Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13274 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2299-2019 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

COSTANTINO ANTONIO MONTESAMTO;

– ricorrente –

contro

M.O., B.G. M.A., M.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PALERMO 43, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA FIMIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato

FORTUNATO CACCIATORE;

– controricorrenti –

contro

C.S., C.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1419/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 27/9/2018, la Corte d’appello di Salerno, in accoglimento dell’appello proposto da B.G., M.A., M.M. e M.O., e in riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta da C.L. e Ma.Fi. per la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il quale B.G., debitrice delle attrici, aveva donato ai propri figli il proprio patrimonio immobiliare;

che, a fondamento della decisione assunta, tra le restanti argomentazioni, la corte territoriale ha evidenziato come le originarie attrici non avessero fornito la prova, nè dell’elemento oggettivo del c.d. eventus damni, nè del requisito soggettivo dell’animus nocendi in capo alla B., attese le sufficienti residualità patrimoniali della disponente a soddisfare il credito a tutela del quale le istanti avevano originariamente agito, e avuto riguardo alla mancata dimostrazione di alcuna intenzione della B. di preordinare il compimento dell’atto impugnato al pregiudizio del (allora) futuro credito delle contropartì;

che, avverso la sentenza d’appello, C.L. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che B.G., M.A., M.M. e M.O., resistono con controricorso;

che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo d’impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente rilevato la sufficienza delle residualità patrimoniali in capo alla B. al fine di garantire il soddisfacimento del credito delle originarie istanti, e per avere erroneamente ritenuto insussistente la prova dell’intenzione della B. di compiere l’atto impugnato al fine di pregiudicare le ragioni delle proprie creditrici;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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