Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1327 del 19/01/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 1327 Anno 2018
Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8560/2016 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del
Direttore

rappresentata e difesa dall’Avvocatura

pro tempore,

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;

ricorrente

contro
FRANCO VAGO s.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, dott. Arnaldo Vivoli, rappresentata e difesa, per procura
speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti Marco Turci e
Alessandro Fruscione, ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via
Giambattista Vico, n. 22, presso lo studio legale del secondo
difensore;

con troricorrente e ricorrente incidentale

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Liguria, n. 46/01/2012, depositata in data 18 aprile 2012.

Data pubblicazione: 19/01/2018

Udita la relazione svolta dal Cons. Lucio Luciotti nella camera di
consiglio del 24 ottobre 2017.
RILEVATO

che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a seguito ad

accertamento dell’indebito utilizzo del deposito fiscale gestito dalla

delle merci importate da altre società ed assolvimento del pagamento
dell’IVA

mediante

all’importazione

il

meccanismo

dell’autofatturazione, emetteva nei confronti della predetta società
quarantacinque atti di contestazione di sanzioni amministrative
pecuniarie irrogate per violazione dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997;

che il ricorso proposto dalla predetta società contribuente

avverso tutti gli atti sopra indicati veniva parzialmente accolto dalla
Commissione tributaria provinciale della Spezia, che riduceva le
sanzioni irrogate ritenendo nella specie applicabile quella prevista
dall’art. 6 d.lgs. n. 471 del 1997 e l’appello proposto avverso tale
statuizione dall’amministrazione doganale veniva rigettato dalla
Commissione tributaria regionale della Liguria con la sentenza qui
impugnata, n. 503 del 27 aprile 2015, che condivideva la tesi
sostenuta dai giudici di primo grado;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle dogane dei monopoli
propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui replica
l’intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato a cinque
motivi;
CONSIDERATO
– che con il motivo di ricorso principale viene dedotta la violazione
e falsa applicazione degli artt. 13, comma 1, e 6, comma 9 bis, d.lgs.
n. 471 del 1997, sostenendosi che la disposizione da ultimo citata
disciplinava l’irregolare assolvimento dell’IVA nelle operazioni
“interne” soggette ad autofatturazione, e non era quindi applicabile al

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Franco Vago s.p.a., per omessa materiale introduzione nello stesso

caso di specie riguardante VIVA all’importazione, il cui irregolare
assolvimento era sanzionato dal citato art. 13;
– che con il primo motivo di ricorso incidentale la società
controricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di
ultrapetizione, ex art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che i giudici di

tardivo l’assolvimento dell’IVA all’importazione, benché
l’amministrazione finanziaria avesse contestato l’omesso pagamento;
– che con il secondo motivo di ricorso incidentale la società
controricorrente deduce la violazione dell’art. 10 della legge n. 212
del 2000, per non avere i giudici di appello fatto applicazione di tale
disposizione, che esclude qualsiasi sanzione nell’ipotesi, qui
ricorrente, di violazione solo formale;
– che con il terzo motivo di ricorso incidentale viene dedotta la
violazione dell’art. 20 d.lgs. n. 471 del 1997 per non avere i giudici di
appello rilevato la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal
potere accertativo;
– che con il quarto motivo di ricorso incidentale viene dedotta la
violazione del principio di proporzionalità della sanzione come
interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia del 17/07/2014, in
causa C-272/13, Equoland;
– che con il quinto motivo di ricorso incidentale viene dedotta la
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia dei
giudici di appello sul conflitto dei provvedimenti impositivi impugnati
con la sentenza penale emessa nei confronti del responsabile del
deposito che aveva riconosciuto e dichiarato l’insussistenza della
violazione sanzionata;
– che ragioni di ordine logico- giuridico impongono di esaminare
preliminarmente i motivi di ricorso incidentale;

che pare opportuno premettere che in materia di depositi

fiscali questa Corte ha affermato il principio secondo il quale

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appello erano incorsi nel dedotto vizio laddove avevano ritenuto

«l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento
dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo
che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si
è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif.,

all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria
nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante
un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e
delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento
dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo
virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può
mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come
chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in
C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in
relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e
l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa
e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora,
purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata
determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al
giudice di merito» (cfr., ex multis, Cass. n. 12231 del 2017; v. anche
Cass. n. 15988 e n. 17814 del 2015);
– che è quindi evidente l’assoluta diversità ed autonomia dell’atto
irrogativo della sanzione ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 rispetto ad
un avviso di accertamento emesso a seguito della riscontrata
violazione dell’obbligo di introduzione fisica della merce nel deposito
fiscale, posto che, in ossequio ai principi giurisprudenziali sopra
ricordati, anche di matrice unionale, quella violazione, seppur non
consentendo il recupero dell’imposta assolta con il meccanismo del
revese charge, legittima l’applicazione della sanzione ex art. 13
citato, seppur nei sensi precisati dalla CGUE;

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dalla I. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto

- che, alla stregua di tali principi, cui il Collegio intende dare
continuità, va rigettato il secondo motivo di ricorso incidentale, con
cui la controricorrente lamenta la mancata applicazione dell’esimente
di cui all’art. 10 della legge n. 212 del 2000, posto peraltro che
questa Corte, ancorché in relazione a fattispecie di ritardata

all’ipotesi di omessa fatturazione, che la violazione meramente
formale non punibile deve rispondere a due concorrenti requisiti,
ovvero di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo
e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base
imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. n. 27211
del 2014; conf. n. 27621 del 2008, n. 5897 del 2013, n. 2605 e n.
25700 del 2016, nonché n. 4960 del 2017); requisito, quest’ultimo,
nella specie non ricorrente;
– che il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per
difetto di autosufficienza, avendo la controricorrente omesso di
riprodurre il contenuto integrale degli atti irrogativi della sanzione,
nella specie assolutamente necessaria in quanto la riproduzione
effettuata dalla controricorrente, solo parziale e frammentaria di
alcuni passi di quegli atti, in particolare ove si fa riferimento
all’«omesso pagamento dell’IVA all’importazione», è assolutamente
insufficiente, ai fini della verifica richiesta a questa Corte, in quanto le
ragioni dell’applicazione della sanzione vanno desunte dal contenuto
anche motivazionale dell’atto irrogativo; a ciò aggiungasi che
l’autofattura emessa a fronte della mancata introduzione fisica dei
beni nel deposito IVA è modalità diversa di assolvimento dell’obbligo
di pagamento dell’IVA all’importazione (da effettuarsi al momento
dell’accettazione della dichiarazione in dogana – sul punto v. Cass. n.
15988 del 2015), che, quindi, è adempimento omesso, seppure poi
“sanato” dalla successiva autofatturazione, non potendosi far trarre in
inganno dallo scarto temporale tra la dichiarazione e

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fatturazione, ha enunciato il principio, sicuramente estensibile

l’autofatturazione che lascia supporre la sussistenza di un mero
ritardo nell’adempimento; il che rende ragione anche
dell’infondatezza del motivo in esame;
– che il terzo motivo di ricorso incidentale è assorbito, oltre che
inammissibile per novità delle questioni dedotte e per contraddizione

profilo, che non risulta, anche dal contenuto della parte dedicata allo
svolgimento del processo, che la questione della decadenza
dell’amministrazione finanziaria dal potere accertativo sia stata
dedotta in sede di ricorso introduttivo e, sotto il secondo profilo, che
è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di
inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare
l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al giudice di merito,
ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex
actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la
questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del
2013, n. 17253 del 2009);
– che il quarto motivo di ricorso incidentale è infondato;

che al riguardo deve, infatti, rilevarsi che la statuizione

impugnata non si pone affatto in contrasto con il principio, ricavabile
dalla nota sentenza “Equoland”, del necessario adeguamento della
sanzione al caso concreto secondo principi di proporzionalità e
gradualità della stessa (affinché non ecceda quanto necessario per
assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione), avendo
la CTR ritenuto, con accertamento in fatto non censurato, che
«sanzione appropriata» al caso di specie è quella del 3 per cento di
cui all’art. 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997;

che quanto appena detto rende ragione dell’inammissibilità,

oltre che dell’infondatezza, del motivo di ricorso proposto dall’Agenzia
delle entrate, posto che, diversamente da quanto da questa

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con il principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo

sostenuto, la CTR non ha applicato al caso di specie il disposto di cui
all’art. 6, comma 9 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, avendo invece
fatto rinvio a quella previsione ai fini del necessario adeguamento
della sanzione al caso concreto, nella prospettiva indicata dalla Corte
di giustizia dalla più volte citata sentenza “Equoland”; ne consegue

censurata dalla difesa erariale da parte dei giudici di appello, la cui
valutazione di “appropriatezza” della sanzione amministrativa
pecuniaria applicabile al caso di specie al gestore del deposito fiscale
avrebbe dovuto essere censurata con il corrispondente vizio
motivazionale;

che, infine, infondato è anche il quinto motivo di ricorso

incidentale in quanto ad integrare gli estremi del vizio di omessa
pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del
giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso
concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la
reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in
proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una
statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di
domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. da 21424 a
21428 del 2017, conf. n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011);

che conclusivamente vanno rigettati il motivo di ricorso

principale e quelli di ricorso incidentale, con integrale compensazione
delle spese processuali, stante la reciproca soccombenza;
– che il rigetto del ricorso incidentale costituisce il presupposto,
del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a
carico della controricorrente di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 (nel testo

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che nella specie non vi è stata alcuna violazione della disposizione

introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228), al
medesimo pagamento non essendo invece tenuta la ricorrente
Agenzia delle dogane e dei monopoli, nonostante il rigetto del ricorso
dalla medesima proposto, in quanto parte ammessa alla prenotazione
a debito del contributo unificato, per essere amministrazione

opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr.
Cass. n. 9338 del 2014; n. 1778 del 2016 e n. 18893 del 2016).
P.Q.M.
rigetta il motivo di ricorso principale e quelli di ricorso
incidentale, compensando le spese processuali.
Dà atto che ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, la controricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
incidentale.
Così deciso in Roma il 24/10/2017

pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato per la quale

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