esonero dal
servizio (ex art. 72, commi da 1 a 6, della 1. n. 133/2008) è stato soppresso, pur
continuando ad applicarsi espressamente sino al 4-12-2011 per coloro che a
quella data l’avessero ottenuto, rileva che la norma abrogatrice non può che
valere per il tempo successivo alla sua entrata in vigore, e, richiamati i principi
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personale interessato da processi di riorganizzazione o di razionalizzazione o

del rispetto dei diritti quesiti e del fatto compiuto, in sostanza invoca la
sindacabilità della sussistenza delle ragioni addotte dall’amministrazione per
negare un istituto riconosciuto dalla legge sino ad una certa data, ove
tempestivamente richiesto e non concesso, come nella specie.

parte in cui, in sostanza, ha ritenuto che l’esonero costituisse soltanto una
“facoltà” per l’amministrazione, per cui “come sembra implicare
l’argomentazione contenuta in sentenza”, la detta “facoltà” non sarebbe
sindacabile, se non per vizio procedurale, in considerazione del mero interesse
legittimo in capo al pubblico impiegato.
La ricorrente, poi, in relazione al merito, contesta la affermazione circa
“l’irrilevanza del parere favorevole del presidente della Corte d’Appello alla
concessione dell’esonero” e la sussistenza “di non meglio precisate ragioni di
riorganizzazione centrale e periferica che fonderebbero la legittimità del
diniego da parte del datore di lavoro dell’esonero”, laddove, in ragione della
obbligatorietà del suddetto parere, il provvedimento finale doveva essere
fondato su di una motivazione ancora più stringente.
Il motivo, così articolato, non merita accoglimento come di seguito
precisato.
Innanzitutto, va rilevato che con l’art. 24, c. 14, lett. e) del d.l. n. 201/2011
conv. con mod. con 1. n. 214/2011, è stato disposto che:
“14. Le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle
decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto
continuano ad applicarsi ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31
dicembre 2011, ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 9 della legge 23 agosto
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In particolare, al riguardo, la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella

2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni, nonché nei limiti delle
risorse stabilite ai sensi del comma 15 e sulla base della procedura ivi
disciplinata, ancorché maturino i requisiti per l’accesso al pensionamento
successivamente al 31 dicembre 2011:

e) ai lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno in corso l’istituto
dell’esonero dal servizio di cui all’articolo 72, comma 1, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni con legge 6 agosto
2008, n. 133; ai fini della presente lettera, l’istituto dell’esonero si
considera comunque in corso qualora il provvedimento di concessione sia
stato emanato prima del 4 dicembre 2011; dalla data di entrata in vigore
del presente decreto sono abrogati i commi da 1 a 6 dell’articolo 72 del
citato decreto-legge n. 112 del 2008, che continuano a trovare
applicazione per i lavoratori di cui alla presente lettera.”
Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla L. 30
ottobre 2013, n. 125, ha poi disposto, con l’art. 2, comma 5 ter, che: “L’articolo
24, comma 14, lettera e), del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, si
interpreta nel senso che l’istituto dell’esonero si considera comunque in corso
qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato a seguito di
domande presentate prima del 4 dicembre 2011”.
Nella specie, la sentenza impugnata emessa anteriormente a tale ultima
norma interpretativa, con la prima ratio decidendi, ha ritenuto che, nel caso in
esame, in mancanza di un provvedimento di concessione anteriore al 4-122011, non operasse la salvaguardia prevista dal legislatore del 2011.
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a)

Orbene, osserva il Collegio che l’esame della censura rivolta contro la
prima ratio decidendi (che andrebbe svolto alla luce della citata ultima norma
interpretativa, la quale da un lato attribuisce rilevanza alla domanda e dall’altro
prevede, però, pur sempre un “provvedimento di concessione”) risulta

ratio decidendi, idonea di per sé a sostenere la impugnata decisione (v. Cass.
sez. III 24-5-2001 n. 7077, Cass. 21-6-2004 n. 11505, Cass. 6-6-2003 n. 9131,
Cass. sez. I 18-5-2005 n. 10420, Cass. sez. III 20-1-2006 n. ri 1101, 1106 e
1107).
Ed invero, come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui
ribadito, “nel pubblico impiego contrattualizzato la P.A., nella sua qualità di
datore di lavoro esercita poteri privatistici: gli atti di gestione del rapporto
devono pertanto essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano
per il datore di lavoro privato e non è applicabile in materia alcuna
disposizione della 1. 7 agosto 1990, n. 241; in particolare deve ritenersi che gli
atti della P.A. debbano essere conformi ai principi generali di buona fede e
correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., letti in correlazione con il
principio di buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 Costituzione.” (v.
Cass. 22-8-2013 n. 19425, Cass. 17-9-2008 n. 23741, Cass. 18-2-2005 n.
3360).
E’ indubbio, quindi, che la posizione della Boschi fosse senz’altro
giuridicamente protetta e sindacabile da parte del giudice in base ai parametri
privatistici sopra richiamati, di guisa che – in tal senso dovendo intendersi
anche la affermazione della Corte di merito circa “l’interesse protetto affinché
il Ministero rispettasse le regole procedimentali nella valutazione” della
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superfluo in quanto risultano infondate le censure rivolte contro la seconda

domanda – deve ritenersi che legittimamente la detta Corte ha rilevato che la
valutazione delle esigenze (ex art. 72, comma 2, d.l. n. 112/2008 conv. con
mod. con 1. n. 133/2008) dell’amministrazione “non poteva prescindere nel
• caso concreto dalla necessità di dare priorità al personale interessato da

razionalizzazione, od appartenenti a qualifiche di personale per le quali era
prevista una riduzione di organico, circostanze pur sempre richiamate dal
provvedimento impugnato”.
Nel contempo, la Corte legittimamente ha affermato che il parere del
Presidente della Corte d’Appello, debitamente considerato, comunque non era
vincolante e non poteva “di per sé autorizzare il giudice a sostituirsi al
Ministero nella valutazione della situazione in esame”.
Infine la Corte ha rilevato, anche la inconferenza della argomentazione
difensiva della Boschi circa la mancata allegazione e dimostrazione da parte
del Ministero della necessità di continuare ad avvalersi della prestazione
lavorativa della stessa, ed all’uopo ha evidenziato che la medesima, comunque,
era stata utilizzata negli uffici giudiziari del distretto, con applicazioni disposte
in un periodo di tempo antecedente al provvedimento impugnato.
Tale decisione (riguardante la seconda ratio decidendi) è di certo
conforme al diritto e congruamente motivata e resiste alle censure della
ricorrente, la quale, in sostanza, da un lato continua ad invocare la rilevanza del
parere del Presidente della Corte d’Appello al fine di una pretesa necessità di
“motivazione ancora più stringente per discostarsene” e a ribadire la propria
argomentazione difensiva, disattesa dalla Corte di merito, e, dall’altro, lamenta
una insufficienza di motivazione, che neppure è denunciabile in questa sede,
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processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica, o di

alla luce della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., (v. Cass.
S.U. 7-4-2014 n. 8053), che va applicata nella fattispecie.
Il ricorso va in tali sensi respinto e, in ragione della soccombenza la
ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del Ministero

termine previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi
atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.
n. 115 del 2002, introdotto dall’art.1, comma 17, della citata legge n. 228 del
2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al Ministero
controricorrente le spese liquidate in euro 2.500,00 per compensi oltre spese
prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Roma 29 ottobre 2014

controricorrente. Trattandosi, poi, di ricorso notificato successivamente al

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