Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13276 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA.

sul ricorso 3262-2019 proposto da:

COGASPIU’ ENERGIE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI DI

IORIO;

– ricorrente –

contro

ITALGAS RETI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA DEL VIMINALE 5, presso

dell’avvocato GIUSEPPE GALLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

GRUPPO MIRC SRL, in persona dei tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA PO 72 presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE STANO che lo

rappresenta e difende;

avverso la sentenza n. 4431/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio, non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 28/6/2018, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento dell’opposizione proposta da Gruppo Mirc s.r.l., ha revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da Cogaspiù s.r.l. per il pagamento, da parte di Gruppo Mirc s.r.l., di somme a titolo di corrispettivo per la fornitura di gas;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva sottolineato la mancata dimostrazione, da parte di Cogaspiù s.r.l., dell’effettiva corrispondenza tra gli importi contenuti nelle fatture trasmesse alla controparte e i dati rilevabili dal contatore centrale del gas, suscettibili di fornire la presumibile certezza del consumo effettivo del gas somministrato a Gruppo Mirc s.r.l.;

che, avverso la decisione di appello, Cogaspiù Energie Srl (già Cogaspiù s.r.l.) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che Gruppo Mirc s.r.l. resiste con controricorso;

che Italgas Reti s.p.a. (già chiamata in casa da Cogaspiù s.r.l.) resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con i due motivi proposti, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 106,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2728 c.c. e dell’art. 15 deliberazione AEEG n. 138/2004, nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta dimostrazione, da parte della società somministrante, della prova effettiva dei consumi di controparte, trascurando la circostanza della mancata contestazione, da parte della società avversaria, del corretto funzionamento del contatore centrale, attribuendo valore probatorio certo a elementi presuntivi del tutto inidonei sul piano rappresentativo, e omettendo di valorizzare gli apporti istruttori decisivi offerti da essa ricorrente;

che entrambi i motivi illustrati dalla società ricorrente – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

che, al riguardo, varrà preliminarmente considerare, con riguardo alla censura concernente la pretesa mancata contestazione, da parte di Gruppo Mirc s.r.l., del corretto funzionamento del contatore centrale (fermo l’assorbente rilievo dell’inadeguato assolvimento, da parte della ricorrente, degli oneri di allegazione e produzione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo la stessa provveduto all’integrale allegazione e/o trascrizione degli atti processuali di controparte idonei a render conto dell’effettivo difetto di contestazione dedotto, nella misura e secondo il grado preteso), come del tutto correttamente la corte territoriale abbia trascurato l’influenza della pretesa mancata contestazione, da parte della convenuta, del corretto funzionamento del contatore centrale, trattandosi di un fatto da detta convenuta legittimamente ignorato (siccome riferibile alla sfera di esclusiva pertinenza della società somministrante), con la conseguente decisiva incidenza, al riguardo, del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, aì sensi del quale l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016, Rv. 640518 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013, Rv. 625006 – 01);

che, nel resto, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la società ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità delle censure in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del primo motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, infatti, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – ferma l’inammissibilità della deduzione, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, non avendo la ricorrente neppure provveduto ad assolvere all’onere di cui a Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03 – è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini del citato art. 360, n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativi, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che il rilievo dell’inammissibilità del ricorso principale vale a escludere la sussistenza dei presupposti per l’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dalla Italgas Reti s.p.a.;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore della Italgas Reti s.p.a., delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis;

che la tardività della notificazione del controricorso della società Gruppo Mirc s.r.l. esclude il diritto della stessa al rimborso delle spese del presente giudizio, dovendo ritenersi inammissibile la relativa istanza di rimessione in termini, erroneamente invocata senza la previa immediata ripresa del processo notificatorio a seguito dell’avvenuta notizia del suo originario impedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della Italgas Reti s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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