Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13275 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2334-2019 proposto da:

F.M.R., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA TARVISIO 2, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CANONACO,

che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1844/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 30/11/2018, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dall’Agenzia delle Entrate, ha dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il quale P.A. e F.M.R. (indicati quali debitori dell’amministrazione finanziaria) avevano disposto la costituzione di un fondo patrimoniale mediante il conferimento di taluni beni immobili propri;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva riconosciuto il ricorso di tutti i presupposti, di natura soggettiva e oggettiva, ai fini dell’accertamento della fondatezza dell’azione revocatoria esercitata dall’amministrazione finanziaria, con particolare riguardo all’effettiva sussistenza: 1) del credito (sia pure contestato) dell’Agenzia delle Entrate nei confronti dei convenuti; 2) dell’interesse ad agire della stessa; e 3) dei requisiti dell’evento di danno e della scientia damni in capo ai disponenti;

che, avverso la sentenza d’appello, P.A. e F.M.R. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 100,112 e 132 c.p.c. in relazione gli artt. 2901 e 2906 c.c. (con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente l’interesse agire in revocatoria dell’Agenzia delle Entrate nonostante quest’ultima avesse già ottenuto un sequestro conservativo sui beni degli odierni ricorrenti fino alla concorrenza dell’importo di Euro 263.657,00 per ciascuna parte;

che, al riguardo osserva il Collegio come la corte territoriale, nel riconoscere l’effettivo ricorso dell’interesse dell’Agenzia delle Entrate ad agire in sede revocatoria, nonostante il già ottenuto sequestro conservativo sui beni dei ricorrenti, si sia correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità di recente riaffermato (che il Collegio condivide e fa proprio, al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale il creditore che abbia ottenuto la concessione di un sequestro conservativo su un bene immobile conserva l’interesse ad agire con azione revocatoria ex art. 2901 c.c., qualora il medesimo bene venga in seguito alienato dal debitore a un terzo, atteso che tale azione consente di ottenere una tutela non equivalente e tendenzialmente più ampia rispetto a quella assicurata dal sequestro, in quanto ha ad oggetto l’intero immobile, senza soffrire dei limiti derivanti dall’importo fino a concorrenza del quale sia stata autorizzata la misura cautelare, esclude il concorso con gli altri creditori (che si realizza, invece, per effetto della conversione del sequestro in pignoramento), e non è condizionata dagli esiti del giudizio di merito sulla sussistenza del diritto cautelato (Sez. 3, Sentenza n. 22835 del 29/09/2017, Rv. 645777 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 997 del 08/02/1996, Rv. 495770 – 01);

che, nel caso di specie, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come il sequestro conservativo, ottenuto dall’Agenzia delle Entrate in epoca anteriore all’esercizio dell’odierna azione pauliana, fosse stato autorizzato fino alla concorrenza di un importo largamente inferiore all’entità complessiva del credito in relazione al quale l’amministrazione finanziaria ha agito ex art. 2901 c.c., in tal senso confermando, anche per tale aspetto, la concreta sussistenza di un interesse ad agire al fine di ottenere l’inopponibilità nei propri confronti dell’atto con il quale gli odierni ricorrenti hanno conferito i propri immobili nel fondo patrimoniale impugnato;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (con riguardo all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale fosse stato compiuto, dagli odierni ricorrenti, in epoca posteriore al sorgere del credito dell’amministrazione finanziaria, atteso il completamento della verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza in epoca successiva alla costituzione di detto fondo, e tenuto conto della natura costitutiva dell’accertamento fiscale in relazione all’insorgenza dell’obbligazione tributaria;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio – ferma l’inammissibilità della denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, siccome dedotto in assenza di alcun immediato riferimento al preteso omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto decisivo controverso tra le parti come la corte territoriale, nel confermare la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui ha ritenuto che, nella specie, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale fosse stato compiuto in epoca posteriore al sorgere del credito dell’amministrazione finanziaria, si sia correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide e fa proprio, al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale i crediti tributari nascono ex lege con l’avveramento dei relativi presupposti, e non già per effetto dell’atto amministrativo di accertamento posto in essere dall’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che, ove tali presupposti si siano verificati prima del compimento dell’atto dispositivo impugnato con l’actio pauliana, i crediti medesimi devono ritenersi anteriori a tale atto, ai sensi dell’art. 2901 c.c., ancorchè non siano stati in tutto o in parte accertati od iscritti nei ruoli (cfr., Sez. U, Sentenza n. 4779 del 28/05/1987, Rv. 453433 – 01);

che, conseguentemente, avendo gli odierni ricorrenti posto in essere l’atto di disposizione costitutivo del fondo patrimoniale in data 8/8/2008, del tutto correttamente il giudice a quo ha evidenziato la posteriorità di tale atto rispetto all’epoca in cui la Guardia di Finanza aveva accertato (ne febbraio del 2008) l’esistenza di documentazione extracontabile riferita all’attività commerciale degli odierni ricorrenti, e avviato una verifica fiscale il loro danno (nel febbraio-marzo del 2008), giungendo a richiedere al Presidente della Commissione tributaria provinciale (in data 7 luglio 2008) il sequestro conservativo degli immobili dei coniugi P., con evidenza riferito a un credito di natura fiscale necessariamente sorto in epoca anteriore;

che, con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’eventus damni e della scientia fraudis in capo ai disponenti, tenuto conto del carattere meramente eventuale e indeterminato del credito dell’amministrazione finanziaria, della sussistenza di diversi atti di garanzia ipotecaria sull’immobile conferiti nel fondo patrimoniale e dell’idoneità delle residualità patrimoniali dei disponenti a soddisfare le ragioni creditorie dell’amministrazione avversaria;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva preliminarmente il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente ritenuto sussistente il requisito dell’eventus damni in relazione al compimento, da parte degli odierni ricorrenti, dell’atto impugnato in questa sede, trovando nella specie applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte ai sensi del quale il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, senza che il relativo giudizio debba ritenersi soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poichè tale accertamento non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, nè può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3369 del 05/02/2019, Rv. 653004 – 01);

che, inoltre, parimenti corretta deve ritenersi la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante l’avvenuta sottoposi-zione, dei beni conferiti nel fondo patrimoniale in esame, a diverse precedenti iscrizioni ipotecarie, trovando applicazione, nella specie, l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale, in tema di azione revocatoria ordinaria, l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorchè di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come eventus damni (presupposto per l’esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sui valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640191 – 01);

che, infine, del tutto inammissibili devono ritenersi le deduzioni degli odierni ricorrenti in ordine alla piena idoneità, delle residualità patrimoniali degli odierni ricorrenti, a soddisfare le ragioni creditorie dell’amministrazione finanziaria (trattandosi dell’inammissibile riproposizione, in questa sede di legittimità, di una valutazione riferita ai fatti di causa, per sua natura riservata alla discrezionalità del giudice di merito, a sua volta fondata sull’esame degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio, la cui diversa interpretazione, in forza di un’eventuale differente lettura dei ricorrenti, non può essere invocata in questa sede), nonchè in ordine alla contestata sussistenza del requisito soggettivo per l’accoglimento dell’actio pauliana (per la pretesa insorgenza del debito tributario solo con l’accertamento fiscale, successivo all’atto impugnato), valendo al riguardo il richiamo a quanto rilevato a proposito del secondo motivo di ricorso, circa l’insorgenza ex lege del debito tributario con l’avveramento dei relativi presupposti;

che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza dei motivi esaminati, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore dell’amministrazione controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in Euro 5.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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